Hank per Ray Banhoff
(o del perché leggere le sue pagine può farti sentire piccolo piccolo) #ilmesediBukowski

Bukowski il santo della letteratura
13 Mar 2014

Spesso mi sento un gran groppo in gola a leggere Bukowski. Vorrei leggerlo di più ma proprio non riesco, è troppo per me. Quando leggo gli altri autori lui mi manca e mi ricordo del suo tono per come mi faceva ridere e piangere appena ho iniziato a conoscerlo.

Credo che Bukowski mi abbia messo, e metta anche molta altra gente, di fronte ai miei limiti. Credo che mi abbia terrorizzato. Impossibile rimanere distaccati, impossibile leggerlo e non farsi certe domande. Come fai ad andare a lavoro il giorno dopo? Come fai a subire i torti del tuo capo? Come fai a continuare a rigare dritto verso la fossa? Come fai ad avere la sua forza? Te lo immagini prima di una di quelle letture affollatissime in auditorium stracolmi, a San Francisco, proprio lui… abituato ai 20 perdigiorno che aveva nelle librerie di Los Angeles, terrorizzato che vomita la sbronza presa per affrontare una platea di mille (1000) studenti che lo amano. Entra e deve bere ancora per stare calmo, poi scroscia il primo applauso e tutto si risolve. Quanta forza ci vuole per sostenere quel peso? Te lo immagini inginocchiarsi a terra quando a 40 anni il postino gli porta una busta con il suo primo libriccino stampato, una raccolta di poesie, e lui che piange e bacia le copie una a una. A quarant’anni. Quanti avrebbero saputo aspettare così a lungo?

[pullquote]Credo che Bukowski mi abbia messo, e metta anche moltra altra gente, di fronte ai miei limiti[/pullquote]

Bukowski è un santo che porta la pace, il San Francesco della letteratura americana. È lui gli ultimi e degli ultimi parla. Usa una lingua comune, dice scemenze, è stolto spesso, si diverte delle proprie scoregge, fa le magie con le parole stupide. Al tempo stesso le sue pagine sono un continuo di picchi altissimi, raggiungono toni di verità totale e sopra ogni giudizio. È con la verità che Bukowski azzera il linguaggio, abolisce la bugia, è con questi ganci di puro realismo che mette tutti a tappeto il più grande peso massimo letterario del 900. La sua opera è uno dei più grandi testi di tolleranza e pace che siano stati scritti negli anni in cui tutti, ma proprio tutti, erano presi male. La sua solitudine è ascetismo, il suo alienarsi nell’alcol è meditazione, il suo sistema di vita scandaloso è coerenza. Vuoi essere un cavallo pazzo? Come diceva Carmelo Bene di Nietzsche: «Lui se l’è meritata la pazzia… ma voi? Voi non avete fatto un cazzo».

Leggete Pulp, l’ultima cosa che ha scritto Hank se volete capire il concetto di fede. Poche paginette scritte a un mese dalla morte, piene di ironia, di verità, di entusiasmo, senza rimpianti. È come assistere a un santone che muore in pace eppure era il più grande dei peccatori.

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sfatto, colpito e pensieroso: è proprio lui

Ascoltare Bukowski che scrive, leggerlo, sentirlo è come osservare Alì che combatte. È uno di quelli che vince con la volontà. Non ci sono proprio cazzi nella letteratura, la letteratura è come lo sport. Il cuore e le palle sono la marcia in più. E lui in più ha un’estetica. Era un fine conoscitore della poesia, del romanzo, della musica classica. Non si sa come ci sia riuscito ma aveva tutti i requisiti dell’intellettuale. Si faceva il bagno due volte al giorno e senza un soldo andava all’ippodromo a osservare la gente e poi tornava a casa e scriveva. Non usava la penna, era troppo snob, a lui piacevano i tasti della macchina da scrivere, lo chiamava il suono della mitraglia. È stato un cantore della gente prima di tutto.

[pullquote]A Bukowski le cazzate non gliele posso dire. Lo sa che il mio limite sono IO, che il nostro limite siamo NOI[/pullquote]

A Bukowski le cazzate non gliele posso dire, se lo leggo, e lui mi sente, me lo dice subito che sto cercando di prenderlo in giro. Lo sa che il mio limite sono IO, che il nostro limite siamo NOI, non la società, non i politici, non questi tempi, non il destino. È come un prete Bukowski e al silenzio del confessionale DEVI ammettere la verità. E per me quando un uomo riconosce che la sua vita quotidiana e il suo bagaglio di scuse sono solo una comoda tana per non reagire allora quella è RELIGIONE. E lui è per forza il re degli ultimi, schernito in vita, abusato, ridotto a macchietta. E noi lo sfoggiamo nelle nostre classifiche come fosse un po’ anche nostra la sua libertà ma per dio se è blasfemo anche solo pensarlo. Lo mettiamo nelle magliette, negli status, nelle stronzate. Usiamo le sue parole come amuleti ma lui lo sa che funzionano solo se le mettiamo in pratica, non se le attacchiamo alle pareti.

Johnny Rotten con la voce rotta dall’incazzatura diceva: «La prima volta che ho visto una folla di punk, con le creste come le nostre e i giubbotti come i nostri ho pensato ma che cazzo stanno facendo questi ragazzi? Il punk era essere se stessi, non addobbarsi a festa come dei coglioni. Ho pensato insomma che quei ragazzi fossero la morte del punk». Siamo tutti uguali tutti viviamo con le nostre catene, anche Bukowski ce le aveva e ora che è morto il suo fantasma le sbatte di notte quelle catene nei castelli disabitati in cui passiamo notti insonni chiusi nel nostro silenzio. Ci tormenta, ma è un fantasma buono, di quelli che vorremmo evocare in seduta spiritica. È lui che vorremmo avere avuto come maestro.

Ray Banhoff

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