Uno sciamano a Milano, in abito scuro. I propositi dell’anno che verrà. La vulnerabilità. La disobbedienza. Ecco il discorso dell’anno. Del decennio. Che prima di tutto, sempre, è un discorso a se stessi

Discorso a me
30 Dic 2019

Io.
Dieci anni fa sono diventato padre del primo figlio maschio che, pensatela come volete, nella vita di un uomo è un avvenimento decisivo, perché viviamo in una società patriarcale, perché sono un terrone, perché… semplicemente perché sì. Il fatto è che non mi sento un uomo. Se penso a me il volto a cui penso è il volto di Moreno ventenne, invece se guardo l’ultimo ritratto che mi ha fatto Thorimbert ecco le rughe, ecco la barba tenuta male, ecco le occhiaie, ecco i capelli bianchi, ecco il naso rotto due volte di chi le ha date e le ha prese ma io le ho solo prese. E allora mi guardo e vedo: le mie inquietudini, i miei parti, le mie paranoie, quell’ambizione che spesso mi blocca, quel buio e quella luce che non si spegne, vedo me.

[pullquote]Succedono cose che non sai perché succedono ma succedono. Succedono cose che non sai se crederci o no ma succedono[/pullquote]
Ultimamente ho imparato anche a odiare. A dire subito se c’è qualcosa che mi sta sul cazzo. Da riflessivo a impulsivo, un percorso al contrario. Poi arriva la fine dell’anno, poi arriva la fine del decennio, che per me combacia con le cifre tonde. Perché sono nato il 20 novembre 1979 e questo decennio quindi l’ho iniziato dopo aver festeggiato i 30 e finito entrando nei 40. Come mi sento? Adesso non mi piaccio, ma mi piacciono quelli come me. Non mi piacciono quelli che soffrono per robe che fanno sorridere, che si accorgono delle cose solo quando un treno li investe dritto nel petto, che si vestono coi pantaloncini corti. Mi piace la gente estrema, inadeguata, che ti fa sentire a disagio, che durante le feste a un certo punto dice la cosa che non deve dire, che imbarazza, oppure che si assenta, va a fumare, se ne va e non ti aspetta. Mi piacciono gli incoerenti e mi piace chi non ha quasi mai risposte e non ha paura di contraddirsi perché nella contraddizione trovo un sintomo di libertà. Mi piace chi disobbedisce. Ché il problema non è la disobbedienza ma l’obbedienza. L’obbedienza è più pericolosa. Ché ci vuole fegato per essere coerenti. Perché il più delle volte – per rispettare ciò che credi di essere – non ti abbandoni a ciò che realmente vuoi, a ciò che realmente trovi giusto in quel momento fare o dire. Ci vuole fegato anche a non cambiare. A me questo fegato manca. Primo proposito 2020, quindi: circondarmi solo di gente così, che mi piace.
[pullquote]Ché il dolore, quando ne parli, quando lo condividi, passa un po’[/pullquote]
Due anni fa Banhoff mi ha fissato un appuntamento con uno sciamano. Uno sciamano a Milano. Il primo posto libero lo aveva il 19 novembre 2019. Il bigliettino con quella data è rimasto per tutto il tempo dell’attesa appiccicato sulla porta di casa. Non sapevo cosa aspettarmi. Leggevo il bigliettino e mi sentivo rassicurato: sapevo che comunque il 19 novembre io sarei stato lì. Per chi non sa cosa siano le certezze vi posso assicurare che quel biglietto trasmetteva una certa quiete, figurava una dinamica di tranquillità. Entrato nello studio ero scettico: tante persone, due sale di attesa, quadri di valore, poltrone comode, pochissimi rumori, una situazione di semi pace. Non ho fatto tempo a posare il mio sedere sulla poltrona davanti alla scrivania del professor Atzoni che lui, senza nemmeno guardarmi, ha cominciato a parlare di me. Non a parlarmi. A parlare di me. Basso, stempiato, occhiali, un abito dai toni scuri, dopo tre minuti l’ho fermato, mi sono sporto verso di lui e gli ho chiesto: ma tu, tu, come cazzo fai? Ho pensato che mi avesse stalkerato sui social, che fosse un amico segreto di mia madre, che avesse vissuto sempre accanto a me senza che io lo vedessi. Mi stava dicendo chi ero psicologicamente, fisicamente, di quali disturbi soffrivo, che paure avessi, quali vertebre fossero schiacciate e addirittura di un focolaio nei polmoni, “piccolo, un bravo radiologo lo vedrebbe, ma se le dicono qualcosa non si preoccupi, è roba vecchia”. Alla mia domanda mi ha guardato finalmente negli occhi e sorridendomi ha risposto: “Come faccio? Qui non si entra mai da soli”. Mentre continuava a descrivere Moreno guardava in alto alla mia destra. Mi sono girato. Ho guardato il muro. Poi ho guardato ancora lui.
– Perché guarda lì? gli ho chiesto.
– Ma lei non ha letto il mio libro, vero? mi ha risposto.
– No.
– E perché è qui?
– Perché mi ha mandato Banhoff, non mi sono informato, non so niente di lei, non lo so perché sono qui.
– E di cosa ha bisogno?
La prima risposta è stata quella giusta.
Ero stremato, mi sono massaggiato la fronte e ho detto: ho bisogno di equilibrio.
– Lei più pensa alle cose più le vede come insormontabili. Meno ci pensa e più le riescono. Le torna tutto quello che ho detto?
– Sì, tranne una.
– Me la dica.
– Mi ha detto che non sono capace di fingere. Ma fingo tantissimo, ogni giorno.
– Lei si è stancato di farlo, mi fa, crede che le riesca ancora bene ma gli altri se ne accorgono e se ne accorgeranno sempre di più.
Poi ci siamo salutati.
Sono uscito con un senso di vertigine.
Come se Atzoni fosse entrato nel mio locale spazzatura e l’avesse liberato sacco per sacco, buttando tutto fuori.
Ho camminato frastornato.
Più leggero.
Semi ubriaco.
Altri propositi 2020 sul braccio 

Succedono cose che non sai perché succedono ma succedono. Succedono cose che non sai se crederci o no ma succedono.
Succedono cose e questo è perché siamo qui: per farle succedere.
E quando succedono l’importante è seguitare a fare e farsi le domande, e restare in ascolto e capire ciò che si sente.
Io.
Io mi sento perso tante volte, spesso più volte al giorno. Mi sento sconfitto almeno una volta ogni santo giorno. Poi arriva sempre un momento di lucidità, di distanza dalla disperazione, e va tutto bene. E riparto. Pensando che ogni cosa è al suo posto e ciò che non è al proprio posto va osservato, preso come si prende un set di cristallo e portato laddove deve stare. Sbagliando costantemente e correggendosi di continuo. Ché tutto ciò di cui abbiamo bisogno è di essere rassicurati, vicini, per sopportare meglio quelle piccole battaglie quotidiane che tutti affrontiamo. Ché il dolore, quando ne parli, quando lo condividi, passa un po’.

[pullquote]Ci vuole fegato anche a non cambiare. A me questo fegato manca[/pullquote]
Ogni evoluzione d’altronde si porta dietro dei feriti, che solo col tempo capisci che vanno accuditi, curati, apprezzati come mai avevi fatto.
Pier Vittorio Tondelli una volta ha scritto: io non sono diverso dagli altri perché sono omosessuale né perché non posso avere figli, sono diverso perché dico di me ciò che gli altri, di se stessi, tendono a nascondere, a non mostrare. Essere vulnerabili: altro proposito 2020. Ché la vulnerabilità del prossimo mette al riparo, predispone all’ascolto e all’aiuto. Ché la debolezza può diventare arte e l’arte a cosa serve se non ad aiutare gli uomini a vivere, a gettare un occhio su per il culo della morte? Ché, come ha detto il vecchio, le luci non si spengono finché non si spengono. E non c’è altro da aggiungere. Forse.

@moreneria

Condividi

Leggi anche