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Detesta calze, scarpe e ideologie. Anche l’whiskey gli fa schifo, ma ne ha bevuto da ammalarsi. Non fuma nemmeno più, le sigarette adesso le mastica. Un giornalista, uno scrittore, un drammaturgo, un cieco. Un Edipo a Colono scarruffato che sputa nomi, cognomi e anatemi. Massimo Fini ha infastidito per quarant’anni l’intellighenzia italiana come un quadro osceno che non sai dove piazzare: né a destra, né a sinistra, né al centro del salotto. Un maestro di bestemmie in bello stile, uno che la cravatta l’ha indossata solo al casinò, uno che ci ha messo e rimesso la faccia (segnata), lo stomaco (gonfio), gli occhi (svuotati). Uno che, alla roulette truccata della cultura italiana, ha puntato tutto su se stesso. E ha vinto? La risposta è in Una vita – Un libro per tutti. O per nessuno (Rizzoli), il suo addio alla penna. “Ciao, accomodati di là” Fini mi indicò il salotto, e il suo cellulare squillò: “Dio cane!” fece. Alzò il telefono: “Giorgio, scusa, sto iniziando un’intervista, ti richiamo tra due ore”. Tre pareti della stanza erano occupate da scaffali di libri divisi per argomento: sociologia, letteratura francese, diritto e così via. Mi sono seduto di fianco a una vecchia roulette, su quel divano sdrucito e rosso che, come Fini racconta in Una vita, ha ospitato tanti protagonisti della cultura italiana degli ultimi decenni, e tante donne. Bestemmia spesso?

“Spessissimo. È importante.”

Perché?

Scalzo, spettinato, si era seduto di fronte a me, accanto alla lettera 32 appoggiata per terra: “Perché ti libera. E ti dà forza.”

In che senso?

Sopracciglia e palpebre erano rimaste mobili, vivaci ma, dentro, gli occhi non mettevano più a fuoco, erano persi: “L’altro giorno, in piscina, dei ragazzini mi avevano rubato il costume dall’armadietto, che avevo lasciato aperto. Ridatemelo, dicevo. E loro niente. Ridatemelo, e loro sghignazzavano. Ridatemelo porco dio! E me l’hanno ridato.”

Non è contraddittorio bestemmiare per chi non crede in Dio?

“Un po’. Però io non sono ateo, sono agnostico. Insomma, come diceva quel francese, se Dio esiste si è nascosto molto bene.”

E lei l’ha cercato in ogni singola persona che ha intervistato, in ogni reportage dal Sud Africa o dall’URRSS, nell’amore, nei libri, ovunque.

“Sì, l’ho cercato tutta la vita, come Ingmar Bergman. Ma un Senso non l’ho mai trovato. Per questo, al di là di riconoscimenti e successi, mi considero uno sconfitto. Sono stato accompagnato fin dall’infanzia da una specie di occhio spalancato, che valutava tutte le mie azioni, tutti i miei pensieri. Una condanna.”

Non si è chiuso proprio mai?

“Sessant’anni fa dei ragazzi stavano molestando un nostro coetaneo, in pratica handicappato. Lì, l’occhio si è chiuso per un attimo e ho rotto il naso al loro capoccia con un cazzotto.”

Altri esempi?

“A volte si chiude quando nuoto nel mare. Posso addirittura usare una parola proibita, “felicità”, e dire che in rari momenti della vita l’ho provata accanto a una donna o a mio figlio.”

E poi c’è stato l’alcol.

“Sì, quando bevi molto l’occhio si annebbia, ti dà un po’ di scampo.”

Che cosa beveva?

“Soprattutto whiskey, che mi ha sempre fatto schifo. Eppure ne scolavo dieci di fila, mentre giocavo a poker e fumavo. Sono smodato in ogni passione, da quella per il mullah Omar a quella per le donne” si rigirava tra le labbra una sigaretta spenta.

Non l’accende?

“La rumino, non fumo più.” Buttò sul tavolo un pacchetto di Gauloises rosse. “Ma continuo a spendere un sacco di quattrini per comprarle.” Sul pavimento erano sparse tre o quattro sigarette spezzate.

E beve ancora?

“Cerco di limitarmi. L’alcol è un amante geloso. Prima, poco alcol, tanta ebbrezza e pochi postumi. Poi, tanto alcol, poca ebbrezza e tanti postumi. E alla fine arriva la depressione, di cui ho sofferto per periodi più meno lunghi fin dai primi anni ‘80.”

Mai stato dallo psicologo?

“Mi hanno obbligato ad andarci. Poi, un giorno, gli allungai le centomila lire per la seduta e lui mancò la presa. Si chinò per raccoglierle e gli vidi l’elastico bianco della mutande. Non ci misi più piede.”

Perché?

“Il re nudo, capito?”

Al di là della finestra svettava la Torre Diamante, un grattacielo in vetrocemento di 140 metri e, giù in fondo, il Bosco Verticale: i simboli architettonici della Milano del futuro.
Si pagherà un pieno di diesel con una gallina e tre uova, le città si svuoteranno e i più avveduti saranno i primi a barricarsi in qualche casolare di campagna con i kalashnikov
Certo che è un bel contrappasso, per un antimodernista come lei, che glieli abbiano costruiti proprio davanti a casa.

“Lasciamo perdere, pensare che una volta vedevo le Alpi. Tanto è solo questione di tempo.”

Che cosa?

“Il così detto progresso ha i giorni contati, ormai lo sanno anche i palloni ad aria. La crescita infinita esiste solo in matematica, non nella realtà. I reggitori del mondo stanno solo cercando di rinviare il collasso di qualche anno, di intorpidire le acque, per andarsene all’altro mondo in pace, altrimenti li impiccherebbero al palo.”

E poi cosa succederà?

“Si pagherà un pieno di diesel con una gallina e tre uova, le città si svuoteranno e i più avveduti saranno i primi a barricarsi in qualche casolare di campagna con i kalashnikov e la terra che dà frutti tutt’attorno a loro. Un nuovo feudalesimo europeo. Oppure una guerra atomica.”

Quale dei due scenari preferirebbe?

“Il primo, almeno gli indigeni delle isole Andamane si salverebbero.”

E con Isis come la mettiamo?

“Se fossi un potente della Terra riconoscerei il Califfato, che ormai è una realtà incontrovertibile. Poi cercherei di trattare e, se supera i confini stabiliti, avrei un motivo valido per muovere guerra. Del resto, tutta quell’area è stata suddivisa arbitrariamente in stati artificiali dal colonialismo. Che diritto abbiamo noi di contestare la loro riorganizzazione territoriale? I talebani però sono un’altra cosa.”

In che senso?

“Da quando il mullah Omar prese il potere, nel 1996, avrà rilasciato in tutto sei comunicati. In uno di questi ha dichiarato che non ha alcuna intenzione di allearsi col Califfo. Non sopportava neppure Bin Laden, l’avrebbe anche fatto fuori a patto che gli USA se ne assumessero la responsabilità, ma Clinton rifiutò. Non fu coinvolto un solo afgano nell’attentato delle Torri Gemelle, le barbarie subite dai prigionieri di Isis sono lontane anni luce dalla mentalità degli afgani, che infatti non si sono mai macchiati di delitti simili, ma offrono un trattamento umano ai nemici catturati. Sono gente sanguigna, di cuore, per cui l’ospitalità è ancora un valore. Ma se gli stai sulle palle meglio girare al largo.”

Sotto la camicia jeans aperta, indossava una maglietta decorata da una testa di moro, simbolo della Corsica. Lo stesso simbolo risaltava anche sui sette accendini sparpagliati sopra al tavolino del salotto. Un po’ come i corsi?

Sì, sono afgani minori. Amo la loro isola, così selvaggia, e mi ci rifugio spesso. Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 gli indipendentisti hanno fatto saltare qualche Club Mediterranée, e i corsi si sono tenuti la Corsica.”

A proposito di attentati, nel suo libro sostiene che gli anni di piombo sono stati una lunga propaggine del ’68, tipicamente italiana.

In Inghilterra il movimento antisistema degli anni ’60, tra Beatles e minigonne, è stato neutralizzato, inglobato dalla società. In Italia il muro contro muro delle istituzioni ha radicalizzato e prolungato di dodici anni la contestazione.”

Rimpiango soltanto di non essere nato figlio di un terrorista, come Luca Sofri, o della vittima di un terrorista, come Mario Calabresi
Che cosa le è rimasto più impresso degli anni del movimento studentesco?

Il fatto di aver capito già da allora quanti militanti di Potere Operaio, poi ribattezzato Molotov e Champagne, avessero più lo scopo di diventare direttori del Corriere, come Paolo Mieli, che di rifondare la società. Mi ricordo ancora di come uno dei leader del Movimento Studentesco, credo Criscione, sfogliasse le foto di assemblee e comizi, commosso, come una vecchia zia che consulta l’album di famiglia. Intuivi con chi avevi a che fare da come si comportava con le donne. Michelangelo Spada, uno dei capipopolo della Statale, fregò la ragazza al povero fratello di Ivan Della Mea, il cantautore, facendo semplicemente valere la propria superiorità gerarchica. Se penso a come le cose si sono evolute, dal ’68 a oggi, rimpiango soltanto di non essere nato figlio di un terrorista, come Luca Sofri, o della vittima di un terrorista, come Mario Calabresi.”

Lei fa nomi e cognomi, sempre. Lei ha collezionato 23 processi per querela, tutti vinti. Lei, per caso, rimpiange pure qualche rapporto personale compromesso dalla sua intransigenza polemica?

Per un agnostico la coerenza verso se stessi resta l’atteggiamento più vicino alla fede: non mi pento di nulla. Forse di come sono andate le cose con Vittorio Feltri. Gli rendo il merito di avere sempre pubblicato qualsiasi cosa gli proponessi. Anche quando ho scritto che avrei preferito essere un talebano, un comunista, un fascista, piuttosto che aver vissuto sessant’anni nella democrazia italiana. Ma, in fondo, non rimpiango neanche questo. Feltri ha l’etica di una biscia. Quello del giornalista è invece un mestiere che dovrebbe basarsi proprio sull’etica.

Ha ancora senso quel mestiere? C’è qualche suo collega in attività che rispetta?

Leggo poco i giornali: un veleno. E in internet c’è troppa roba: dieci cucchiai di minestra ti sfamano, cento ti ammazzano. Rispetto qualche inviato di esteri, che sta in mezzo al pericolo e consuma ancora le suole delle scarpe, come Fausto Biloslavo del Giornale e Lorenzo Cremonesi del Corriere.

Ha collaborato col Fatto Quotidiano fin dalla fondazione: che ne pensa di Marco Travaglio?

Marco e io siamo agli antipodi. Il giornalismo è questione di recule, cioè la giusta distanza che bisogna tenere da un quadro per coglierne particolari e visione d’insieme. Io sono stato sempre troppo vicino alle persone, ho sempre messo in secondo piano il politico, l’industriale, il criminale rispetto all’uomo. Travaglio sta troppo distante, si scorda che sotto il pregiudicato, il ministro o chi per lui c’è comunque un uomo che soffre. Anche sotto Berlusconi.

E di Matteo Renzi che cosa pensa?

Almeno Berlusconi era buffo, ridicolo, forse umano troppo umano. Renzi è arrogante e basta, nessuna crepa.

Ha dichiarato che non scriverà mai più per via dei suoi problemi alla vista. Ne è davvero sicuro? Non ha paura del vuoto?

Terrò comizi, conferenze, mi farò intervistare, che vuoi che ti dica. Ci sarebbero dei marchingegni in grado di farmi scrivere anche da cieco. Però mi chiedo che senso abbia scrivere quando non puoi neppure cogliere i lineamenti di un volto. Accetto il mio destino e credo nel destino, anche se solo alla fine puoi giudicarne l’intera la parabola.

Non è incazzato con la natura?

La natura non è né madre né matrigna, è amorale. Mi fanno ridere gli uomini che provano a immischiarsi. Qualche anno fa delle balene si erano perse nel mare di Bering, e alla fine si sono arenate sul pack. È stata addirittura mobilitata una rompighiaccio sovietica per salvarle, hanno sparato agli orsi polari che volevano mangiarsi un cetaceo con la polmonite. Che senso ha? Gli eschimesi guardavano allibiti. Ecco, io non vorrei mai farmi compatire dagli eschimesi.

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