Siamo nel 2009, È una giornata di sole a pochi chilometri dal confine tra la California e il Messico e anche se non ci siete mai stati potete facilmente immaginare di quanto sole stiamo parlando. Alcuni scugnizzi, dei gueros, in strada giocano a basket e si spostano mollamente sullo skate con quelle loro magliette larghe e senza senso, bionde prorompenti e abbronzate camminano in costume, tizi orientali friggono alghe su piastre lucide in mezzo ai boulevard e qualche. Chi diavolo può aver voglia di lavorare in un posto dove anche a novembre l’unica cosa sana da fare è andare in spiaggia? Cary Joji Fukunaga (che vedete qui sopra nella ganzissima animazione), studente trentaduenne di cinema, è li che suda in mezzo agli altri, all’ombra della stanza da letto dove sua nonna sta tirando le cuoia. La nonna è una vera giapponese, vecchissima, soprattutto vecchio stile: una che non bestemmia, non si scompone, non ha reazioni, ti fissa con quegli occhietti giappi pieni di sacralità e compostezza. E sul suo letto Cory ha appoggiato un pc scaruso da studente, con la ventola che fa rumore ed entra in azione troppo presto per il riscaldamento del processore, per mostrarle le prime immagini del lungometraggio a lei ispirato. Nessuno dei due sa che con quel corto Cary qualche mese dopo vincerà il Sundance Festival e darà il via alla sua promettente carriera di regista (in realtà dal 2005 ha prodotto Kofi e Victria Para Chino che gli è valso uno Student Academy Award sempre al Sundance). Sin Nombre, nei primi dieci minuti ha già una scena di sesso e un pestaggio. Mio dio, pensa Cary osservando la nonna ammutolita, come ho fatto a non pensarci prima?
Ma la nonna è dolce, ama suo nipote e gli fa i complimenti, a suo modo, alla giapponese, unica preoccupazione: trovati un lavoro Cary.
Ma nonna, questo è un lavoro. Ti assicuro che ti pagherò presto la cena.
Nessuno in casa ne capisce di cinema. Il padre di Cary smontava tubi o cose del genere, la madre si spiaggiava sul divano la sera dopo cena con i film hollywoodiani in bianco e nero, per non parlare del patrigno, un messicano che puzzava di acqua di colonia presa al supermercato che voleva ritirarlo da scuola per mandarlo a lavoro nei campi di patate. E nemmeno voleva fare il regista questo giovane nipote di un pazzoide giapponese che aveva combattuto contro gli Usa. Voleva fare lo snowboarder, ma a quanto pare era una vera mezzasega. Quando aveva quattordici anni Cary registrava roba con gli amici su un vhs tenuto assieme con lo scotch. Scrisse un copione di 60 pagine su due fratelli soldati che vengono ricoverati e si innamorano della stessa infermiera. Poi riprendeva scene notturne tutte mosse. Quando uscì The Blair Witch Project i suoi amici lo chiamarono: ehi Cary, ti hanno fottuto l’idea.
Fukunaga ha vinto il Sundance che era ancora al secondo anno della scuola di cinema con il suo primo corto. Spike Lee doveva tenere delle lezioni ma se ne fregò di quei ragazzini e mandarono Dorian Harewood, che ogni giorno pungolava Cary: hai vinto il Sundance, gli diceva di fronte a tutta la classe, e ora che minchia farai? L’inverno dopo Fukunaga ha diretto Fassbender in Jane Eyre e si è preso un pezzetto della grande torta che stava per arrivare. Gonzales Inarritu (regista di 21 grammi, Babel, Birdman) non aveva voglia di girare questa serie tv che gli proponevano i suoi agenti e allora il copione è finito nell’email di Cary. Qualche giorno dopo è iniziato il suo rapporto di quasi due anni a fianco di Nic Pezzolatto, lo scrittore di True Detective. Bang! Se qualcuno ha visto questa serie tv sa di cosa stiamo parlando, se esiste qualcuno che ancora non sa di cosa parliamo ecco allora forse gli stiamo facendo un favore. La serie doveva essere ambientata negli Ozarks, una specie di Appennino Abruzzese negli Usa, ma Cary non c’era mai stato negli Ozarks e non ne aveva particolarmente voglia e allora ha proposto: facciamolo a sud, dove c’è la luce. Cary comincia a lavorare con Nic Pezzolatto sul soggetto, passa mesi al telefono o in qualche diner sulla costa a parlare con un ex detective. Diciamo che se avete visto la serie questo tizio dovrebbe essere una specie di Marty, ma più realistico, un poliziotto in pensione, tutto pragmatismo e muscoli, che gli fornisce i dettagli su casi e procedure, racconti confidenziali e trucchetti del mestiere, per la costruzione del mondo di cui andrà a raccontare. All’inizio doveva essere Matthew McConaughey a intepretare Marty ma poi le cose cambiano ed è lo stesso attore che convince Woody Harrelson a far parte del cast. Nemmeno Woody all’inizio ne aveva voglia. Mesi interi su set impervi, 12 ore di riprese al giorno, otto puntate della serie che ha sbancato ovunque nel 2014 e quest’estate eccolo li Cary, vestito come un modello, con quella figaggine intrinseca da giappoamericano che riceve l’Emmy per la miglior regia. E tutto questo è successo in cinque anni. Chissà cosa ci riserba per i prossimi cinque.
Ecco quanto era imbarazzato e sorpreso quando ha ricevuto l’onoreficenza più importante nella sua carriera
Ps: la seconda serie non la dirigerà lui.
Ps2: qui ci sono dei link ganzi e in inglese per approfondire sulle curiosità
Il documentario di Vice su una vicenda analoga a quella raccontata da Pizzolatto ma accaduta realmente, dieci anni prima, proprio in Louisana
Tutti i riferimenti letterari (e relativa bibliografia) della storia
Un Tumblr di citazioni prese dal film
Sin Nombre, il corto di cui parlavamo sopra in versione integrale