Questa è la prima foto che ho scattato a Berlusconi. Anni fa, a Montecatini. Mi è venuta in mente perché forse in campagna elettorale mi capiterà di fotografarlo ancora.
Ai tempi facevo esperienza da un fotografo mio amico e scrivevo per Il Tirreno. Lui lavorava per un’agenzia fotografica importante, LaPresse. Ogni tanto scattavamo dei commissionati. L’ufficio era stupendo, era un mega open space ricavato da una ex autofficina FIAT. Era un posto impensabile per Montecatini, città di vuoto e vuoti, c’era un negozio di Fabrica, un piano superiore dedicato agli eventi enogastronomici e si vendevano libri d’arte. Nel 2006 era una cosa avanti questa. Dentro c’era anche l’amministrazione degli hotel di Galligani, il boss della struttura. Era uno con le mani in pasta, uno coi soldi.
Un giorno siamo li in ufficio a fare le nostre cose e notiamo un giro di auto strane. Poi entra un tizio dal passo spedito in giacca e cravatta con due guardie del corpo. Era Dell’Utri. Ci misi un po’ per realizzarlo. Dal niente a Montecatini davanti a me c’era Dell’Utri. Lì. In Studio. Stavano organizzando gli incontri dei giovani dei circoli della libertà. In quel periodo vennero più o meno tutti: Brunetta, la Moratti, Fini. Erano gli anni in cui Forza Italia andava fortissimo e a Montecatini era un tripudio. Mi ricordo che li osservavo da vicino e mi sembravano i nazisti. Anzi mi sembrava come sarebbe stato il mondo se i nazi avessero vinto. Dei nazisti avevano quel piglio di sciocca euforia che sembrava dire al mondo “siamo indistruttibili”, un piglio che li distraeva dalla distruzione che stavano perpetuando su più livelli, nella macchina dello Stato. Più che altro vedevo un differenza sostanziale tra Berlusconi e i berlusconiani, come se i secondi fossero un tentativo maldestro di imitare il primo. Solo che il primo era tipo inimitabile per i comuni mortali.
Venne il giorno del comizio. Il palazzetto era pieno e c’era l’impianto di aria condizionata fuori uso, sparava caldo oltre misura. Si soffocava. Le luci, il caos, io ero in una postazione rialzata al centro del palco con le telecamere Rai. All’epoca volevo fare il fotografo, dovevo scattare il basket non me ne usciva una a fuoco neanche se scattavo 1/500 f.11 col flash. La macchina era pesa e mi tremava la mano, non me ne usciva una di quelle foto. Era un dramma. Ero drammatico. Mi ero portato fidanzata e amici per assistere all’evento. Avevo il terrore di sbagliare. Era da ore che il mio capo scattava e quindi mi disse di salire in postazione al suo posto proprio durante l’intervento di Berlusconi. Io stavo gomito a gomito con dei cameramen e per essere sicuro di non perdere niente osservavo la scena direttamente dall’obiettivo. Un 70-200 su un cavalletto. Niente succede che dopo cinque minuti lo vedo strano si asciuga il sudore, si strofina la faccia, ha la voce roca. E poi dal niente si accascia su se stesso privo di coscienza. Non fa in tempo a cadere che lo sorreggono. Nessuno capisce cosa succede. Prima tre secondi di apnea e poi un’esplosione di urla. Gente in piedi che urla “Silvio nooo”, una tipa che piange, il corpo di Berlusconi sollevato da quattro persone e trascinato via, l’aria che gira in vortice. In tutto questo… io scatto. Scatto tutto. Tutto. La domanda non è “è morto?” ma “saranno a fuoco?”. Volo giù dalle scale con la scheda in mano e la consegno ad Alessio che la scarica. Ci sono tutte. Sono venute tutte. È l’unica foto della scena. Chiamiamo LaPresse. Io ancora non ci credo. Venduta. La mattina dopo siamo in prima pagina su tutti i giornali. E per tutti intendo tutti. Io sono già convinto di avere sfondato di poter partire all’assalto del mondo. Invece succede che ci pagano una miseria e tipo sei mesi dopo. Io quel giorno ero lì a fare il mio lavoro di assistente e presi la mia paga di assistente e un piccolo extra, mi pare 150 euro in tutto. Una vera inculata. I soldi andarono al boss, ma erano comunque pochi. Il nome sulla foto pure. Li per li mi incazzai, ma oggi mi rendo solo conto che è così che va il mondo. Che la foto mi era uscita per il culo di essere lì e che la vita forse mi poneva altre mete. Questa foto la uso come aneddoto quando parlo della mia carriera non intrapresa da reporter. È stato come giocare una sola partita nella vita ma segnare con un sinistro al volo da fuori area a due minuti dalla fine nella finale di coppa. Ho fatto poco ma ho eccelso. Oppure ho avuto solo culo come mi disse quella della scuola di fotografia, già perché poi ho fatto anche la scuola di fotografia. Bah. Lei la trovo ogni tanto all’Esselunga con lo sguardo smorto e l’incapacità di dire ciao. Quando penso alla tristezza o al colore grigio vedo il suo volto.