A Cristina
Un sabato mattina di nubi nere che sembra notte, Antonio legge il Corriere con la schiena appoggiata contro il muro esterno di Santa Maria alla Fontana e, di tanto in tanto, abbassa le grandi pagine sotto la linea dello sguardo: aspetta che il vecchio esca fuori dal civico 37 di via Thaon de Revel.
Eccolo là! Attacca a pedinarlo. Non può che essere lui: le stesse sopracciglia da gufo che Antonio ha visto nelle foto in casa del vecchio durante la visita con l’agente immobiliare; lo stesso pomo d’Adamo panciuto, che ti viene voglia di ricacciarlo dentro con una martellata. Il cappello a tesa larga protegge l’intero volto dietro una cortina d’ombra. A venti metri di distanza, Antonio ne studia il passo: appoggia ancora la pianta sinistra come un bipede in salute, una pressione sufficiente per spegnere involontariamente una sigaretta, ma la destra la strascica, guarda lì, è innegabile, i muscoli della coscia non hanno più la forza di sollevare quella scarpaccia con la chiusura a strappo. E questo, per Antonio, è un ottimo indizio.
Anche l’espresso decaffeinato che il vecchio ordina nel bar Eustacchio – Antonio chiede al cameriere informazioni sulle farciture dei bignè e non ascolta le risposte – è di buon auspicio. Segno di un cuore malato, che cederà tra qualche altro milione di battiti: meglio dosarli con regolarità nel tempo piuttosto che scialacquarli con una sostanza eccitante. Questa deve essere la strategia di quell’ometto avvinghiato alla propria piccola esistenza. Antonio, per la precisione, spera che i milioni di battiti a disposizione del vecchio non siano più di 36: un anno di vita a sessanta battiti al minuto di media.
[pullquote]La verità è che la mia routine da dannato è orribilmente noiosa.[/pullquote]
Il vecchio riparte, la testa incassata tra cappello e clavicole, smunto da far pietà, un corpo mutilato di qualche pezzo impossibile da definire, una tartaruga umana senza carapace. Antonio ne origlia le chiacchiere dentro la ferramenta di via Borsieri. Il vecchio sta comprando delle mini stilo. Antonio finge di concentrarsi sui cacciaviti a stella e lo analizza: le spalle ricurve sotto la felpa tutta pelucchi, i ciuffi bianchi sulla porzione di nuca lasciata scoperta dal cappello abbassato sulla fronte, i ciuffi di chi non trova più una ragione per pettinarsi. Il vecchio tira fuori dalla tasca un telecomando protetto da un guscio di gomma lurida, spinge dentro le pile con il lungo indice deformato dall’artrosi. “Proprio queste” dice soltanto, con una di quelle voci che se chiudi gli occhi non sapresti dire se è di uomo o di donna. Antonio spera che il vecchio ammorbi il commesso: “sa, ormai il televisore è la mia unica compagnia”. O che mugugni perfino – ma questa è una speranza eccessiva, Antonio non vuole mentire a se stesso – : “non vedo l’ora che il Signore mi prenda con sé”. Insomma, Antonio spera in una frase che lo faccia sentire un po’ meno simile a un condor in volteggio sopra un bovino morente. Eppure, il sorriso soddisfatto, al limite del malizioso, con cui il vecchio deforma il volto pallido e ombroso mentre prende l’uscita – Antonio lo spia nascosto dallo scaffale dei siliconi – lo irrita tremendamente. C’è una luce, in quegli occhietti azzurri, una luce che sfida il mondo e la sua fretta di distruggere le proprie creature per produrne di nuove: tu mi hai voluto e tu mi tieni finché non lo decido io, caro il mio mondo.
“Non solo per il nostro futuro, ma anche in termini assoluti, diciamo pure cosmici, sarebbe meglio che il vecchio lasciasse spazio a chi ha ancora qualche dente in bocca” fa Antonio a Marianna una volta in casa, stravaccandosi sulla chaise longue del divano che occupa metà di quella stanza: con la camera matrimoniale e con un bagno dignitoso, e nulla più che dignitoso, esaurisce gli spazi della loro attuale abitazione.
“Signor Oscuri” dice Marianna, che sta salando l’acqua per la pasta. “È brutto chiamarlo vecchio”. Dalla pentola si alza una fumata bianca.
[pullquote]In fondo tu sei un medico. I vecchi vi vedono come i loro pusher di tempo, non aspettano altro che lasciarsi andare all’ipocondria[/pullquote]
“Tu speri che muoia quanto lo spero io” dice Antonio con gli occhi fissi sul televisore spento.
“Spero che casa sua si liberi e che possiamo trasferirci in un posto adatto a una famiglia”. Marianna alza le spalle. “Ecco tutto”.
“Che casa sua si liberi” ripete Antonio. “È un linguaggio mafioso. Anzi, da dispaccio delle SS. La baracca sessantaquattro del campo di lavoro di Mauthausen è stata liberata con successo”.
A tavola, Antonio infilza tre penne con la prima forchettata, mastica un po’, deglutisce in fretta il bolo ancora troppo compatto e dice: “Dobbiamo andarci a parlare”.
“Lopresti ha detto che è meglio evitare di incontrarlo”.
“Hai cambiato già tre case da quando vivi a Milano e ancora ascolti gli agenti immobiliari?”
“Mi sentirei imbarazzata”.
“Mica l’ha obbligato qualcuno a metterla in vendita”, allontana il piatto. “Nonostante la nuda proprietà, sono comunque duecento ottanta mila euro per un trilocale col parquet graffiato e gli impianti da rifare, perché lui possa godersi gli ultimi anni, o mesi, con tre filippine che gli lavano il sedere”.
“È nel cuore di Isola. Senza la nuda proprietà non verrebbe meno di quattrocento”.
“Gliene offriamo trecento, così bilanciamo?”
Marianna chiude gli occhi. “Mi piacciono tanto quegli infissi bianchi delle finestre”.
“Io voglio solo che tu sia felice” le stringe una mano sopra le tovagliette di paglia.
“Ma poi che gli diciamo?”
“Parliamo del più e del meno. Gli facciamo i complimenti per come ha tenuto la casa, per il gusto dei quadri”.
“Quelli sono lugubri”.
“Sì, ma così il vecchio si scioglie e attacca a elencare malanni e medicine”.
“Poverino”.
“In fondo tu sei un medico. I vecchi vi vedono come i loro pusher di tempo, non aspettano altro che lasciarsi andare all’ipocondria”.
“E noi intanto che facciamo?”
“Noi intanto cerchiamo di capire se ha senso attendere che la natura faccia il suo corso o se ci conviene accendere un mutuo per una casa non infestata da un non-morto diabetico”.
“Sei diventato un mostro”.
Antonio si allunga sul tavolo, scopre i denti, ringhia e morde il collo di Marianna.
“Ahia, stupido”, ride lei. “Però con Lopresti ci parli tu”.
Quello stesso pomeriggio lui chiama l’agente immobiliare, gli assicura che sono davvero interessati, che l’affaruccio non è mica male, a ben pensarci, ma, insomma, si parla comunque dei risparmi accumulati dai loro genitori in tutta una vita, perché con gli stipendi da professionisti di oggi al massimo ti compri un garage.
“Non so se è possibile incontrarlo” fa Lopresti.
“Tra l’altro” dice Antonio, “non è escluso che una volta messa a posto la questione della casa poi un garage non lo compriamo davvero”.
“D’accordo, magari provo a chiamare il signor Oscuri” – Antonio si immagina l’agente che, col cellulare stretto tra spalla e mascella, scrive provvigione su un post-it e ci sbava sopra, obnubilato da una fame ancestrale – “ma non assicuro niente, oggi è sabato e lui è molto riservato, io lo sento solo per telefono, sapete anche voi che lascia le chiavi sotto lo stuoino”.
“Almeno ci provi”.
Dopo poco Lopresti richiama, il suo tono è squillante: lui non potrà esserci, ma per loro due l’appuntamento a casa del vecchio è già fissato per il giorno dopo, ore nove.
Tempo di staccare l’indice dall’interno del secondo piano e il vecchio apre la porta.
“Vi aspettavo” dice dalla penombra.
“Lo vedo” Antonio forza una risata.
Oscuri indossa una vestaglia di pile macchiata di pomodoro.
“Grazie per averci voluto incontrare nonostante tutto”.
“Nonostante tutto”, il vecchio guarda per terra e annuisce.
“Insomma”, tartaglia Marianna, “sappiamo che è molto riservato”.
“Nelle mie condizioni non si può essere altrimenti”. Indica il salotto. Una candela viola, voluminosa, arde sul tavolino da tè.
C’è odore di chiuso e di borotalco, e di qualche cos’altro, qualcosa di acidulo, forse verdura andata a male.
Il vecchio aspetta che loro si siedano uno accanto all’altra e poi si accomoda su una sedia a dondolo lì di fronte. “Mi piace questo movimento” dice.
“Deve essere rilassante” dice Marianna.
“Perché lo sia davvero serve una regolarità da pendolo. Sempre uguale, colpetto dopo colpetto, giorno dopo giorno”. Sorride fissando Antonio negli occhi e ad Antonio sembra che gli abbiano buttato dentro al petto una badilata di neve fresca. “Già” dice con un filo di voce.
“Posso offrirvi qualcosa?”
“No, grazie” dice Antonio.
[pullquote]Non ce la faccio proprio a illudervi. Qualcosa di buono e di stupido rimane addirittura nei peggiori demoni[/pullquote]
“Magari un bicchier d’acqua” dice lei, “è gentile”.
Il vecchio va in cucina e loro si guardano attorno. I quadri, lugubri lo sono davvero: una palude nebbiosa, un rapace notturno, un castello diroccato, una tela completamente nera.
Oscuri allunga il bicchiere sopra la spalla di Marianna, lei sussulta: nessuno l’aveva sentito tornare. “Così aspettate che io, come si dice, tiri le cuoia” dice il vecchio.
“Grazie” dice lei e si copre la faccia col bicchiere inclinato sopra al naso.
Antonio vorrebbe dire “e lei aspetta i nostri duecento ottanta mila euro”, ma non se la sente.
“Su, su” dice Oscuri, “scherzavo” e ride con una voce diversa da quella che usa per parlare, una voce ora baritonale, quasi tellurica.
“Sa” attacca Antonio, “al giorno d’oggi non è facile permettersi una casa adatta a una famiglia, qui a Milano, e noi ormai abbiamo superato i 35 e”.
“A prima vista siete una coppia squisita” lo interrompe il vecchio.
“Grazie” dice Antonio.
“Sì, grazie davvero”, dice Marianna mentre appoggia il bicchiere sul tavolino. Antonio segue il suo movimento con lo sguardo: la candela è incisa con i caratteri di un alfabeto che lui non riconosce.
“Qualsiasi sia la condizione di un vecchio” fa Oscuri, “un vecchio resta un vecchio. E presto o tardi gli vengono due voglie. Uno: – alza l’indice nodoso, un artiglio di carne sottile – di essere ricco, servito e riverito. E due: di parlare con qualcuno. Dunque, per entrambe queste ragioni, eccovi qui” allarga le braccia, sembrano di colpo enormi, ali da predatore volante.
Marianna abbassa la testa e prende a rigirarsi l’anello di fidanzamento attorno al dito.
“Povera cara” dice il vecchio, “sei così tenera”.
Antonio dà un colpo di tosse.
“Non ce la faccio proprio a illudervi. Qualcosa di buono e di stupido rimane addirittura nei peggiori demoni”.
“Ma che intende?” fa Antonio.
“Che avrete un bel po’ da aspettare, cari ragazzi, perché io muoia”.
“Si vede che è in salute” dice Marianna, “ha dei movimenti scattanti, da ragazzino”. Lo misura da capo a piedi, mentre quello continua a dondolare. “Sì, da grillo”.
“Sa” dice Antonio, “Marianna è medico” la bacia sulla guancia. “Pediatra, le piacciono tanto i bambini”.
“Il fatto” riattacca il vecchio, “è che io sono un vampiro e tecnicamente potrei campare per l’eternità”.
I due si guardano.
“So che non è facile trovare le parole quando le circostanze superano in maniera tanto sproporzionata le nostre previsioni, ma vi aiuto io. Al di là di tutte le considerazioni scientifiche o metafisiche che adesso potreste fare, il vostro pensiero, ridotto al nocciolo, è sintetizzabile così: acciderboli, questa non ci voleva”.
Antonio torna con lo sguardo alle iscrizioni sulla candela.
“L’ho comprata alla Maison du Monde, è tailandese” dice Oscuri. “Ogni tanto mi piace darmi arie da vampiro romanzesco. La verità è che la mia routine da dannato è orribilmente noiosa. Mi ha trasformato una tecnica radiologa, anche lei fresca fresca di morso, quando ero già decrepito e ricoverato in un ospizio. E così mi sono fermato a 87 anni d’età. Non un grande affare”.
“Togliamo il disturbo”, Antonio si alza.
“Non può dire sul serio” dice Marianna.
“Venga qui” dice il vecchio. “Mi senta i battiti, la temperatura, quel che vuole”.
“Ma figuriamoci” fa Antonio.
Marianna si avvicina a Oscuri.
“Ma che fai?” dice Antonio.
Lei mette le dita sulla giugulare del vecchio. Antonio si solleva sulle punte e stringe i pugni. “Cazzo” grida Marianna, “questo è morto davvero”.
La gambe di Antonio cedono e lui si trova col sedere per terra.
“Che ragione avrei di mentirvi?” fa il vecchio con una smorfia di offesa.
Marianna indica le macchie sulla sua vestaglia. “Allora quello non è pomodoro”.
“Ma sì, ma questi sono argomenti noiosi, per me è lavoro, quel che uno è costretto a fare per campare, non ho voglia di parlarne”.
Per un minuto buono nessuno fiata. Oscuri, con l’unghia giallastra, si gratta via le incrostazioni dalla vestaglia senza smettere di dondolare. Il legno della sedia scricchiola.
[pullquote]I quadri, lugubri lo sono davvero: una palude nebbiosa, un rapace notturno, un castello diroccato, una tela completamente nera[/pullquote]
Antonio riesce a stento ad alzarsi in ginocchio. “Quindi” sussurra, “quindi non ha intenzione di”, si accarezza il collo, “di morderci”.
“Io sgobbo la notte, ora sono a riposo”.
“Dio mio”, Marianna afferra il polso del vampiro. Continua a tenerlo stretto a palparlo e a tastarlo.
“E mi lasci”, Oscuri glielo strappa di mano con un motto di insofferenza da vecchio bilioso.
“Scusi” dice lei.
“No, mi scusi lei”, si ricompone nella sua vestaglia, “non volevo essere scortese”.
“Non lo è stato, anzi” dice Antonio, che più che altro ormai straparla. “Anzi” ripete con un sussulto in falsetto.
“Mi siete simpatici. Eravate a non più di due metri da terra, con i vostri lavoretti e i vostri progettini, eppure vi siete spaventati anche cadendo da un’altezza tanto ridicola”.
“Volevo solo dei bambini” dice lei.
“Le cose stanno così. C’è qualcosa di superiore perfino ai poteri del maligno. E parlo del caso. Anche i vampiri muoiono, come sapete. Può essere che un giorno di solleone io dia di matto ed esca nudo fuori dalla porta e mi squagli come un ghiacciolo. Può essere che per far un dispetto a un vecchiaccio come me dei discoli in un bar sostituiscano polvere d’aglio allo zucchero per il caffè: col presbitismo che mi ritrovo, crepo prima d’accorgermene. Può essere che un giorno un grasso, invasato esorcista polacco mi sfondi la porta e mi conficchi un crocifisso acuminato nel cuore”.
“Ma noi” dice Antonio, ancora in ginocchio, con sguardo assente “noi non ci permetteremmo di sperare che”.
Oscuri gli mostra il palmo – quell’altro si zittisce – e dice: “Voglio dire che di certo ed eterno non c’è niente”, in un dondolio accarezza la testa di Marianna, seduta sul parquet accanto a lui. “Il guaio è che, quando io morirò, voi potreste essere già in avanzato stato di decomposizione”.
Marianna si preme le dita sulla bocca. Il vampiro la accarezza con più vigore, smette di dondolarsi, si abbassa, le annusa il collo. “A meno che” riprende, “a meno che non vi facciate dare un morsetto qui” e con l’indice dà un colpetto sulla gola di Marianna.
“È molto gentile, ma” sta dicendo Antonio.
[pullquote]Hai trovato un ragazzo col senso per gli affari” dice Oscuri a Marianna. Poi la guarda dritto negli occhi e fa: “La chiudiamo a due e sessanta e due morsi?[/pullquote]
“Così” lo interrompe il vampiro, “giochiamo alla pari. Anzi, voi sareste di gran lunga avvantaggiati. Perché comunque, vampiri o non vampiri, i giovani hanno qualche vantaggio nella lotta per la sopravvivenza, bisognerà pur riconoscerlo”.
“Il vigore della gioventù” dice forte Antonio, come citando un verso famoso.
“Ben detto” annuisce Oscuri. “Mettiamo che di colpo ci si ritrovi tutti e tre esposti alla luce del sole d’agosto. Chi di noi avrebbe la forza di raggiungere un cono d’ombra? Oppure, mettiamo che il nostro esorcista polacco sia meno grasso di come l’avevo dipinto, mettiamo che sia un prete finocchio con la fissazione per il fisico”.
“Se posso permettermi” mormora Marianna, “sarebbe meglio dire omosessuale”.
“E sia” dice Oscuri. “Mettiamo che si presenti qui in Isola questo giovanotto omosessuale con deltoidi e trapezi di tutto rispetto”.
“La sto seguendo” dice Antonio socchiudendo gli occhi con aria concentrata.
“Molto bene. Ecco, allora, chi pensate che riuscirebbe ad accoppare per primo: me, o voi?”
“Spiace dirlo” dice Marianna, “ma probabilmente ucciderebbe prima lei”.
“Giustissimo”, Oscuri inspira forte a pochi millimetri dal collo di Marianna. “E a quel punto voi avreste un bel trilocale, con un parquet che ha bisogno di una mano di fresco, non voglio essere disonesto, ma, insomma, un trilocale da novantacinque metri quadri, badate bene: calpestabili, a un prezzo francamente stracciato”.
“Facciamo due e cinquanta?” dice Antonio, in ginocchio a fissare il nulla.
“Hai trovato un ragazzo col senso per gli affari” dice Oscuri a Marianna. Poi la guarda dritto negli occhi e fa: “La chiudiamo a due e sessanta e due morsi?”
Marianna osserva Antonio, si scambiano un cenno di intesa, innamorato, e lei, abbandonando indietro il collo, allungando una mano verso il fidanzato, prendendo l’ultimo respiro da mortale, dice al vampiro: “Non esageri”.