IT capitolo 2 è vietato ai minori di 14 anni. Io ho un bambino di 9. E ci sono andato. E lo consiglio: IT deve essere visto da bambini minori di 14 anni.
IT è un film catalogabile come horror, ok. Può far paura, ok. Ma è una grande storia, e le grandi storie valgono la pena di essere lette, viste, raccontate. Sempre. A chiunque. Perché insegnano, perché ti fanno decidere, perché fanno da navigatori notturni quando di luce se ne vede appena. IT ti costringe a spiegare a tuo figlio quello che c’è dietro a questo film e al libro del gigantesco Stephen King da cui è tratto.
[pullquote]Nessuno può dirti che sei sbagliato. Se sbagli, non sbagli. Se sbagli, io sarò con te. [/pullquote]
IT è una metafora. Il clown Penny Wise rappresenta le nostre paure. Le paure che tutti noi abbiamo dentro, quelle di essere grassi, froci, inadatti, sbagliati. Per attirare i bambini IT fa fede sulle loro insicurezze, una voglia sul viso, una barchetta persa, un complesso. Sono le paure con cui cresciamo e che spesso ci portiamo dietro, dentro, a lungo. Qualcuno ha detto: non ci libereremo mai delle catene che abbiamo spezzato. Ed è proprio così. Un bambino che è stato preso in giro perché ciccione un giorno potrà crescere (come succede a uno dei protagonisti) ed essere bello alto e palestrato ma dentro di sé conserverà sempre quel timore di non essere accettato per quello che è. Un timore che deve fronteggiare, sconfiggere, superare ogni volta. IT è quel timore. Che rimuovi, spesso, ma che comunque resta sopito nelle profondità del nostro io.
Infatti i ragazzi che 27 anni dopo tornano a Derry per combattere contro il ritorno in città del mostro clown hanno tutti una storia di riscatto, da esclusioni, ferite, fratelli scomparsi, padri di merda. Per questo si chiamano Losers, perdenti. E alla fine (ATTENZIONE: SPOILER!) ammazzano Penny Wise con battaglie in posti che questa profondità la richiamano: sottoscala, cantine, fogne. E prima di farlo si dicono due cose: 1) restiamo sempre insieme 2) uccidiamo quel clown di merda.
[pullquote]IT ti insegna che vai bene come sei, che va bene come vuoi essere e che per essere come vuoi essere ci metti del tempo, ci metti una vita [/pullquote]
Uno: il valore sociale. Circondarsi di persone che ami. A cui vuoi bene e che non ti giudicano, ma ti capiscono, ti accettano, che non ti fanno sentire inadeguato. Ieri, ancora prima di andare a vedere il film, ho fatto una riflessione. Questa: gli amici, i miei amici veri, come me condividono tutti un passato umile. Umile non vuol dire povero, misero. L’umiltà è un concetto nobile. A me per esempio non è mai mancato niente nella vita. Ma la mia è sempre stata una famiglia umile. Come quella di quelli che ritengo miei amici, amici veri. Siamo simili. Non c’è un cazzo da fare. Ho anche amici che arrivano da famiglie più agiate, per carità, ma alla fine con loro non ho quel rapporto così profondo che ho con gli altri. Si tratta di aver condiviso cose spesso impercettibili, piccole sofferenze, camere con i muri umidi, camere che spesso non erano manco camere da letto, urla per arrivare alla fine del mese che poi comunque arrivava e lotte, lotte per raggiungere ciò che vedevi ma che gli altri – quelle delle famiglie più agiate – già avevano.
Derry umile disegnata da un fan
Due: andiamo a uccidere quel clown di merda, ovvero quelle paure lì che ci sono entrate sottopelle, quelle insicurezze. Avrò avuto 20 anni o giù di lì quando Vasco uscì con Mi si escludeva. È una canzone che mi torna spesso in mente. “Mi ricordo che sì sì escludeva per motivi che oggi fanno solo ridere”. Quella canzone era mia. Io sono per gli esclusi perché escluso lo sono stato. Per motivi che oggi mi fanno ridere. Io sono per i perdenti perché ho perso tantissime volte. Perdo ogni giorno. E c’ho messo una valanga di anni a capire che i vincitori perdono, che la sconfitta va messa in conto, che la sconfitta non deve cambiare la tua volontà o perseveranza.
[pullquote]Io sono per gli esclusi perché escluso lo sono stato. Per motivi che oggi mi fanno ridere. Io sono per i perdenti perché ho perso tantissime volte[/pullquote]
Un’altra frase decisiva del film è: “Se ci credi funziona”. Se credi in Dio, Dio funziona. Se credi in una squadra, quella squadra la tifi. Non importa in cosa si crede, importa credere. Ne abbiamo bisogno. Io non credo in Dio, credo in ciò che sento, in ciò che voglio e soprattutto in ciò che non voglio. Credo nel gioco e nella matematica. Perché hanno regole che possono essere smentite.
Benedetto Stephen King. In IT capitolo 2 appare in una scena. Uno dei protagonisti è uno scrittore. In un negozio ritrova la bici che aveva 27 anni prima, in quel negozio c’è King. King, lo scrittore vero, dice allo scrittore attore: “Ehi io so chi sei, ho letto i tuoi libri, uno ce l’ho qui sul bancone”. Lo scrittore attore gli chiede: “Vuoi che te lo autografi”. E King gli risponde: “Naaa, non mi è piaciuto il finale”. Geniale. Lo scrittore che critica lo scrittore. Che fa breccia in una sua insicurezza, che è anche una insicurezza di King.
Vallo a spiegare a tuo figlio. Ci provi. E già va bene. Che IT ti insegna che vai bene come sei, che va bene come vuoi essere e che per essere come vuoi essere ci metti del tempo, ci metti una vita. Se ti va di culo. Perché molti non ce la fanno nemmeno in una vita. Ma che invece si può. Si lotta, si vince, si perde, ed è proprio quando si perde che si deve continuare a lottare. Siate sinceri, si dice alla fine.
Nessuno può dirti che sei sbagliato.
Gli sbagli generano nuove vie. Strade personali. Creative. Che destabilizzano le regole e le riscrivono. Se sbagli, non sbagli. Se sbagli, io sarò con te. Fanculo a chi ti dice come devi essere, a chi ti dice che per stare con noi devi essere così, vestirti così, comportarti così. Fanculo a quei clown di merda, uccidiamoli, uccideteli.