L’altro giorno sono passato davanti a una pasticceria, in una via secondaria, in provincia. Mi sono preso un caffè in uno di questi nuovi bar tutti bianchi, tutti un po’ uguali, di plastica e legno che quasi ti fanno rimpiangere la radica. Andandomene ho visto una serie di ragazzi africani che stendevano i panni e bivaccavano in ciabatte di fronte a quello che una volta credo fosse un piccolo ambulatorio e ora li ospita. Ho capito subito che si trattava di alcuni migranti che lo Stato sta smistando tra i vari comuni. Mi ha fatto un po’ male il commento di un signore che era li a fissarli con lo stecchino in bocca: «Guardali, guarda! Per 38 euro al giorno se la spassano alla grande no? Me li dessero a me 38 euro al giorno… pezzi di merda».
Non gli ho dato spago, sono venuto via. Mi sembrava tutto una miseria. Una miseria loro, una miseria il tizio, una miseria sta storia dei 38 euro che mi ha proprio rotto le palle. Non so se fa più male l’ignoranza della povertà. (qui un compendio su bufale simili a queste, se avete un’anima fatelo girare)
Detto questo.
È degli ultimi tempi la notizia della costruzione di un muro a Calais. Il muro a Calais, quello che Trump vorrebbe al confine col Messico, quello di Padova. È un concetto antichissimo, metti su un muro, non permetti alle persone di entrare. Specialmente se le persone sono profughi, clandestini, gente di quei paesi laggiù… Loro però entrano lo stesso, scavano buchi, si intrufolano dentro ai tir con carichi commerciali rischiando di morire. Spesso muoiono. Online ci sono dei video dei profughi che a Calais assalgono i camion al casello sperando di montare al volo come Fantozzi col bus del mattino. Solo che è tragico.
Quindi c’è mezzo mondo che scappa dal proprio paese e cerca riparo in altri paesi. Questo genera scazzo perché gli abitanti di quei paesi che sono oggetto di flussi migratori cominciano a non averne più tanta voglia. Quindi nascono le tensioni sociali, i Salvini, i vari ignoranti del “mandiamoli tutti a casa loro”.
A Calais di Carrère è una piccola gemma. Nasce come reportage per XXI, trimestrale francese e giustamente viene distribuito in versione libro. In Italia è portato sugli scaffali da Adelphi. È la storia della sua permanenza al’Hotel un tempo frequentato principalmente da ricchi inglesi in vacanza, adesso adesso bivacco di transito di giornalisti, documentaristi ma anche sciacalli in cerca di tragedie. La cosa potente del testo è che Carrère riesce a parlare di noi parlando dei migranti. Vengono a galla i pregiudizi, le paure, l’ignoranza (ancora) degli abitanti della cittadina verso gli abitanti della Giungla, la struttura dal nome poco invitante che ospita 7000 migranti. 5000 in più di quelli che può contenere.
Mi dispiace solo non aver letto qualcosa di qualche scrittore italiano che ne so, su Lampedusa. Si c’è il film di Rosi, ci sono degli editoriali molto belli sui quotidiani, ma non ho ancora visto un lavoro d’insieme sul tema degli sbarchi e dei migranti. Eppure è tutto così alla luce del giorno. La penna di uno scrittore non è quella di un giornalista, ha una funzione diversa. I lati più oscuri dell’animo umano vengono fuori da queste semplici cinquanta pagine, rendendolo un testo fondamentale per capire il presente. Le nostre librerie sono zeppe di narrativa, c’è tanta saggistica sul medio oriente, sulla finanza, ci sono manuali di autostima e testi motivazionali. Però ecco non ho letto un premio Strega, uno, che si occupasse di Lampedusa seriamente. perché oggi siamo tutti pieni di informazioni, di telegiornali, di televisioni, di tweet, ma abbiamo poca gente che ci spieghi questa massa di dati. Gli scrittori, oltre che pubblicare romanzi, potrebbero essere un ottimo mezzo per divulgare questo tipo di sapere. Forse c’è bisogno di rivalutare in società il ruolo dello scrittore. È come se dopo decenni di ideologia (anni 60, 70 e 80) tutto fosse post ideologico adesso. Come se il solo pensiero di essere impegnati culturalmente fosse un concetto che fa schifo. Oggi abbiamo dei romanzieri che scrivono grandi trame fantastiche e plot che portano in una realtà che non è questa. Se parli con qualcuno di arte, ti viene detto che l’arte è solo ciò che ti fa evadere, che crea altri mondi. Beh, lasciatevelo dire, è una stronzata.