La cura di sé è un baluardo contro la barbarie. Scrivo per odio, rabbia, per difetto e mancanza. Il qualunquismo che si cela nelle menti raffinate, i talent, le impalcature, banale è la verità, le poetry, un lascito

Considerazioni di uno Sconfitto /2
20 Nov 2014

Asino

Esonda ogni bendidio, esondo pur’io, oggi, giorno del mio compleanno, mi porto dietro detriti, febbre, sensazioni, polvere, smog, smartphone, nicotina, caldaie; e poi sgomberi, smottamenti e scivolamenti, anche personali in sto periodo. Dico che non bevo, ma non è vero. Mi capita e quando mi capita è devastante, bevo così tanto che non mi percepisco più, mi faccio paura. Ho (ri)smesso di bere quando una mattina mi sono svegliato e come primo pensiero della giornata ho avuto quello di farmi un americano. Qualcosa non tornava. Occhio. Poi se bevo ingrasso e a me ingrassare mi dà fastidio. Mi faccio schifo. Perché non essere in grado di prendersi cura di sé è solo un altro passo verso la sciatteria, la debolezza. La cura di sé è un baluardo contro la barbarie.

[pullquote]Là, sulla scena, nel teatro, so esattamente come muovermi, nella vita sono uno sfollato (E. De Filippo)[/pullquote]

Ho fatto un sogno. Un mio caro amico, un mentore, Alessandro De Gregorio, leggeva un mio pezzo, eravamo al tavolo di casa sua, a Piombino. Alza la testa dal giornale e fa: si vede che scrivi per odio. Sì. Io scrivo per odio, rabbia, scrivo per difetto e per mancanza. Devo essere lucido quando scrivo. Dichiarare i miei nemici. Oggi il mio nemico è il popolino, il qualunquismo mi genera fastidio più di quanto me lo possa generare da solo il giorno del mio compleanno. Dov’eravamo quando tutto andava a pezzi e i giornali, le tv, il web non ne parlavano? Il qualunquismo è ovunque, si cela nell’intellighenzia presunta tale, è un vortice in cui tutti prima o poi ci facciamo attrarre. Pure il mio amico Dario Orlandi che si sfoga contro l’ennesimo talent, quello sulla fotografia.

Ebbene, faccio outing: l’idea di fare un talent sulla fotografia l’ho avuta anche io. Ho scritto un soggetto, l’ho sottoposto a Thorimbert, con Benedusi e De Luigi abbiamo sviluppato il format, poi loro hanno parlato con un produttore, poi l’idea l’ho abbandonata (l’abbandono: unica qualità che offro con costanza nel mio menu) e il progetto, per altri motivi, si è arenato. Peccato. Perché per me i talent non sono il male, anzi vanno benissimo. Spettacolarizziamo noi stessi in primis, con uno status, un tweet, costruiamo impalcature quotidiane perché siamo figli del nostro tempo, di questa brut epoque che tutto macina e niente esclude e ci lamentiamo dei talent? I talent sono un aspetto tra i tanti, esistono talent buoni e meno buoni. Cito Manuel Agnelli: «Il problema non sono i talent, il problema è che ci sono solo i talent». Sarebbe giusto, ma non è vero. Non esistono solo i talent. Ognuno si salva da solo. Nessuno salva gli altri. Ognuno deve costruirsi le proprie impalcature contro la barbarie. Cito Lorenzo Cherubini, che in un’intervista mi disse: «L’importante è che ognuno faccia quello che vuole fare e lo faccia bene». Ho letto un pezzo su Eduardo De Filippo ultimamente. Ho sottolineato una frase: «Là, sulla scena, nel teatro, so esattamente come muovermi, nella vita sono uno sfollato». Torna, no? I talent non moriranno perché sono responsabili del degrado culturale, i talent moriranno perché annoieranno, perché stanno diventando sempre più brutti. Guarda XFactor cazzo, quando parlano i giudici ormai sembra di sentire i giocatori dopo le partite di calcio. Sostituisci l’abbiamo giocato bene, il mister ha deciso così con sul palco sei credibile, sei pazzesco, sono sempre più contento di te, ed è fatta.

[pullquote]Ognuno si salva da solo, nessuno salva gli altri[/pullquote]

Ditemi qualcosa di nuovo, fatemi imparare qualcosa. Dario, dici che il degrado culturale permette a Le Iene di essere considerata una trasmissione d’inchiesta. Ma avercene di alcuni delle Iene: Pelazza, quello coi capelli rossi di cui non ricordo il nome, Lucci. Ripeto: avercene così. Come quelli che dicono: i giornali scrivono merda. Vero. Ma non sempre. Ci sono giornalisti che fanno paura da quanto sono bravi: bisogna trovarli, seguirli, affidarsi a loro e montare mattone dopo mattone una propria coscienza critica. Domenico Quirico su tutti, inviato de La Stampa. Dove sono, domandi, i Calvino, i Pasolini, gli Antognoni, i Visconti, i Pavese? Cazzo, ne abbiamo. Puoi non esserne d’accordo ma Travaglio è gigantesco (e non scopa i minorenni; vedi, qua ci sono caduto io nella banalizzazione e alla fine sai cosa, banale sempre più banale è la verità). E Sorrentino? E anche se fosse? Non è che un Pavese nasca ogni generazione, e menomale. E poi: se fossero vivi oggi, quelli che citi che farebbero? Io non lo so. Però ipotizzo: verrebbero banalizzati, si banalizzerebbero da soli per essere accettati, per nutrire il proprio ego o perché gli andrebbe bene così, e poi chissà verrebbero criticati, vezzeggiati come lo sono già stati in vita, forse un po’ di più, dal coglione di turno su uno dei social di turno.

A proposito di sogni, ne ho fatto uno tempo fa molto tormentato, quando mi sono alzato ho scritto questa:

Foglie sepolte
che aspettano
il vento

È la condizione esistenziale di chi, in questa brut epoque, aspetta un cenno, un colpo di vento, per smuoversi e poi… e poi boh.

Oggi, giorno del mio compleanno, dico che sulla mia tomba mi piacerebbe una cosa del genere:

Mi dispiace, volevo fare di più.

Ma una tomba non la voglio. Ho già dato mandato a chi di dovere di spargere le mie ceneri sul più grande paio di tette di uno strip club. La foto in questa pagina è la mia preferita di sempre, è di Beppe Calgaro.

 

 

@moreneria

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