Trainspotting 2 è un film brutto. Brutto poverino non perché non sia bello, ma perché ha il cuore intriso di malinconia. Non è nato sicuramente da esigenze artistiche ed è un’operazione commerciale o un’operazione nostalgia. Niente di male in questo, ma T2 è amaro. Arriva nell’anno dei grandi revival (tra qualche mese la terza serie di Twin Peaks e a giugno Blade Runner 2) si traduce nel sospetto, neppure tanto velato, che trent’anni a questa parte non ci sia stato più niente di veramente significativo, che abbiamo bisogno di un sequel perché la generazione di quelli nati negli anni ’80 (la mia) non ha lasciato veramente il segno, o non è stata ritratta. Si guarda al vecchio esaltandolo per mascherare un senso di colpa languido: la consapevolezza che non abbiamo fatto una beata mazza. Penso che pure Danny Boyle abbia maledetto i soldi accettati e mi si è radicata in testa una convinzione, che quando fa dire alla giovane prostituta bulgara rivolta a Renton e Sick Boy: siete vecchi e pensate solo al passato, stia parlando di noi e di se stesso. Il pubblico lo voleva, il pubblico va pazzo per i revival, per il vintage, per il passato, il pubblico È nostalgico. Era tutto meglio. Prima. Prima quando? Prima… di ora. Prima di NOI. Diventa una sorta di Quando c’era lui… Ho un sacco di miei amici ammalati di questa nostalgia, 35enni che languono per un passato in cui nemmeno stavano bene… gli anni ’90, un periodo torbido sotto ogni scenario, dalla cultura alla politica, dall’arte alla finanza.
Trainspotting 2 nasce da questa nostalgia.
Se la nostalgia ha un tempio in cui essere venerata quel tempio oggi è il web. Se il tempio ha dei sacerdoti, quelli sono i ragazzi nati negli anni ’80 e ’90, coloro che producono contenuti, che usufruiscono, che intellettualizzano il web. Intellettualizzare il web non vuol dire un cazzo, me lo sono inventato, è come essere convinti di parlare col gatto e il gatto capisce. Non è nemmeno utopico, è proprio impossibile. Come se il web avesse una vita propria. Quando vi parlano de “la voce della rete” o l'”opinione del web”, non vi stanno dicendo niente. Ci sono solo persone e persone e persone. Infine se la nostalgia ha un esercito di fedeli siamo tutti noi che usiamo i filtri vintage delle app per foto, che mettiamo i like (che c’è di più effimero del like?).
Frequento il web come abisso esplorativo, come ozio creativo ispirazionale; da anni accumulo ore di scrivania in ufficio o nella penombra di casa in cui il tempo si allunga come una sbobba sbronzante («Sono al computer arrivooooo un attimooooo») e la noia si trasforma in effervescente occasione, tra pagine scrollate, refresh, e pellegrinaggi da un sito all’altro alla ricerca del “wow! figata!”, alla ricerca della digital ephemera, che è l’ultimo tesoro rimasto accessibile. Un tesoro gratuito e alla portata di tutti, una manna dal cielo nell’era dove non ci si può permettere di viaggiare o di acquistare beni materiali. la digital ephemera è il metadone dei consumisti.
Vedo il web come mercatino delle pulci di paccottiglie emotive in cui tutto è gratis, il web come un grande luogo popolato di stramboidi che un tempo avrebbero animato festival dell’antiquariato e mostre scambio di vinili. Il web come Tumblr, come foto salvate e tenute preziosamente negli sfondi dello smartphone o inviate a fidanzate e amici come preziose cartoline. Il web come pagina di annunci perenni che non pubblicizzano più prodotti ma profili, pagine di utenti che sono annunci di loro stessi. Il fine ultimo? Incontrare qualcuno o qualcosa che ti sconvolga la vita. Come sempre. Come prima del web.
C’è il sospetto che il web non abbia cambiato NIENTE. Però la sua parabola mi ricorda quella dell’euro, qualcosa che doveva unirci ma che a reso più ricchi i ricchi e più poveri i poveri. Come l’euro ha svalutato tutte le altre valute, ciò che prima era monetizzabile (una canzone, una fotografia, una competenza) è diventato alla portata di tutti e quindi gratuito. Mi viene da ridere quando sento parlare di proprietà intellettuale. Ormai tutto è di tutti, niente è di tutti. Jacopo Benassi, diventato famoso con i suoi scatti alle pantofole che ha sempre pubblicizzato sul web, si trova la Nike che mette in vendita le Nike Benassi. Foto del prodotto identiche (ma brutte) alle vecchie foto delle pantofole di Benassi. Oltre il danno, la beffa, perché Benassi usa Adidas. Il web è così non te la puoi neanche prendere.
Si pensava che il web avrebbe spazzato via tutto, che sarebbe stata una peste culturale e che solo i ragazzini post 2000, quelli che passano le ore a guardare i video di Anima, SurrealPower, Vegas e Favij, avrebbero avuto gli anticorpi per sopravvivere. Invece niente. Guardatevi una puntata di Non è la Rai e ditemi se lo avreste mai detto che Ambra diventava qualcuno? Non è la Rai rivisto oggi è veramente il niente. Tipe che ballano mezze nude. Oggi un programma così non te lo puoi mica permettere, tuttavia tutte le generazioni hanno una componente di incomprensibile, di inammissibile, di decadenza, ma l’incomprensione riguarda solo per la generazione precedente: i vecchi. Un esempio? Dovevano sparire vent’anni fa e invece si vendono ancora i vinili, si fanno ancora le foto in pellicola. Si posta tutto online. Il vaccino consiste nell’iniettarsi il virus. È solo il cambiamento che ci spaventa. Ren Hang, che si è suicidato ad appena trent’anni mentre era il fotografo cinese più famoso del web, diceva che le fotografie digitali erano solo grafica, immagini. Le vere fotografie per lui erano solo a pellicola. E non era un frequentatore di circoli di fotoamatori di provincia.
Il lato oscuro, non ludico, paludoso del web sono i social network. I social network sono un luogo scabroso, un Discount della realtà, in cui si vendono come ottime occasioni dei pacchetti viaggio all inclusive a gente in bolletta, gente che non potendo permettersi la versione lusso della vita (quella in cui fa quello che gli pare), si prende quel che può facendo finta di fare quello che gli pare sul web. Quello che potrebbe essere un’eden virtuale, diventa così un simulacro della realtà e le persone cominciano a comportarsi come nella realtà recitando una parte.
Avranno anche pompato la primavera araba ok, ma da noi i social network non sono serviti a niente. Ci hanno dato solo più Scanzi, più Lucarelli, più influencer, più trend topics. I social sono un fenomeno di cui nessuno sa niente, nessuno realmente capisce la portata ma in realtà nessuno può fare a meno. I social sono un traghetto che fa la spola continua tra la realtà cruda in cui viviamo e una realtà che è quasi identica alla nostra ma più frivola, e finiscono per essere loro a influenzare la realtà e non il contrario. I social riescono a far smuovere il Codacons e Renzi per prendere le difese (giustamente) di Bebe Vio ma che rendono macabramente celebre Tiziana Cantone, la povera crista sputtanata, derisa all’unanimità da famosi e buzzurri, da FRAGOLA, umiliata fino a rimetterci la vita. Il politico una volta fatta la dichiarazione che appare sui social può benissimo non fare più niente tanto ormai la cosa l’ha detta, è su internet, e passa di bacheca in bacheca come di bocca in bocca fino ad arrivare lontanissimo come nell’antica tradizione orale trasformando le gesta ad ogni condivisione di post, ingigantendole, distorcendole, rendendole irrimediabilmente indipendenti dalla realtà. Fino a qualche tempo fa la gente passava il tempo davanti alla tv senza mai aprire un libro o un giornale, ora quella gente ha la tv e i social. Libri e giornali sono per mosche bianche.
I social sono quello spazio in cui le notizie nascono così rapidamente che non si capisce se sono vere o false, ma che non si fa in tempo a smentirle perché ormai sono diventate virali ed è già tardi. Sono un fenomeno per cui si devono fare leggi anti bufale perché Secondo l’Istat 80 nostri connazionali su 100 sono analfabeti “funzionali”. Cioè sanno leggere, scrivere e far di conto, ma non sono in grado di comprendere e sintetizzare un breve testo di media difficoltà o un articolo di giornale appena letti o ascoltati. Sanno aggiornare il loro profilo Facebook, ma non comprendono un grafico o i termini di una polizza assicurativa. Leggono, guardano, ascoltano, ma non capiscono. E spesso non se ne rendono nemmeno conto (La Stampa). Dati che potete leggere qui.
È molto più rassicurante essere turisti nel web che protagonisti. Anonimi viaggiare per riportare a casa souvernir.
Tumblr è il Louvre del nostro tempo.
L’ocolus è la nuova dimensione di questo tempo. La realtà virtuale sarà il nostro paradiso.