Io.
Dieci anni fa sono diventato padre del primo figlio maschio che, pensatela come volete, nella vita di un uomo è un avvenimento decisivo, perché viviamo in una società patriarcale, perché sono un terrone, perché… semplicemente perché sì. Il fatto è che non mi sento un uomo. Se penso a me il volto a cui penso è il volto di Moreno ventenne, invece se guardo l’ultimo ritratto che mi ha fatto Thorimbert ecco le rughe, ecco la barba tenuta male, ecco le occhiaie, ecco i capelli bianchi, ecco il naso rotto due volte di chi le ha date e le ha prese ma io le ho solo prese. E allora mi guardo e vedo: le mie inquietudini, i miei parti, le mie paranoie, quell’ambizione che spesso mi blocca, quel buio e quella luce che non si spegne, vedo me.

Succedono cose che non sai perché succedono ma succedono. Succedono cose che non sai se crederci o no ma succedono

Ché il dolore, quando ne parli, quando lo condividi, passa un po’
– Ma lei non ha letto il mio libro, vero? mi ha risposto.
– No.
– E perché è qui?
– Perché mi ha mandato Banhoff, non mi sono informato, non so niente di lei, non lo so perché sono qui.
– E di cosa ha bisogno?
La prima risposta è stata quella giusta.
Ero stremato, mi sono massaggiato la fronte e ho detto: ho bisogno di equilibrio.
– Lei più pensa alle cose più le vede come insormontabili. Meno ci pensa e più le riescono. Le torna tutto quello che ho detto?
– Sì, tranne una.
– Mi ha detto che non sono capace di fingere. Ma fingo tantissimo, ogni giorno.
– Lei si è stancato di farlo, mi fa, crede che le riesca ancora bene ma gli altri se ne accorgono e se ne accorgeranno sempre di più.
Poi ci siamo salutati.
Sono uscito con un senso di vertigine.
Come se Atzoni fosse entrato nel mio locale spazzatura e l’avesse liberato sacco per sacco, buttando tutto fuori.
Ho camminato frastornato.
Più leggero.
Semi ubriaco.

Succedono cose che non sai perché succedono ma succedono. Succedono cose che non sai se crederci o no ma succedono.
Succedono cose e questo è perché siamo qui: per farle succedere.
E quando succedono l’importante è seguitare a fare e farsi le domande, e restare in ascolto e capire ciò che si sente.
Io.
Io mi sento perso tante volte, spesso più volte al giorno. Mi sento sconfitto almeno una volta ogni santo giorno. Poi arriva sempre un momento di lucidità, di distanza dalla disperazione, e va tutto bene. E riparto. Pensando che ogni cosa è al suo posto e ciò che non è al proprio posto va osservato, preso come si prende un set di cristallo e portato laddove deve stare. Sbagliando costantemente e correggendosi di continuo. Ché tutto ciò di cui abbiamo bisogno è di essere rassicurati, vicini, per sopportare meglio quelle piccole battaglie quotidiane che tutti affrontiamo. Ché il dolore, quando ne parli, quando lo condividi, passa un po’.
Ci vuole fegato anche a non cambiare. A me questo fegato manca
Pier Vittorio Tondelli una volta ha scritto: io non sono diverso dagli altri perché sono omosessuale né perché non posso avere figli, sono diverso perché dico di me ciò che gli altri, di se stessi, tendono a nascondere, a non mostrare. Essere vulnerabili: altro proposito 2020. Ché la vulnerabilità del prossimo mette al riparo, predispone all’ascolto e all’aiuto. Ché la debolezza può diventare arte e l’arte a cosa serve se non ad aiutare gli uomini a vivere, a gettare un occhio su per il culo della morte? Ché, come ha detto il vecchio, le luci non si spengono finché non si spengono. E non c’è altro da aggiungere. Forse.