Le foto di Luca Rubbi sono complementari ai racconti di Argentina. Loro non lo sapevano, non si conoscono nemmeno. Li abbiamo messi in contatto ed ecco cosa è venuto fuori.

Fumata bianca
25 Ott 2016

Ottobre inoltrato. Comincia che di sera sul balcone mi tocca felpa e cappuccio, ma una sigaretta allo schiaffo dopo una cena sgorrotta ci sta sott’all’osso.

Alfonso è in canottiera. Non conosce ostacoli, il bell’uomo. Lui sul suo, di balcone, io sul mio. Le facce rivolte al palazzo dirimpetto, le braci a giocarsela (ma io fumo più veloce). Ognuno a maltrattare il proprio cranio che c’è sempre una storia da scrivere, un muro da buttar giù, rintanato come un serpente a sonagli sulla tastiera del pc a sfornare merda fumante e a leccare puntine di grammofono al taglio. Il balcone è zona franca. Nessuno invade quello dell’altro tranne che per qualche birra cattiva. Per il resto io là a pensarmela su qualche personaggio a cui amputare un verso, una frase, uno sbocco giulivo e lui, là, a tirare fuori una bestemmia di tanto in tanto, braccia conserte, le dita marrone sotto le ascelle, il raspo della barba che fa un balzo sul doppiomento alla Al Capone.
«È capace che inizio a scrivere per i ragazzi di Write & Roll, Al!»
«Piacere al cazzo, Co’! Tu non lavori con quelle gallinelle, quelle diciassette diciottenni?»

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foto di Luca Rubbi

Una boccata che non so nemmeno se dalla bocca mi esce il tabacco o l’aria ghiacciata. C’ho un tappeto di cimici sotto i piedi. Le stronze hanno folleggiato per tutto settembre e buona parte di ottobre entrandomi finanche nelle mutande indurite. Ora se ne stanno lì per terra, rigide, senza nemmeno il ghigno della morte fresato in faccia. Piccole corazze maleodoranti una appress’all’altra.

«Sì, bello mio, dai quindici ai diciannove!»
«E perché non ti butti addosso?»
«È lavoro, Al, io ci campo. Per me è come il tabernacolo per il prete!»

Alfonso mica lo può capire. Sono decenni che si scopa anche gli scarafaggi e le nutrie che nuotano nei liquami del Seveso. C’ha sessantasei anni, ma si rimbocca il tizzone a manciate di peperoncino di Soverato e sospetto che le pillole azzurre le scambi per tachipirine andate a male. Qualche anno fa l’hanno beccato nella sala caldaie del palazzo che stava brutalizzando una disabile, ma disabile di brutto. L’hanno denunciato, ma ne è venuto fuori immacolato.

«Io mi butterei, Co’, senza bi e senza ba, così, alla chi prendo prendo!»
«Come la vede sta cosa, tua moglie?»
«Che deve vedere? Quella buttana è già assai che non la castigo a calci e sputi!»

Maria se la gioca di prima e ci sta insieme da quasi quattro decadi. Assorbe tutto come un pannolino di quelli della pubblicità e di notte, da come la vedo io, morde le coperte. Ma fumare con Alfonso resta una cosa bella perché non facciamo altro che guardare la facciata del palazzo di fronte, cacciare fumo dal naso e dalla bocca e uscircene di tanto in tanto con qualche stronzata. Che ci volete fare? Ci si accontenta, così, alla buona. Il nostro circo per sfigati attacca solo quando la dirimpettaia abbassa le tapparelle per togliersi la gonna e noi ci fottiamo gli occhi per sgamarla tra le fessure, ma il più delle volte lasciamo perdere dopo aver perso due diottrie a cranio senza aver visto un cazzo di niente.

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foto di Luca Rubbi

«Co’!»
«Ohi!»
«Se lo facevo io il mestiere tuo sai che abbuffate di pesce?»
«Immagino!»
«Non è che sei ricchione?»
«No. E poi nel caso avrei anche alunni maschi e lascio in pace anche quelli!»
«Io, in caso di magra, mi montavo pure a loro!»

Un uomo ecumenico, niente da dire.

Cosimo Argentina

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