Intervista monolitica a Giovanni Succi dei Bachi da Pietra. Poco cazzeggio e molta letteratura, Céline in testa, la ricerca di una cognizione del dolore, religione, metal e potere. Certo che siamo proprio un paese feudale.
Foto: R Amal Serena. Disegno: Francesco Farabegoli.

Giovanni Succi, Bachi da pietra
7 Mar 2016

“Servo in quello sterco che cosa si muove / Niente di degno di menzione / La vostra minzione / Nessuna cosa che sia degna di onore e non sia omissione, menzogna, sopraffazione / […] Ecco il furbo coglione e il buon borghese tagliagole / Ecco il tutore dell’ordine torturatore / […] Siamo i bastardi della prossima occasione / Per distribuire dolore / Ridistribuire dolore / Ridistribuire delitto / Ridistribuire omissione / Ridistribuire menzogna e chiamarli onore / C’è un prezzo che ci compra e una morale che ci assolve pronta”. Queste sono le prime parole pronunciate da Giovanni Succi che ho ascoltato. Non ricordo quando, anni fa, ma non è importante. Il pezzo in questione è Servo, tratto da Tarlo terzo (2008, Wallace Records). Se qualcuno non conosce i Bachi da Pietra, l’unica cosa che posso fare, è consigliare di andare ai loro concerti, ascoltare la loro discografia e aggiungere un’opinione personale: in Italia sono la band più spaccaculi che esista.
Ho evitato di fare domande sulla sua passione (?) per la fotografia, su quei Lampi per macachi o sugli altri progetti di Succi (tipo l’audio-blog a puntate dedicato a Il Conte di Kevenhuller di Giorgio Caproni, La Morte insieme a Gamondi degli Uoki Tochi), ma la loro assenza è presente, basta leggere tra le righe. (Se non sapete chi è Caproni, ci può stare, le ragazzine non lo usano come Montale per postare le loro tette su Facebook o Instagram… però andate a recuperare quel lavoro, merita quanto un bel paio di gambe accavallate sul cervello).
Quando ho scritto le domande, stavo soffrendo di un dolore fisico fortissimo; non ha senso riportare la diagnosi, ma per farvi capire come stavo messo, diciamo che non sono riuscito a dormire per due mesi interi. (Avevo dei collassi quotidiani di un paio d’ore… dormire è un’altra cosa). Gli antidolorifici presi come caramelle; tutto inutile. Il medico che mi seguiva diceva di resistere: “Ci vorranno mesi, ma passerà”. Facile fare il medico col dolore degli altri, però aveva ragione. Resistere, non sbroccare, superare quei pensieri umani troppo umani (“perché a me?”); tutto si riduce a questo. E a non sfogarti sul prossimo con una mazza da baseball.
La sofferenza ti porta a scavare nell’omissione quotidiana, a porti domande da Pietra: a cosa serve il dolore? Non sono Carlo Emilio Gadda ma, in parte, serve a farti diventare “stronzo”, a renderti cinico ma autentico; a togliere il fumo dagli occhi e rullarlo.
A volte, per evitare di attaccarmi a una boccia di Zacapa, guardavo vecchi cartoni animati, che lì la distinzione tra bene e male è netta e colorata. Ho riascoltato alcuni dischi metallonzi (The Great Southern Trendkill, Master of Puppets, Roots) intervallati da qualche pezzo di Vic Chesnutt, Pontiak, Boards of Canada. Ho anche letto e ascoltato quasi tutto quello che è stato pubblicato da e sui Bachi da Pietra, da e su Giovanni Succi. Volevo intervistarlo da tempo, e ho finito miseramente per chiedergli quello che mi girava in testa in quel periodo. Il potere, il dolore, la fatica, l’amore, la mia tesi (in Linguistica, cristo), cosa voglio fare da vecchio, avere un figlio, Parigi, l’arte: qual è il massimo comun divisore? Esiste? Sì, no… forse.
In una delle interviste che ho letto, riferendosi a Sepolta viva, Succi dice: “Mi rivolgo a una singola persona. Non ho ricette per le masse, anche perché non esistono. Ho suggerimenti per chi potrebbe alzare il culo adesso e cominciare a dare una svolta alla propria unica, singola, volatile esistenza. Non servono elucubrazioni, servono gesti, fatti, mosse, azioni fisiche diverse. Un primo passo. Con fatica, col tempo. Diversamente solo fuffa, non credo a nessuna delle ricette preconfezionate dal brillante pensiero umano per redimere le sorti dell’umanità. Per me nessuna ideologia e nessuna religione, solo pragmatismo e caso per caso. Però mi piace Cristo quando dice a Lazzaro ‘alzati e cammina’ e non aggiunge ‘…che è pronto in tavola’. Il vero miracolo sta a Lazzaro e non sarà un miracolo, sarà fatica. Magari Lazzaro preferiva starsene nella tomba. Quella dei morti è una posizione comodissima”.
Insomma, ciò che conta è alzarsi: “Sei stato un bravo pesce / adesso vola”.

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Scheggia di Francesco Farabegoli

 

In questi giorni mi è capitato di leggere un’intervista a Céline: “Il suo merito è di essere riuscito a trasferire la potenza del linguaggio parlato nello scritto, grazie ad un abominevole sforzo, perché questo il foglio non vuole mica accettarlo, non vuole”. Ti chiedo: qual è lo sforzo fatto dai Bachi per riuscire a trasferire il “morso” in un disco come Necroide?
Musica e testi non si infilano da soli nelle canzoni, quindi – come qualsiasi artefatto – anche il mio è frutto di un lavoro stilistico. La mimesi perfetta tra parlato e scritto però è un’altra cosa, e francamente non mi interessa. Qualsiasi scrittura è finzione, anche quella che tenta la mimesi col parlato. Piegare la realtà del parlato alla finzione della scrittura è uno sforzo abominevole per chiunque ne sia cosciente; se per Céline lo era in francese, figurati avesse mai dovuto misurarsi con l’italiano… Le due lingue sono cugine ma hanno storie (dunque usi e letterature) completamente diverse. Se vuoi ne parliamo.

 

[pullquote]Dove fallì il Duce riuscì Mike Bongiorno” [/pullquote]

Parliamone. Raccontami anche la tua esperienza come autore di testi.
Della mia esperienza come autore ne parlo in una canzone che si intitola Morse: morse come l’alfabeto, morse come le parole prese a morsi; non ho altro da aggiungere. La storia della lingua rientra tra i miei interessi da una vita, come la letteratura in versi: … orribile, lo so, me ne rendo conto, sono perversioni imperdonabili al giorno d’oggi, me ne dovrei vergognare. E invece eccomi qui a parlarne impunemente in pubblico. Se non sei di stomaco forte, salta il pippone che segue.
Comunque, detta in soldoni, il francese è per editto monarchico lingua d’uso quotidiano di una nazione (lingua di corte, giurisprudenza, trattati, poemi, romanzi, versi, canti, messe, ricette, barzellette…) dai tempi dell’unificazione del regno di Francia (circa XV sec.); diciamo da sei secoli mal contati. Mentre l’italiano comincia a diffondersi veramente come lingua d’uso solo dal 1954 con Mike Bongiorno alla televisione. Un divario di cinquecento anni. Se una cosa la usi ogni giorno per cinquecento anni, quella cosa cambia. Una lingua ferma sui libri per cinquecento anni non cambia un granché, resta sostanzialmente identica a come l’avevano lasciata Dante, Petrarca e Boccaccio nel Trecento.
In tutti questi secoli il francese viene rimasticato da una nazione intera, parlato e scritto disinvoltamente – da chi sapesse scrivere – dai tempi di Rabelais a quelli di Baudelaire; mentre l’italiano resta virtuale, usato solo in opere letterarie e mai nell’uso comune. Prima degli anni Cinquanta del Novecento (tagliando con l’accetta) l’italiano è solo letteratura. La differenza non è poca e le conseguenze enormi. Ad esempio ai tempi di Céline (inizio Novecento) esisteva un francese parlato, ma non ancora un italiano parlato, del quale catturare eventualmente la potenza per iscritto; a voler essere realistico avresti potuto catturare al massimo uno dei mille dialetti regionali nelle loro mille varianti campanilistiche; poi, ammesso che qualcuno lo sapesse leggere, l’avrebbero capito solo in quella regione o all’ombra di quel campanile. Céline non ha tra le palle una tale questione della lingua e, per quanto gergale, il suo francese era comprensibile in tutta la Francia e colonie. Da noi si scriveva in linguaggio libresco e poi, per colti che si fosse, in strada come in trincea si parlava un dialetto. Aggiungi che la lingua del cattolicesimo era il latino fino ai tempi di mia nonna. In Francia lo era il francese da sei secoli. Insomma. La televisione per la prima volta mette a tutti, nel senso di proprio tutti, compresa mia nonna, la voglia di parlare “bene” un italiano cosiddetto standard: quello dei presentatori, delle signorine buonasera, dei giornalisti, dei politici… (Oggi sono i politici a parlare come mia nonna, ma questo è un altro discorso). Nemmeno il ventennio fascista, imponendolo odiosamente dall’alto, era riuscito a far parlare l’italiano agli italiani. Dove fallì il Duce riuscì Mike Bongiorno.

Tra poco ci saranno le elezioni americane… In Batman v Superman di Snyder, Lex Luthor dice: “Sa qual è la bugia più antica d’America? Che il potere può essere innocente”. Ti sembra che sia ancora necessario leggere Foucault per capire come funziona il potere? Necroide è una manata in faccia al potere machista e borghese?
Necroide in relazione al potere pesa come una cacca di mosca nel sistema solare e non vedo come tu possa illuderti del contrario.

[pullquote]La sfocatura del ricordo produce l’effetto più interessante, di adeguamento di quel che eri a quel che sei. Non ricorderai esattamente, ma in un modo filtrato da quello che sei diventato nel frattempo. Diverso dalla tua fonte. Ricorderai male; e quel male, sei tu”[/pullquote]I peggiori sono i disillusi che s’illudono ancora, come me.
Puoi immaginare che l’album di un gruppo con 7000 “mi piace” su Facebook possa contare qualcosa negli equilibri niente-meno-che del potere in Italia? Cominciamo poi a mettere in chiaro che Necroide è una manata in faccia a me stesso. Non era la scelta più comoda da fare, per me, ma era la cosa che volevo fare, e l’ho fatta. Se poi io menassi manate a categorie di persone alle quali attribuisco un’etichetta di infamia a priori, sarei un idiota con metodi fascisti. Allora, chi andiamo a picchiare oggi? Hai visto che schiaffone ho dato alla “borghesia” col mio ultimo album? …Sarei un idiota travestito da intellettuale. Preferisco essere un intellettuale travestito da idiota. La mia tentazione forte in questi casi sarebbe quella di liquidare la questione alla Paolo Conte: io di politica non ci capisco niente. Il che è anche vero. Non ho neanche approfondito Foucault e quindi non posso disquisirne, anche se suppongo, per questioni d’anagrafe, che non si riferisse all’Italia del 2016… Io qui ad oggi vedo piuttosto a tutti i livelli del costume italico gli effetti deteriori del feudalesimo, non quelli di uno stato borghese. La borghesia è potente nei paesi anglosassoni o nord europei… Da noi c’è il nepotismo, le tasse bizantine, apparati burocratici mastodontici e irremovibili, la mafia e la chiesa. Parenti da piazzare, culi da leccare, anelli da baciare, ingranaggi da ungere. Tutta roba feudale.

Il potere “borghese”, per come lo vedo io, è quello che oggi rende ancora possibile questa situazione feudale.
Mi sembra come dire che il motociclismo ha prodotto la biga, ma ripeto, non me ne intendo. A proposito, magari parliamo di figa, potrebbe avere anche più attinenza con la storia della lingua.

La domanda che volevo farti adesso è lontana anni luce dalla figa: ha a che fare con il metal… Avete ripercorso i solchi dei dischi ascoltati tanti anni fa per pensare Necroide? Il metal è un’idea del passato che avete riscoperto per “fare male” oggi?
No, non abbiamo dovuto ripercorrere niente. Se una cosa è tua, è tua per sempre, ripassare non serve. Anzi, proprio la sfocatura del ricordo produce l’effetto, più interessante, di adeguamento di quel che eri a quel che sei. Non ricorderai esattamente, ma in un modo filtrato da quello che sei diventato nel frattempo. Diverso dalla tua fonte. Ricorderai male; e quel male, sei tu. Se per “fare male” intendevi questo, allora sì. Noi facciamo tutto male.

Ci riprovo: c’è attualmente un modo di fare musica utile al “potere” per perpetuare se stesso? So che è una cazzata riduttiva quella che sto per chiederti, ma ad oggi, secondo te, ha più valenza politica (e propagandistica?) un pezzo rap o una canzone radiofonica qualsiasi?
Io di politica non ci capisco niente.

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Necroide è soprattutto una provocazione?
Senza una forma di provocazione intrinseca l’arte è artigianato. L’artigianato lo capiscono tutti e non lascia dubbi.

Diciamo che in giro c’è molto artigianato e poca arte?
Come in tutti i tempi. Diciamo che tutto ha diritto di esistere e ognuno sceglie che cosa produrre o che cosa preferire. Smettiamola di fare i giusti impegnati dalla parte giusta: stiamo facendo solo quel che cazzo ci pare e piace. Arte? Grazie. Io sarei un pessimo artigiano, ad esempio. Un ottimo artigiano non avrebbe mai scritto le mie canzoni (belle o brutte che siano). Siamo pari.

[pullquote]Quella che qualsiasi totalitarismo bandirebbe come degenerata. La libertà di essere primordiali, sacrileghi, blasfemi, osceni, pessimi, estremi…”[/pullquote]Il testo di Black Metal il mio folk sembra anticipare uno scenario simile a quanto accaduto a Parigi lo scorso novembre, ma fa pensare anche alla seconda guerra mondiale. Quando hai scritto quel testo?
Per abbozzare il futuro basta guardare il passato con la certezza che la storia non insegna niente, tanto meno a chi non la vive o non ne ha coscienza, e noi non l’abbiamo. Non essendo noi occidentali consci della tolleranza come valore fondante della nostra società, nello stato di diritto – e se non lo siamo noi figurati gli altri – è ovvio che produrremo un muro contro muro. Tolleranza non vuol dire giustificare degli assassini, ma un culto diverso sì, ad esempio. Credete in un Dio e volete adorarlo? Benissimo, fate pure e non rompete il cazzo. Noi ne facciamo a meno. Sono concetti talmente ovvi che mi sento un deficiente a scriverli, ma sfuggono alla stragrande maggioranza di noi occidentali, figurati a gente che ha la Teocrazia come ideale politico. (Tra parentesi: senza andare troppo lontano, lo Stato del Vaticano, che sta a Roma ed è una teocrazia, interviene nella nostra politica nazionale come fosse sua e agli italiani pare del tutto normale).
Ho scritto e riscritto quel testo in un arco di tempo piuttosto lungo. I casi di decapitazione dell’Isis non mi erano ancora arrivati. Ma non serve troppa fantasia, come dicevo. Senza tornare al Medioevo, negli anni Novanta è successo il peggio del peggio nella Ex Jugoslavia, sempre nel buon nome di Dio. Mi sono immaginato coinvolto in una guerra reale, sotto casa, costretto a combattere per una libertà che potrebbe andare persa domani. Il mio folk, le mie radici, il mio canto di battaglia, non sarebbero i cori degli alpini, ma la frangia più estrema del rock’n’roll che mi ha cresciuto libero, nella totale libertà di pensiero e di espressione, anche della peggiore e dei peggiori sentimenti. Quella che qualsiasi totalitarismo bandirebbe come degenerata. La libertà di essere primordiali, sacrileghi, blasfemi, osceni, pessimi, estremi… Negli anni Cinquanta lo dicevano di Elvis. Elvis o Gorgoroth è la stessa cosa. Arriva un bastardo e ti dice che Dio non è d’accordo. Ho il terrore che mio figlio possa ritrovarsi in un nuovo mondo di invasati religiosi e assolutismi di ritorno, ma è quel che promette il prossimo orizzonte. Ci sarà di nuovo da ammazzare e farsi ammazzare per degli ideali invece di godersi la vita. Sarebbe spiacevole.

Mi racconti com’è stato suonare al Mame di Padova la sera del 14 novembre?
Ti lascio il video di come è cominciato quel concerto: lo trovi sulla pagina Facebook dei Bachi Da Pietra. Troppe parole inquinano l’aria.

Quello che accade nel mondo influenza il tuo modo di produrre un disco? Intendo anche la scelta di un suono.
Siamo animali in un contesto ambientale, non in un laboratorio asettico. La svolta chiassosa dei Bachi Da Pietra deriva dalla consapevolezza piena che, dopo circa otto anni di proposte in punta di zampe bocciate dal pubblico dal vivo (con buona pace dei nostalgici che oggi sono assai di più di quanti ne vedessimo ai concerti), occorreva soccombere o evolversi. Rovesciare il tavolo. Schiacciare o essere schiacciati? Ok, schiacciare.

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Ho un elenco di nomi scelti a caso, o quasi. Per ognuno di questi nomi, dimmi quello che ti viene in mente. Reazione istintiva, anche se c’entra poco con quanto abbiamo detto finora. I nomi: Paolo Conte, Giovanni Lindo Ferretti, Lucio Battisti, Emidio Clementi, Verdena, Caso (Andrea Casali).
Paolo Conte – Maestro
Giovanni Lindo Ferretti – Fedele
Lucio Battisti – Mogol
Emidio Clementi – Enigma
Verdena – Roberta
Caso (Andrea Casali) – Wikipedia

Hai un figlio… In questo momento della tua vita sei innamorato?
Ho un figlio, Pietro, e amo sua madre.

La terra dove sei nato e cresciuto. Se dovessi raccontarla a un provinciale come me, quali parole useresti? Quali aneddoti o ricordi ti vengono in mente?
Sono un provinciale anch’io, di Nizza Monferrato, Asti, sud del Piemonte. Un bel posto. Si sta bene. Intendo a mangiare e a bere. Per tutto il resto devi far della strada. Non me ne lagno, anzi, alla fine l’ho scelto come base dopo quasi un decennio di città.

[pullquote]Sei un corpo buttato nel mondo per un periodo limitato di tempo”[/pullquote]Quali erano i tuoi sogni da ragazzino? Cosa volevi fare di Giovanni Succi?
Un rocker da quando mi ricordo, come i Ramones e gli AC/DC. A vent’anni capii che la strada era incredibilmente più complessa. Ho trovato un mio modo compatibile con quello che sono. Mi ci è voluto un po’ più del previsto, ma in qualche modo ci sono riuscito. Alla fine sono un rocker e sopravvivo di musica fatta a modo mio.

Hai rimpianti?
Qualche acquisto sbagliato. Per il resto va bene così.

Le prossime mosse dei Bachi?
Strisciare ovunque, spaccare sempre.

Ultima domanda: cos’è il dolore? A cosa serve? Nel caso servisse a qualcosa.
Il dolore è un’esperienza del singolo, non è generalizzatile, con buona pace delle frasi fatte. Per un credente è il castigo-dono del buon Dio dopo lo sfratto dal paradiso per aver disobbedito (sic); per alcuni è da evitare a qualsiasi costo, per altri da ricercare per sentirsi vivi al mondo. Per me è quasi sempre un lampeggiante con su scritto “MUOVI IL CULO”, anche se a volte starsene un po’ fermi ad ascoltarlo meglio avrebbe evitato danni più gravi. In teoria serve a non rimettere le dita nella presa, ma certe prese se esisti non te le toglie nessuno. Niente di trascendentale, anzi, un qui-e-ora forte e chiaro che ti ricorda – se te l’eri dimenticato – che sei un corpo buttato nel mondo per un periodo limitato di tempo. Personalmente sono allenato.

L’intervista termina qui. Nella prossima si parlerà di storia della lingua e figa, promesso. Ho già pronto il titolo in ottica SEO: Cunnilingus, senza peli sulla lingua.

WNR

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