Dunque capisci che Bianciardi aveva bevuto tutto il bicchiere di veleno già nei gloriosi ’60, lui aveva sgamato la triste progressione del sistema metrico umano capitalista quando viveva in zona Braida del Guercio e poi s’è spostato in via del Meneghino, 2.
Capisci la frenesia di Milano, la ferocia, lo sbattimento del lavoro creativo a cottimo, i pagamenti a novanta giorni, gli editori senza palle o con troppi coglioni girati; capisci l’uniformizzazione del gesù cristo, della voce intellettuale che non offre più colonne sonore devastanti, assoli, lagne, lamenti; capisci e somatizzi per una volta il dramma della convivenza e capisci che per vivere in questa società ci sono poche alternative. Quella principe è essere SQUALO, come dice Guè. Consapevole che per pagare questi affitti devi essere squalo, squalo, squalo… e quindi devi esser cattivo, o qualsiasi sia la vostra concezione di malvagio… devi mordere e leccare al momento giusto; servilismo da insetto di compagnia…
Il mio amico Meloncino sta in ferrovia. Lui lavora sui treni, tipo sta dietro il bar di Frecciarossa e Frecciabianca, camicia, barbetta curata. Lui era uno skinhead, gli mancava solo la pelata e l’anfibio. Era tipo uno straight edge. Odiava i tossici. Scriveva in giro – FATTONI + BASETTONI sui muri della città. Poi il carcere per lesioni dovute a un corpo a corpo allo stadio, giacenze cumulative che lo hanno portato ad essere mobbizzato dalla sua azienda, a lasciare casa dove viveva da solo per ritornare sotto al tetto dei genitori.
Meloncino ora si droga. Coltiva la sua erba. E’ quasi allo stadio del tossico, in fatto di cannabinoidi. Fuma per dormire per uscire per sorridere per scopare per cagare… passa due terzi della sua settimana su un vagone a svuotare prese di moka e scaldare panini precotti crudo e formaggio.
“Prima spingevo il carrello e mi divertivo, beccavo le studentesse, una me la so’ scopata nel cesso pure, era un’irpina, di Avellino proprio, e menchia come gridava, tant’è che un vecchiaccio pensava stessero stuprando qualcuna e arrivò la sbirraglia ad identificarci… ora sto làddietro, un bimbo chiuso sembro, devo dire solo grazie prego cosa DESIDERA…” e tira una boccata dalla giolla.
[pullquote]Lavoro in un ristorante balneare sei giorni a settimana, media turni di nove o dieci ore. Ogni sera rientro, guardo la copertina gialla di Feltrinelli della Vita Agra e capisco[/pullquote]
Ma anche io sono così, adesso.
Lavoro in un ristorante balneare sei giorni a settimana, media turni di nove o dieci ore. Ogni sera rientro, guardo la copertina gialla di Feltrinelli della Vita Agra e capisco, cazzo, capisco Meloncino e i Bianciardi disperati e quelli che staccano da lavoro e s’affogano nella birra nella droga nella raccolta fondi per i neonati siamesi del Vietnam. Io mi sto tenendo sempre una stecca di fumo di riserva. Puzzone, ma tant’è. Dove vivo io l’erba buena costa sui 10, 12 euro al grammo e io lavoro 6/7 giorni per 450 euro netti al mese.
“Non hai esperienza, potevamo prendere un Cingalese a 300 euro ma vogliamo dare lavoro a un giovane tarantino” questa è la roba che m’ha detto il proprietario dello stabilimento.
Ok.
Dal primo giorno, ad oggi, ho fumato tutte le sere. La stecca extra la tengo perché ho paura di rimanere senza. Come lo scoiattolo maniaco che accumula ghiande e nocelline per la cazzo di tundra no scusate di letargo nella tundra. Ok. Sono uno scoiattolo. Ho paura di ritrovarmi senza e di non sapere affrontare questa realtà da lucido, da sobrio, da nonfatto.
Foto di Cesare Colombo
Questo doveva essere un pezzo su Bianciardi. Sul lavoro a cottimo creativo. Sugli stereotipi e sul crollo del giornalismo italiano. Non una novità. Anzi, doveva servirmi da stimolo per parlare dei miei anni a Milano in cui vivevo come il guercio Luciano, casa di ringhiera col panorama che affacciava sui maestosi infissi in alluminio o anticorodal. Doveva servirmi per parlare dei miei vicini, che sopportavano volentieri il rumore dei lavori ma bastava che Moreno, il pregiudicato che abitava sotto casa mia in un appartamento speculare, alzasse il volume delle casse, che tutti protestavano e gli piovevano ortaggi ma in realtà no, era un tipo bruttissimo nessuno avrebbe osato dirgli niente di persona. Io col tempo ci son diventato amico e gli dicevo che mi cagava il cazzo con quell’house r’n’b dubstep da folgorati sulla linea di demarcazione binario est/ovest.
[pullquote]Quindi non è che fare il fucking freelance sia meno sfibrante del pulire una griglia incrostata da 40 hamburger di scottona 300grammi
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Il penultimo capitolo della Vita Agra è stupendo. Un delirio bipolare che annacqua e annaspa tra tentazioni marxiste e paranoie da vittima da putrefatto braccio di cane del PRECARIO CREATIVO che vuole omologarsi al resto ma forse no e allora…
Ragazzi il mondo è un casino. Il lavoro è un casino. “Insomma se uno è costretto per nascita o malasorte a lavorare, meglio che lavori di continuo finché non muore, e se ne stia fermo sul posto di lavoro”, questo dice Bianciardi. Alla fine è così. Ti svalvola così tanto che devi calarti un acido per riprenderti e far ripartire la girandola neuronale.
E come dargli torto?
Ho le gambe che crampano per le ore passate in piedi, mangio ogni 30 ore seduto a tavola e cioè a colazione se la faccio; cago sangue, mi sono procurato due punti e tre ustioni in poche settimane di lavoro, le mansioni si aggiungono e da che dovevi essere solo un mezzo cingalese mò ti ritrovi a friggere ed a fare pacchi di merda per patate o arancini stracotti/crudi e in più dovevo avere un contratto da 5 ore giornaliere spalmate anzi, no, 25 ore weekly spalmate sui 6 giorni. Roba che dovrei entrare alle 18 e uscire alle 23.
“No no tu lunedì e venerdì mi fai doppio turno…”
Il che significa sbrindellarsi l’attitudine alle 7.30 del mattino, preparare la moka, bere il caffè, cagare, lavarsi e attaccare alle 9.30 10 massimo per staccare alle 24, o più tardi. Il venerdì alle 2, c’è la serata disco e quei pezzenti se ne stanno fino all’ultimo a chiederti un tiramisù o un pancake…
Foto di Mario Dondero
Parliamo della sponda creativa, invece. Il giornalismo free lance. Ganzo, eh sì sì, così ganzo che ancora non ho scopato nessuna figa dopo aver dichiarato la mia vocazione da gonzojournalist.
[pullquote]che vita milanese era la mia? Un bilocale trappola senza balcone, i vicini di casa indiani che cantano canzoni becere di notte, intervista a coso e recensione di quel libro ma ehi, non puoi stroncarlo, per il rapporto tra la casa editrice e il Direttore[/pullquote]
Lì è peggio: non ci sono i presupposti. Cioè ragazzi ormai è tutto subordinato alla tailorizzazione sartoriale, ai branded content per il cliente-inserzionista… e sì, ci sono quei tragici Boskov, quei maledetti Zdnek Zeman che vorrebbero puntarla sul bel gioco, sui ragazzi under, ma il borderò si stringe e l’editore prima di stampare l’issue deve raccogliere adeguati fondi e poi si paga a 90 giorni sempre che non superi i 5000 euro di collabo annuali, ma tanto un pezzo è pagato 40 bigliettoni e devi starti attento al concordato preventivo che ti getta nella merda nera, nerissima, acre e amorevole. Quindi non è che fare il fucking freelance sia meno sfibrante del pulire una griglia incrostata da 40 hamburger di scottona 300grammi. Nel ristorante ti manda in barca il dolore fisico, sui giornali il cervello ti fuma perché ormai chi cazzo li legge più i cartacei? Devi diventare un fottuto Scanzi per dire la tua, per essere riconosciuto. Infatti ormai godo solo nel scrivere le markettate, le robe di marketing, mi vendo anima e cuore e per una linea volgare di trench impermeabili ci sckaffo in mezzo Humphrey Bogart e Pulp di Bukowski e la chiudiamo così, perle ai porci direbbe Vonnegut. Nel giornalismo ti mandano a male quei froci dei PR. Leccaculi di merda. Ti chiedono l’anteprima dell’intervista al rapper campano cocainomane loro assistito slinguandoti lo scroto, dicendoti “oh ma te sei un Dio nell’interviste fammi vedere quant’è bomba in anteprima” eppoi in realtà vogliono solo vedere se ci sono domande inopportune.
Gli effetti di Bianciardi nel 2017. Ecco credo che lo scrittore sia tale quando è profetico. Burroughs era profetico. Céline lo era, suvvia, stronzi, vedete cos’affronta nel Voyage… e anche un mio caro amico che non citerò è stato visionario a suo modo. Bianciardi nel ’63 aveva capito lo spirito di Milano e del subaffitto e del sottomondo intellettuale che poi che cazzo vuol dire intellettuale.
Foto di Gabriele Basilico
Che vita è quella di Luciano, che vita milanese era la mia? Un bilocale trappola senza balcone, i vicini di casa indiani che cantano canzoni becere alle tre di notte, intervista a coso e al giocatore del Sassuolo e recensione di quel libro ma ehi, non puoi stroncarlo, ci va di mezzo il rapporto tra la casa editrice e il tuo Direttore, modera i termini… spendi 22 euro di abbonamento ATM, altri soldi per drogarti e spegnerti il cervello di notte, un cinema quando esce Von Trier o Allen o Zalone, una cena ogni tanto, non esci più dal quartiere.
Affinità a 50 anni di distanza. Milano ’61-62 dice l’epilogo del manoscritto la Vita Agra. Un libro è definitivo quando lascia qualcosa dentro anche ad un bimbo di 22 anni come me.