Per me, fino a sabato scorso, il civico 3 di via Solferino era soltanto il palazzo che conteneva i ventidue metri quadrati in cui riscaldare le mie zuppe precotte e battere i tasti incrostati di miele di un Asus X55C, nella costante semioscurità di un primo piano affacciato sull’angusto cortile interno. Era soltanto casa mia, da qualche anno. Tutt’al più era l’edificio di cui avevo letto, durante un weekend romano del dicembre 2012, che era andato a fuoco. Al mio ritorno a Milano avevo scoperto che il disastro aveva interessato solo la scala E, la squisitamente inutile scala E, dal cui quarto piano fiammeggiante si era buttato un ultraottuagenario musicista in pensione, morendo. Per un inquilino della Scala D, quale io sono tutt’ora, la conseguenza più rilevante era stata quindi il proliferare di muratori che
Sabato mattina Gian Paolo Serino mi ha detto che in quello stesso palazzo ci era vissuto Luciano Bianciardi. Ora, potre
[pullquote]Al bar Jamaica Bianciardi ci prese la sua ultima sbronza. Anch’io qui ne ho prese parecchie ma molto più faticose: 8 euro una birra, 12 un cocktail[/pullquote]
Con Serino e gli altri partecipanti ci siamo trovati alle 10 davanti al bar Jamaica – il caffè delle Antille de La vita agra – in via Brera, a cinquanta metri da Solferino 3. Era il punto di partenza per la presentazione peripatetica del libro Il precario esistenziale (Clichy), che il critico ha dedicato a Bianciardi. Lo scrittore frequentava il bar Jamaica insieme a tanti altri intellettuali e artisti degli anni 50 e 60, quando Brera era un quartiere popolare. Qui, come ci ha spiegato Serino, Bianciardi
Fuori dal bar, Serino ci ha indicato l’edificio del Corriere, al 28 di Solferino: Indro Montanelli, dopo l’uscita de La vita agra, propose a Bianciardi di lavorare nel quotidiano per 300.000 lire al mese, un’ottima cifra specialmente per chi, come Bianciardi, pur in pieno boom economico, nella liretta non ci sguazzava affatto. Bianciardi rifiutò. Dal canto mio, di fronte a quello stesso edificio, qualche anno fa, riuscii a ottenere piratescamente un appuntamento con Beppe Severgnini (che di Montanelli ha fama di essere stato uno dei delfini). Uscii dal mio ripostiglio, attraversai la strada, ed eccolo lì, l’odontoceto: ghignante, latte
La passeggiata letteraria per il Biancia in zona Brera: Serino guida la ciurma
Sabato, abbiamo seguito Serino in via Fiori Chiari. Giù in fondo, al tempo di Bianciardi, si trovava la latteria delle “pie sorelle” Pirovini, tra due bordelli. «A parte il vantaggio del conto aperto”, dice Bianciardi, “si mangiava alla carta pagando il consumo al netto, senza coperto, servizio e tutte le altre bricicche che di solito mettono i ristoranti per fare salire il totale». Giusto la sera precedente alla camminata d’autore con Serino ho sentito il bisogno di fermarmi dalla cartomante, un tricorno rosso in testa, che esercita a pochi metri da dove decenni fa sorgeva la latteria. «Tu c’avrai la donna di servizio» m’aveva garantito ribaltando un tarocco: sapevo che sarebbe stata una pessima strategia di marketing predire catastrofi al coglione che sborsava 10 euro. «La sai la barzelletta del padre che picchia il figlio?» aveva continuato. «Perché lo picchia?». «Perché è un ambizioso». «È così grave?». «Sì. Voleva scoreggiare come suo padre e s’è cacato sotto».
[pullquote]Bianciardi ha lavorato alla Feltrinelli, come me: 37 euro netti per la lettura di una bozza. Però lì ho incontrato Saviano senza scorta. Stavo per tirargli una testata, così, senza apparente motivo [/pullquote]
Abbiamo passeggiato per via Brera, che Bianciardi chiamava via Braida
Pochi passi ancora, fino alla libreria Feltrinelli di via Manzoni, dove Alessandro Beretta del Corriere e Simone Mosca di Repubblica hanno presentato il libro di Serino, che lo stesso critico non definisce saggio critico. «Piuttosto, un invito alla lettura. Perché tutt’oggi Bianciardi è un autore più commentato che letto». In Il precario esistenziale Serino scrive: «Certo le sue lotte … le pagò sino all’ultimo. Con la sua vita agra di un anarchico che non cedette mai a nessun compromesso. Le pagò sino alla fine. Fino all’ultimo giorno di un’esistenza spesa a cercare di far comprendere come la cultura sia entrare nel tempo senza vendersi ai poteri del tempo».
A casa ci sono tornato a testa bassa, di buon passo, stringendo i pugni, felice.