Ovvero come sopravvivere al senso di perdita che porta il Capodanno e come non farsi schiacciare dalle aspettative di un anno a venire in cui dobbiamo sempre dimostrare tutto

Il discorso di fine anno
31 Dic 2015

Milano. La città-Stato. Il Natale è arrivato di sopresa con un insolito caldo e l’ormai nota cappa di smog. E per la prima volta da quando ci sono dentro anche io, mi son giunti alle orecchie dei discorsi sorprendenti. Ho sentito di una cricca di colleghi di non so quale ufficio che si voleva armare per una colletta particolare: fare il malocchio al proprio capo. Mi si son drizzate subito le orecchie. Uno di questi impiegati diceva di avere un contatto sicuro con una calabrese letale. Mi son venute in mente le pagine de La Pelle di Malaparte in cui il protagonista si rivolta contro gli americani arrivati a Napoli e gli dice che loro sono arrivati nell’ultima roccaforte sovrannaturale d’Europa, che potranno anche conquistarla, ma non potranno mai capirla. Ma sentire queste parole a Milano, la città del buisness, dei cervelli, del movimento, dell’iper realismo…

Col 2016 ormai alle porte l’appellarsi a una forza arcaica ed esoterica come una fattura, seppur per scherzo, mi pare un gesto di grande significato. L’era del razionalismo non ci ha mai dominato veramente. La politica, Mashable, il feed delle stronzate top ten sullo stronzissimo Twitter, il 4K, la realtà virtuale, l’oculus rift per farsi le seghe, non ci hanno poi cambiato veramente. Il cambiamento coesiste con la preservazione delle nostre radici, ci si appella ancora alla magia, agli dei, si vanno a ravanare le radici arcaiche della nostra cultura millenaria, ci si ricorda che abbiamo passato oltre alla menata di sto cazzo di futuro sempre presente in cui dobbiamo dimostrare dimostrare dimostrare e aggiornare Linekdin. Interessante però che ci si esponga così per farla pagare a quella canaglia del proprio capo, che si crei una piccola sotto cricca segreta di vendicatori. Non per liberare dei prigionieri politici, non per Charlie Ebdo, non per i diritti umani di qualche buco di culo del mondo, non per condividerlo sui social. Lo si fa per il capoufficio, quell’essere che sembra messo li da destino, pieno di limiti, di frustrazione, quello che gode solo dalle 9 alle 18 quando può sottomettere i suoi sottoposti. Chiaramente nessuno andrà mai dal fattucchiere, ma anche il solo pensare di poterlo fare è un gesto di grande libertà.

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Quelli nati negli anni 80 come me sono tutti figli di una rivoluzione mancata. Abbiamo vissuto con nonni partigiani o fascisti e genitori sessantottini o yuppies e noi siamo cresciuti con InDesign, i videogames e la musica elettronica. Le due generazioni prima della nostra ci hanno fatto il culo in termini di segnare la storia. Ma ecco, io quando sento delle collette per il malocchio al capoufficio ci vedo come la volontà di non sparire. Dobbiamo preservarci. Non ascoltate troppo l’opinione altrui, non leggete troppi libracci (la regola buona è sempre che se un libro merita difficilmente lo troverete alla Mondadori in Duomo), non infognatevi in battaglie ideologiche nella pausa caffè, non esternate troppo i cazzi vostri coi colleghi frustrati, non vi schierate contro Fazio perché vi pare sfigato e lo fanno tutti e non scrivete come Michele Monina & co. solo per distruggere gli altri. Quando leggete i quotidiani, leggete anche quelli che non vi piacciono e non affrettatevi a esternare quello che pensate per compiacervi coi like e al’approvazione di tizi che manco conoscete e che avete trovato on line. Be hungry be sborrish, cercate di mettere un guizzo di vita in tutto quello che fate, di essere voi stessi sempre e comunque anche quando tutto vi scoraggia per farlo, spiazzate la gente con un minimo di autoironia e insegnate al vostro prossimo che anche lui può farlo. Siate uno sciame silenzioso pronto a volteggiare nel cielo. WNR vi pensa e vi vuol bene. Facciamo tutto a cazzo come sempre ma siamo qui con voi. E anche se siamo colti domani andiamo tutti a vedere Checco Zalone che non guasta mai. aviV al angerF!

 

Ray Banhoff

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