Lettera prima delle fase 2. Di impegno e dignità, di spogliatoi e di partite che non sono mai facili. Di teste di cazzo. Di funerali da festeggiare e altre piccole cose da ricordare quando torneremo fuori

Il dolore serve
22 Apr 2020

Sto per tornare dai miei figli. Non li vedo da un mese. Sono un padre manchevole, di questo un giorno pagherò dazio lo so. Ma darò tutto, tutto me stesso per evitare di pagare un prezzo troppo alto, darò tutto me stesso con tutti i difetti che ho e che a 40 anni sarei ridicolo a cercare di nascondere, tutto me stesso e basta, perché altro non so dare e spero che non avanzi, ché gli avanzi si buttano. Mi sono fatto i capelli alla mohicano. Così, senza un motivo. Probabilmente faccio ridere ma da un po’ di tempo vado ripetendo questa frase: “La premessa e la conclusione sono sempre le stesse: non ti devono scassare il cazzo”. Come nella canzone di Pino Daniele, che ieri mi è tornata in mente. Poi nel mezzo ci sono i dubbi, le critiche degli altri e le autocritiche, ma la premessa e la conclusione devono combaciare: te ne devi fregare. Cercheranno di farti sentire in colpa ma quando decidi di fare una cosa falla. Questo è, e nessuno mi convincerà mai del contrario.

[pullquote] Prima regola: pulisci gli spogliatoi. Gli spogliatoi sono fondamentali. Ognuno ha i suoi[/pullquote]

Ora dirò una cosa che farà incazzare tanti: io sono contento. Sono contento di come qualcuno sta vivendo questo periodo. Perché in tutto sto bordello, ho visto delle cose che mi hanno toccato. Niente retorica. C’è chi si porterà del dolore a casa, ogni sera, quando tornerà a uscire, a lavorare, a bere fuori da un locale come se nulla fosse successo, quando sarà. Un dolore che citerà un libro meraviglioso di Peter Cameron: Un giorno questo dolore ti sarà utile. Il dolore serve. C’è poco da fare.

Foto McNair Evans

C’è pure chi lo cerca quando non non ha reali motivi per provarlo, pur di trovare qualcosa per lamentarsi, per motivarsi, per andare avanti. E in questi giorni che ce n’è stato fin troppo e ancora ce ne sarà, a chi l’ha provato davvero, il dolore delle mancanze servirà per conoscersi un po’ di più, per amare un po’ di più, per prendersela un po’ meno davanti alle cazzate, per sentire un po’ di più cosa ha dentro, perché adesso sa un po’ di più cosa è una mancanza, cosa vuol dire non poter salutare una persona, sa un po’ di più che vale la pena dare il massimo e che probabilmente se non ti viene da dare il massimo in ciò che fai è bene fare altro.

[pullquote]Parti dal basso, impara ogni giorno, fatica, non ti accontentare mai[/pullquote]

Uno dei libri più belli che ho letto ultimamente (e che parla di come funzionano le cose all’interno della nazionale più vincente della storia, gli All Blacks della Nuova Zelanda) inizia con queste parole: Prima regola: pulisci gli spogliatoi. Che significa, mettiti al servizio degli altri. Che significa, dai il buon esempio. Che significa, parti dal basso, sii umile, depurati, punta in alto. Parti dal basso, impara ogni giorno, fatica, non ti accontentare mai. Il libro si intitola Niente teste di cazzo. Le teste di cazzo non sono come il dolore. Le teste di cazzo non servono. C’era un mio allenatore che ci ripeteva fino alla noia che le partite facili non esistono, che le partite facili sono quelle che vinci 4 a 0 a un minuto dalla fine, solo queste.

Le cose belle, dicevo: ho letto post di addio laceranti. Ho letto preghiere laiche per chi stava lottando senza respiro e poi il fiato gli è mancato per sempre. Ho letto i bellissimi racconti quotidiani su Facebook di due giornalisti che stimo, quelli di Toni Capuozzo e quelli di Giorgio Terruzzi, ogni giorno, pieni di dolore, riflessioni, di piccole cose fatte di nostalgia, felicità e onestà. Ho visto un amico, un padrino per me, perdere un fratello e rendere omaggio alla morte e quindi anche alla vita come avevo visto fare solo in film tipo Amici miei, con goliardia, sentimenti duri, veri, intensi, e amore per ciò che è fugace e si vive una volta sola.

Foto McNair Evans

Avrà pianto Alessandro, avrà pianto come solo i bastardi piangono, ma poi si è ricordato di chi era, di chi era Marco, di chi erano loro due insieme, di cosa gli doveva e di come gli sarebbe piaciuto essere ricordato se a morire fosse stato lui e allora è andato a prendere le ceneri dell’amico, ha radunato in segreto gli altri desperados e ha organizzato un funerale pagano, clandestino, fanculo alle distanze sociali, con gli stivali texani sulla sabbia e la sigaretta in bocca in riva al mare di Piombino e poi ha pubblicato tutto su Facebook perché i decreti possono dirci cosa dobbiamo fare ma poi bisogna fare i conti con le promesse che abbiamo fatto e ci siamo fatti a noi stessi e queste spesso contano più di qualsiasi legge. Finito questo periodo, a Marco organizzerà una festa. Un evento a cui non vorrò mancare. Perché ho festeggiato matrimoni compleanni anniversari ma mai un funerale e ho sempre pensato che le cose e le persone vere bisogna celebrarle anche quando se ne vanno. E qui di verità ce n’è tanta. L’ho capito, lo so. Il dolore serve. Ma anche il dolore si può far tacere. Celebrandolo, appunto. Con dignità, onore.  Impegnandosi.

[pullquote]Le promesse che abbiamo fatto e ci siamo fatti a noi stessi contano più di qualsiasi legge [/pullquote]

Un altro aneddoto che cito spesso me l’ha raccontato Toni Thorimbert, un altro padrino, un fotografo enorme. Mi ha detto che negli anni dei suoi inizi scattava per il mensile Amica, quando su Amica pubblicavano i più grandi fotografi. Lui guardava il magazine e non si capacitava di come fossero potenti le foto di Helmut Newton. Allora andò dalla foto editor di allora, Giovanna Calvenzi, altro nume tutelare della fotografia, e le chiese: perché le mie foto non sono belle come quelle di Newton? La Calvenzi gli rispose così: “Certo, perché tu non hai sofferto come ha sofferto lui”. Ecco qua: il dolore ti porta al limite, il limite te lo fa esperire, e se lo superi hai conosciuto di più te stesso e conoscerai meglio gli altri. Questo è, e anche di questo non mi convincerete mai del contrario.

Foto Dave Anderson

[pullquote]Tieni bene a mente che la premessa e la conclusione sono sempre le stesse: che non ti devono scassare il cazzo [/pullquote]

Ieri ho sentito una esigenza. La voglia di andare a prendere un gelato. A proposito di  piccole cose. Poi Spotify mi ha fatto ascoltare una canzone di Enzo Jannacci ma nella versione di Cochi e Renato. Splendida, fa così:

C’è chi soffre soltanto d’amore
Chi continua a giocare al dottore
C’è chi un giorno invece ha sofferto
e allora ha detto io parto
ma dove vado se parto …
Eeeeee la vita la vita
E la vita l’è bella l’è bella
Basta avere l’umbrella l’umbrella
Che ti ripara la test
Sembra un giorno di festa! 

Andate tutti affanculo. Vi amo alla follia. Tutti quanti stasera.
Uno dei pezzi su Facebook di Giorgio Terruzzi finiva così: “Volendo, anzi volando, ce la si fa sempre. E per farcela, serve pensare di farcela. Tutto qui”. Già, tutto qui.
Le partite facili non esistono.
Niente retorica.
Niente teste di cazzo.
Volando ce la si fa. Sempre.

@moreneria

Condividi

Leggi anche