E se il nostro calendario avesse bisogno di santificare e onorare anche qualcosa o qualcuno che è ancora vivo?

La festa del presente
17 Mag 2015

Aprile. Una serata di pioggia A Montecatini Terme, in piena provincia. Pago il conto di una cena di pesce da 40 euro a cranio che non mi posso permettere. Quando ho strisciato il bancomat ho incrociato le dita: speriamo che ci siano ancora. Ha funzionato. Il conto è a zero troppo presto questo mese, ma ho rischiato. La roulette russa di Cimino in versione odierna: il mio bancomat. Mi metto al volante del Saab del mio migliore amico.

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Lo guido io perché due mesi fa gli hanno tolto la patente ed è traumatizzato.

[pullquote]siamo cresciuti in un posto dove il niente è un dogma, proprio per questo lo conosciamo, non ci abbatte.[/pullquote]

Partiamo in una notte che dorme nera dal sonno profondo, grassa, grattata solo dai grilli nei fossi, cantando le nostri canzoni da briai con una bottiglia da 13 euro. S’è mangiato il pesce senza i soldi, siamo dei signori. Ah, la vita. Curve morbide, guida gonza. Il Saab terrone è un trattore anni ’90.

Guido fino al Caffè Rencontrè, una bar surreale, sulla statale che porta a Montecatini. È fermo agli anni ’80, ed uno dei pochissimi posti aperti fino a tarda notte. Negli anni ’90 andava forte, adesso è nascosto dietro a una siepe lercia accanto alla cappella dei testimoni di Geova e un ristorante che una volta era il glorioso Ginger e ora è un all u can eat coi camerieri che ballano coreografie del karaoke in coro e cibo fritto indigesto a 15 euro dal primo al dolce. Tuuutto fritto.

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Il Rencontrè è il bar del Frosini, che fa la guardia giudiziaria di giorno al tribunale di Firenze e il barman di notte. Lo chiamano il Cavaliere Nero o lo Sceriffo per il suo abbigliamento. Dice di dormire tre ore e mezzo al giorno, fuma due pacchetti, è sempre vestito da texano, con un gilet di pelle e i baffi ossigenati. Il Rencontrè è un posto di frontiera, un varco per altre dimensioni. Se fosse a Milano questo bar avrebbe la fila di amanti del trash, altro che il 113…Il Frosini col mio amico ormai un po’ ci parla, gli piace. Siamo forse tra i pochissimi trentenni che vengono al locale. Ci fa il Margarita come lo fa lui.

«Ieri s’era mi volevo sparà, s’era in cinque tutta la sera». Ma non c’è lagna nelle sue parole, si sa che le cose a volte vanno così.

[pullquote]Dire alla gente che c’è il motivo di fare una festa anche oggi, in questo anno sfigato, in queste loro povere vite sfigate[/pullquote]

A un certo punto il Frosini, verso le 1.30, dopo un po’ che parlavamo con lui nel locale deserto, tra le luci rosse basse e dei quattordicenni così piccoli che non arrivavano neanche al bancone mi fa: la vuoi vedere una roba potente?

Tira fuori il metro e lo apre. Mi dice: 75 anni è il la media della vita di un uomo e porta il centimetro a 75. Te quanti n’hai bimbo? 32, quasi 33. bene metti la mano lì. E metto un dito a 33. Io 59, mi fa. E mette un dito a 59. Ecco guarda, da 33 in poi è la parte che ti manca, invece io ho questo pezzettino. Qualche secondo di silenzio.

Il Frosini mi fa: quando c’hai i pensieri strani, il metro ti aiuta sempre.

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Il silenzio è pieno di una musichetta anni ’80, uno strumentale da chiavata in macchina e il bar sembra un nightclub. È bellissimo, sembra che per un attimo di staccarsi da questa zolla di provincia per galleggiare nel mare nero della notte. Il piazzale fuori dal bar è illuminato da due palle di neon che sembrano una palma di lamiera. A occhio nudo sarebbe brutta, coi suoi neon a led, ma diventa perfetta in questa notte musicata solo dai grilli, in questo posto dimenticato da tutti. La statale è un serpentone vecchio che striscia, sulle sue scaglie vive una fauna di esseri notturni che peregrina in macchina tra un bar e un porchettaro, tra un distributore di sigarette e uno di preservativi. Come nel tragitto delle formiche dall’alto, gli uomini e le donne chiusi nelle loro auto compiono le stesse orbite di tutte le loro sere nelle strade di Montecatini. Nel quadro c’è l mio amico senza patente, ci sono io senza soldi, ci sono gli albanesi, i rumeni, mio zio che è morto troppo presto e ha lasciato troppi debiti e i cugini di Milano che verranno a requisire le stanze del piano di sopra dalla nonna, come gli spetta dalla sentenza.

Poi arriva il giorno e porta su le saracinesche, i pensieri saggi del Frosini se ne vanno con le prime luci e le strade si riempiono di signore anziane che vanno a fare la spesa e senegalesi in bicicletta. Rimane solo un po’ d’amarezza negli occhi di questa gente.

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Ci sono appena stati il 25 aprile e il primo maggio, due giorni grigi di saracinesche abbassate e strade deserte. Ma credo che qui a Montecatini, o in tanti altri buchi di culo dimenticati dal Signore, ci vorrebbe una Festa del Presente. Non l’ha ancora inventata nessuno la festa del presente. Nessuno sa che cazzo è successo il primo maggio di cento anni fa. Ed è importante si, importantissimo, ma una festa del presente lo sarebbe di più. Perché siamo in un momento in cui solo in pochi si possono permettere di vedere la realtà in prospettiva alla storia. La gente è melanconica, i miei amici trentenni rimpiangono già l’adolescenza. Come si fa a rimpiangere l’adolescenza a 30 anni? I 30 anni dovrebbero essere un gran momento no? Ecco perché dire alla gente che c’è il motivo di fare una festa anche oggi, in questo anno sfigato, in queste loro povere vite sfigate. Magari si rendono conto che così sfigate non lo sono. Oppure un giorno di stacco, senza festa, un giorno in cui si sta fermi per un solo motivo: per sentire la vita scorrere. Si prende la gente e la si mette tutta assieme nelle piazze. Nessuno può stare a casa nel giorno del presente. Poi che ne so, gli si fa scavare una buca, si fanno giocare a scacchi o a pallone. Salto della corda, gioco della bandiera, si mandano al mare gli si spenge Instagram a tutti per 24 ore e li lasciamo lì. Tipo durante le dittature che si fanno le giornate di socialità condivisa o robe del genere. Il primo che nomina la rubrica dei cervelli in fuga de Il Fatto Quotidiano lo mandiamo affanculo, il primo che parla di soldi lo mandiamo affanculo e così via.

Il mio mondo, quello che vedo io, è sempre più popolato di bar vuoti, di commercianti che battono la fiacca, di precari. Gente come il Frosini, come il mio amico, come le facce stanche che vedo trascinarsi sui baracci della stradale. Questi bar del cazzo con le macchinette VLT e la televesione sempre accesa che dilagano e diventano tutti uguali così in fretta, i tavolini pieni della polverina dei gratta e vinci, quel rumore del cazzo delle slot machines, le schedine delle scommesse accartocciate a terra. C’è un velo di bruttezza che si insinua nel presente, lo rende grigio, vestito male, disarmante. Quasi non te ne accorgi e i posti diventano una merda. Il Frosini è un eroe, tiene aperto il bar degli anni ’80 per cinque clienti a sera, non ha un locale ha una macchina del tempo. La festa del presente va fatta a lui, per lui e con lui che ogni giorno mantiene la sua dignità. Si mette col cappello di pelle nera a Montecatini, dove i vecchi sono tutti spalmati dello stesso grigio e oziano nei bar a lamentarsi di un passato che era meglio, degli immigrati, delle medicine. Nei bar dove senti la gente ciarlare a cazzo di Salvini, della politica. Tutti sanno tutto ma nessuno sa un cazzo. Parlassero di calcio sarebbe uguale, infatti poi passano al calcio.

La politica non aiuterà mai in questo paese a ritrovare la speranza in qualcosa di concreto. Non c’è salvezza lì, c’è solo la continuazione di una specie. Ma quella specie non è per forza dominante, la potremmo lasciare a vivere per conto suo no? Una bella festa del presente, con invitati tutti gli abitanti di questo presente vuoto, tutti gli esclusi, tutti quelli che non si rendono conto che nessuno ha tolto loro il mondo, ma che forse devono cambiare settore del mondo in cui collocarsi. Non lo so, vai al mare, leggi Steinbeck, fai l’amore con qualcuno tutto il giorno. Come dice Ferretti: in questi tempi dobbiamo costruirci tutti dei grandi ripari contro il cinismo. Io il mio l’ho trovato nel mio barrino di frontiera, ma non voglio essere un viandante. Magari un pellegrino. La festa del presente la deve organizzare ognuno di noi da solo, una volta ogni tanto. Non c’è altro da dire.

Ray Banhoff

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