Una normale mattina dell’ing. Pastelli. Fra catarri, sperma e ogni genere di liquame. Racconto tratto dalla raccolta Come Fratelli, edito da Italic-Pequod

L’equivoco
22 Mar 2014

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Quella mattina l’ing. Pastelli – grande esperto di indicizzazione web e delle “quattro nobili verità buddiste” – uscì dalla sua mansarda con calzini nuovi e un’eccezionale buon umore. Appena vide, proprio sotto il suo condominio, l’incustodita auto della municipale – fiammeggiante, bianca e smeraldo – si sbottonò i pantaloni e, con il gusto del caffè ancora in bocca, defecò con impegno e soddisfazione sul cofano – grazie al pattinaggio aveva un tricipite femorale molto robusto.
Fischiettando lungo il marciapiede notò un ragazzo pieno di fantasiosi tatuaggi e luccicanti orecchini per tutto il corpo, che fumava appoggiato al muro del supermercato. Si infilò allora due dita in gola, così in giù da riuscire a procurarsi un bel conato che alla fine inzuppò i pantaloni strappati del giovane – erano ancora distinguibili le fragoline di bosco dello yogurt. Questi, abbassando la testa di scatto, sicuramente per esaminare l’accaduto, per carità, prese fortuitamente contro al naso dell’ing. Pastelli che si frantumò come una zolla di terra. L’ingegnere, voltatosi subito, si allontanò per nascondere la propria smorfia di dolore a quel giovanotto sbadato, in modo da limitarne il rimorso con olimpica magnanimità.
Sarebbe stato molto irrispettoso verso l’ambiente consumare una salvietta di carta per una simile sciocchezzuola e, cammina che ti cammina, l’ingegnere – così attento al suo karma e al ciclo di reincarnazioni – pensò bene di donare fiotti di sangue ai passanti con rapide frustate del collo, di qua e di là.
Sentendosi la pressione un pelo troppo bassa, si sedette su un paracarro associando il nome del Padre Eterno a tutte le meravigliose creature terrestri che gli venivano in mente – i cani, i maiali, le vacche, i topi, le bisce. Quindi, l’anziana signora che, blaterando qualcosa di incomprensibile,  si avvicinò con un chihuahua scodinzolante al guinzaglio – agghindato di tutto punto con tanto di cappottino in velluto e collare brillantato – lui la salutò con garbo, prima di orinare quanto più poté sul suo cane.

[pullquote]Vorrei avere sperma, sangue, muco e feci per imbrattarvi tutti! Per imbrattare il mondo intero! Ma sono solo un piccolo uomo a cui è stata assegnata una modesta quantità di liquami![/pullquote]

Congedatosi dalla signora di buon passo perché lei voleva a tutti i costi restituirgli un bastone raccolto da terra e che però, l’ingegnere poteva giurarlo, non gli era mai appartenuto, raggiunse la fermata dei tram. Mentre, a gambe accavallate sulla panchina, aspettava il quarantasei barrato, spiegò con profluvio di esempi ai bambini con gli zainetti che gridavano a squarciagola accanto a lui il fantasmagorico mondo della decomposizione dei tessuti perché, disse, presto anche i loro genitori avrebbero avuto la gioia di sperimentarlo.
Circa un quarto d’ora più tardi, non essendo riuscito a produrre più di due o tre ovetti fini fini di feci sul troppo spoglio sedile del tram, prese a far colare saliva sul bel cranio calvo – ma così insolitamente opaco – del vicino che stava cerchiando quotazioni sul Sole 24 Ore e che, in preda a uno strano delirio e del tutto irriguardoso verso la scritta “Non parlare al conducente”, poi andò da quest’ultimo a bisbigliare chissà quali farneticamenti. Infine il bizzarro signore calvo, che l’ingegnere ebbe quasi la tentazione di definire “pelato”,  si lanciò fuori dal tram alla prima sosta con tale inverosimile fretta da scordarsi il giornale sul sedile.
Ma l’ing. Pastelli, eccitatosi all’idea che quel giorno l’autista palestrato – di solito non era quel che si dice una persona garbata – desse cordialmente udienza ai passeggeri, mentre questi guidava nel traffico del mattino, gli si avvicinò tutto pimpante e attaccò a masturbarsi dietro di lui con una certa elegante discrezione – teneva il Sole davanti all’inguine con l’altra mano – e in breve riuscì ad eiaculare copiosamente su quella spalla così ben modellata dai manubri.
Senza che nessuno adducesse una spiegazione plausibile, il mezzo si fermò di colpo e dei bruti privi di qualsivoglia riguardo per l’ing. Pastelli e per il suo buonumore gli bloccarono braccia e gambe, mentre con piccoli inchini egli distribuiva cremoso catarro a destra e a manca – aveva imparato in oratorio a farlo affiorare dai bronchi fin su nella gola – e lo distesero su di un letto alquanto scomodo e lo portarono altrove.
Intanto che chiudevano la portiera, lo sconcertato ing. Pastelli urlava: “Vorrei avere sperma, sangue, muco e feci per imbrattarvi tutti! Per imbrattare il mondo intero! Ma sono solo un piccolo uomo a cui è stata assegnata una modesta quantità di liquami! Ma venite a casa mia dopo il lavoro! Venite pure senza impegno, che ci accordiamo e qualche cosa per voi potrò farla!”

Enrico Dal Buono

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