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Mentre lo fotografiamo si sente male. Sono le 12,30, ha già bevuto due margarita, il sole gli picchia sulla testa da ore e a un certo punto sbianca. Corre in bagno, vomita, Maria Sole, la compagna che gli ha dato una figlia, e Tommaso, amico, assistente, aspirante scrittore, lo accudiscono come un bambino. E commentano: «Abbiate pazienza, Massimiliano è un po’ così».
Massimiliano Parente è spesso considerato un genio (da se stesso in primis), oppure un pazzo odioso (da se stesso in primis), sicuramente è uno dei migliori autori contemporanei italiani. Convive sia con un uomo, sia con una donna, si definisce realista reazionario, stalker, contrario alla procreazione e favorevole alla defecazione in pubblico. Collabora con Il Giornale, dopo aver scritto su quotidiani di destra come Il Domenicale (quello di Dell’Utri), Il Foglio e Libero. Però sì, forse il modo migliore per descriverlo è proprio quello: «Un po’ così». Tuttavia la prima domanda da fargli quando ritorna dal bagno e si siede a un tavolo del Caffè delle Arti a Roma, è un’altra: ma tu, come cazzo ti vesti? Dall’alto verso il basso indossa un paio di occhiali giallo fluo dalla montatura spessa, una giacca blu, una tshirt di Superman, un paio di jeans e le Nike con la scritta Max Fontana, il nome del protagonista del suo ultimo libro, Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler (Mondadori). Lui mi fissa per qualche secondo e risponde: «Me lo chiede sempre anche Vittorio Feltri. A dire la verità lui mi domanda: chi è quel criminale che ti pettina? Che vuoi, io sono flaubertiano, l’unica cosa di cui mi importa sono le mie opere, di tutto il resto me ne frega talmente poco che posso pure vestirmi in questo modo, come un bambino. Ordino su internet una quantità industriale di magliette sempre dallo stesso fornitore, da anni, gli occhiali me li faccio fare apposta da un’ottica di Venezia, e uso solo Nike Shox».
[pullquote]Convivo con un uomo e una donna. Ma non ero gay, lo sono diventato per amore. Mentre Maria Sole l’ho amata a tal punto che lei mi ha chiesto un figlio e io, in cambio, le ho chiesto uno scimpanzè. Non ne ho mai visto uno pregare un essere immaginario, forse sono superiori a noi[/pullquote]
Da dove arrivi? «Io sono di Grosseto, ho fatto il liceo artistico poi mi sono laureato in Lettere a Roma in Storia dell’arte contemporanea, tesi su Marcel Duchamp. Dall’88 al 98 ho scritto tre romanzi, mai pubblicati, perché volevo trovare esattamente il mio stile. Tutto quello che scrivevo lo mandavo ad Aldo Busi e ad Alberto Arbasino, li stimavo, conoscevo ogni loro riga, invece oggi tutti mi scrivono, ci provano, ma non hanno letto niente, è la dimensione del social network, che ci vuoi fare. Proprio Busi fu illuminante, di un romanzo di 600 pagine mi disse di tenere solo il nucleo centrale, io capii che aveva ragione e quel pezzo è diventato La macinatrice, la prima parte di una trilogia che esplora l’universo umano nella sua totalità, continuata con Contronatura e L’inumano». Come ti sei mantenuto in quei dieci anni? «Fino alla laurea mi hanno aiutato i genitori, poi ho lavorato in alcune case editrici tra cui la Castelvecchi, come ufficio stampa, dal 98 al 2000. Ma nel 98 è uscito Incantata o no che fosse con la casa editrice ES e avevo già in mente dove volevo arrivare. È stato un percorso molto lungo, che mi ha portato a mettere da parte tutto perché scrivere non è un’attività che ti permette di fare altro. L’unica cosa che mi sono concesso sono state le collaborazioni con le pagine culturali dei giornali».
Tutti di destra… «Veramente L’espresso mi aveva proposto una rubrica prima che cominciassi la mia collaborazione con Libero, però non potevo scrivere in prima persona né essere troppo polemico poi capitò un episodio che mi fece perdere del tutto le speranze». Quale? «Venni a sapere che un’equipe stava traducendo lo Zibaldone di Leopardi in inglese, cosa mai stata fatta fino ad allora, pensa un po’, e si erano fermati perché non avevano più fondi. Io proposi a L’espresso di lanciare un appello agli imprenditori italiani e loro sai cosa mi risposero? Che non era abbastanza pop. Proprio loro, che pretendono di dare lezioni sul giornalismo di qualità. Alla fine l’appello l’ho lanciato su Libero». Risultato? «Mi chiamò Gianni Letta dicendomi che il progetto lo avrebbe finanziato Berlusconi, il quale nel giro di una settimana mandò un bonifico di 100mila euro. La cosa fantastica è che questi qui si sono presi i soldi, hanno terminato la traduzione, ma hanno rinnegato Berlusconi, che non ha mai ricevuto una copia né figura fra i finanziatori. Però non pensare che io dai lettori di destra sia visto bene. Molti cattolici attaccano i miei articoli, rompono il cazzo in continuazione, però col fatto che chi occupa i posti di potere nella cultura è di sinistra, sui giornali di destra sei più libero, anche perché qui le pagine culturali non vengono reputate così importanti e puoi scrivere quello che vuoi». In effetti hai un concetto piuttosto aperto di famiglia. «Non ero gay ma lo sono diventato per amore di Mario, stiamo insieme da 20 anni. Probabilmente sono sempre stato potenzialmente bisessuale, come credo lo sia chiunque abbia abbastanza immaginazione per essere uomo e donna al tempo stesso. Però con lui sono stato subito chiaro e gli ho detto: “Guarda, probabilmente avrò anche delle donne”. E come Mario è il mio amore omosessuale assoluto, Maria Sole è il mio amore eterosessuale assoluto, amata a tal punto che lei mi ha chiesto un figlio e io, essendo contrario alla procreazione, le ho chiesto di avere in cambio un scimpanzé e di non essere chiamato papà. Questo non vuole dire che alla bambina non voglia bene… Ora ha un anno e mezzo e mi chiama Max». Perché sei contrario alla procreazione? «Per presa di posizione biologica. Tutti sono contenti di fare figli e procreare ma in realtà fanno ciò che fa ogni animale, dalla cellula all’uomo, dal passerotto che fa il nido fino alla formica che fa il formicaio, e non mi sembra una cosa intellettivamente molto elevata, ma animalesca, appunto. Uno può replicare che questa è la natura, ma anche l’istinto alla violenza è natura, l’istinto alla guerra è natura e normalmente l’uomo è la negazione della natura. La natura stessa è una cosa devastante, è una lotta dove vince il più forte, chi si sa adattare. E io, rispetto a questa dimensione così tragica dell’esistenza, non riesco a pormi in maniera ipocrita, non accetto la finzione sociale. Sono contro la procreazione perché provo rabbia verso l’illogicità dell’esistenza». E il desiderio di avere uno scimpanzé cosa c’entra? «Gli scimpanzé sono i più vicini a noi nella scala evolutiva, si sono separati dall’uomo 5 milioni di anni fa. Ho pensato: accanto a uno scimpanzé un po’ si umanizzerebbe lui e un po’ mi scimpanzizzerei io, ci incontreremmo a metà strada. Con un bambino che mezza strada c’è? Male che vada diventa come me o ancora più stronzo di me. Già non mi sopporto io, figurati se sopporto uno più stronzo di me».
[pullquote]Sono contro la procreazione perché provo rabbia verso l’illogicità dell’esistenza. Tutti sono contenti di fare figli ma in realtà fanno ciò che fa ogni animale, dalla cellula all’uomo[/pullquote]
Cambiamo tavolo perché il posto in cui siamo non è più all’ombra, Parente si asciuga il sudore con dei fazzolettini Tempo che tira fuori dalla tasca sinistra della giacca. Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler è palesemente antisemita. Come mai nessuno si è incazzato? «Mi sono stupito anch’io. Si vede che chi ha letto il libro ha capito la sua vena satirico comica. E poi, forse, i rabbini non leggono libri. Comunque, a parte gli scherzi, Max Fontana non è antisemita, è antitutto. Perché alla fine l’idea di sterminare solo qualcuno è banale. Ci sono talmente tanti motivi per sterminare tutti che non si capisce perché concentrarsi solo sugli ebrei. Scusami, i musulmani no? E i cattolici? E i cinesi? Sarebbe stato più fico». Max Fontana è un artista che diventa famoso dopo aver eiaculato su L’origine del mondo di Courbet, realizzando da lì in poi una serie di opere provocatorie da far invidia a Maurizio Cattelan. «È un artista che non retrocede, non salva nessuno, non accetta compromessi. Mica come quei furbacchioni paraculi alla Cattelan. Cattelan ha fatto Hitler che prega, come se si fosse pentito, non ha il coraggio di muoversi in una dimensione veramente estrema». Max Fontana dice: «Avvicinatevi a un passante e dite “Hitler”, poi osservate le reazioni». Tu lo hai mai fatto? «Con un africano, ma capiva Italy, e Hitler non sapeva nemmeno chi fosse. Io ero convinto che fosse conosciuto da tutti e invece… Però dovrei riprovare». Max Fontana dice: «Mangiare è anacronistico». «Mangiare lo trovo veramente di cattivo gusto, infatti mi ha sempre affascinato Il fantasma della libertà, il film di Bunuel, dove i protagonisti siedono sui water e defecano. Bisognerebbe mangiare di nascosto e defecare pubblicamente. Tanto, inconsapevolmente, lo fanno già tutti: qualsiasi talk show italiano è una defecazione, no? Nutrirsi invece è come la procreazione: anacronistico». Sei contro il nutrirsi, contro la procreazione, sei un nichilista! Si avvicina all’iPhone: «Stiamo registrando?». Sì. Urla: «Io contesto il termine nichilismo! Perché il termine nichilismo è un termine religioso. Io sono un realista reazionario. Scusa, se vai da un medico che ti dice che hai un tumore e tre mesi di vita tu gli dai del nichilista? No, quella è la realtà. Io sono assolutamente consapevole della realtà biologica astronomica atomica in cui siamo noi esseri umani, e cioè che siamo un prodotto biologico di un processo iniziato tre miliardi e mezzo di anni fa, che siamo il frutto dell’incrocio tra la casualità dell’evoluzione genetica e la selezione naturale, che viviamo su una piccola biglia all’interno di una sistema solare con una stella che sia chiama Sole, all’interno di una galassia che si chiama via Lattea, dentro cui ci sono 200 miliardi di stelle, in un universo visibile che contiene 100 miliardi di galassie. Allora questa cosa deve o non deve condizionare la nostra visione del mondo? Perché se rispondiamo di no, ci raccontiamo delle favole. In quanto scrittore io devo essere consapevole della realtà e la realtà è questa. Sai perché odio i letterati, i critici d’arte, gli artisti?». No. «Perché sono tutte figure di un umanesimo che ormai è decrepito, morto. Sono fermi a due secoli fa, a prima della rivoluzione scientifica, prima dell’illuminismo. Io a questi idioti mi oppongo, infatti mi hanno emarginato completamente. Stanno lì e si celebrano da soli, al premio Strega, al Campiello e poi si ritrovano tutti insieme alla Sapienza… Sono morti, non esistono più. Sono ancora lì a parlare di anima… L’anima che cos’è? Ormai è scientificamente provato che basta una leggera lesione della corteccia prefrontale per cambiare personalità. E allora penso che se uno crede di poter esistere senza un cervello e senza un corpo sia un matto». È per questo che Max Fontana vorrebbe tornare bambino? «Sì. L’infanzia che cos’è se non l’inconsapevolezza della realtà? Nell’infanzia possono esistere i supereroi, tutto è possibile, il mondo non è più vero, ma più finto, e proprio per questo più bello. Questa dimensione infantile credo che sia l’unica vivibile. La maturità è agghiacciante. Come fanno le persone a dover andare in ufficio tutti i giorni in giacca e cravatta, a restarci dieci ore come uccelli in gabbia e a non potersi vestire da Batman? Non toglietemi la possibilità di essere infantile, per favore. L’infanzia andrebbe vissuta in modo consapevole, dopo aver scoperto che cos’è l’età adulta. E poi tutti quanti parlano della felicità, ma quale felicità volete? Io resto sempre basito dal fatto che nessuno di questi intellettuali prenda una posizione netta sulla religione, sono tutti leccaculi, come è possibile che tutti quanti, anche in politica, anche Beppe Grillo, non dicano mai niente contro il Vaticano, una cosa così medioevale, cosi vecchia? Per questo preferisco gli scimpanzé: non ho mai visto uno scimpanze pregare un essere immaginario, il che mi fa pensare che forse siano superiori a noi». Nel libro Max Fontana sostiene: «Siamo peggio delle pecore, che almeno non pensano». «Ogni domenica milioni di persone stanno in fila a prendere in bocca un pezzo di ostia immaginando che sia la reincarnazione del loro idolo morto 2000 anni fa. Se non è pazzia questa…».
[pullquote]La dimensione infantile è l’unica vivibile. Come fanno le persone a dover andare in ufficio tutti i giorni in giacca e cravatta, a restarci dieci ore come uccelli in gabbia e a non potersi vestire da Batman?[/pullquote]
Tu che infanzia hai avuto? «Felice, con dei genitori che mi hanno voluto molto bene. Ho girato un po’ perché mio padre lavorando in banca si doveva spostare. Ho abitato a Grosseto, Lanciano, Lucca, poi di nuovo Grosseto, infine Roma. Significa che ogni volta che arrivavo in una classe nuova dovevo picchiarmi con qualcuno per farmi accettare e una volta accettato dovevo salutarli e ripartire. Questa cosa mi ha creato il terrore del distacco. Per esempio, già mi angoscia l’idea che voi fra poco andrete via. Ma tornerete presto a trovarmi, vero?» Assolutamente. «Quindi ho questa idea dell’infanzia come luogo di emarginazione dagli altri perché ero sempre in minoranza, ma in parte ero felice perché elaboravo i miei mondi in modi molto masturbatori, tutte le mie perversioni son nate nell’infanzia». Tipo? «Lo smalto rosso lo usava mia madre, per esempio, e credo di aver avuto le mie prime fantasie erotiche sullo smalto rosso intorno ai cinque anni». È per questo che ti sei fissato con Selvaggia Lucarelli? «Lei ha una manicure fantastica, non è stupida e mi intriga perché per me è il prototipo di quella che fa l’occhiolino a tutti, che dà il bacettino a tutti, io impazzirei con una cosi. Però, siccome io sono contro la privacy, le faccio uno stolkeraggio pubblico, su Twitter. Ma privatamente no. Pur avendo il suo numero non l’ho mai chiamata, tranne un giorno per la presentazione del mio libro: l’ho chiamata otto volte senza riuscirci a parlare. Su Libero le ho proposto di diventare mia amante a patto che lei non avesse altri uomini e di vederci una volta sola a settimana. Non ha mai risposto, e allora che si accontenti di Andrea Scanzi e di quelli lì». La Lucarelli ha dichiarato che il tuo libro è un capolavoro. «Ma il suo giudizio vale un cazzo. Ah ah ah». Lo hai letto il suo, di libro? «Una parte». Ti è piaciuto? «È il romanzo di una che non ha mai letto un romanzo veramente, scritto da una persona intelligente che però non ha idea di cosa sia la letteratura». Hai stolkerato anche Isabella Santacroce, è vero? «No, noi due siamo molto amici. Nel mio ultimo libro ho dato il suo cognome a una sensitiva perché lei se ne esce spesso con frasi del tipo: “Ho visto una testa che fluttuava sul mio letto” o “È Dio che mi ha scelta”. E io le rispondo: “Isabella, ma non esistono queste cose, non esiste Dio, non capisci un cazzo». Con quante donne sei stato a letto? «Non più di 45». E con quanti uomini? «Uno, però per molto tempo». Sei bravo a letto? «Una volta ero più bravo, adesso sento che sta arrivando la crisi dei 40 e ogni tanto mi distraggo, penso ad altro». Pratica sessuale preferita? «Sesso orale e sodomia». Ti masturbi? «Prima tantissimo, arrivavo anche a 7-8 al giorno, da qualche anno un po’ meno, quattro volte a settimana, ma mi sono stufato e poi prendo degli antidepressivi che mi fanno passare la voglia. Purtroppo ancora non del tutto, spero di arrivare a 50 anni senza più desideri, in modo da poter consegnare la prostata senza rimpianti». Quali antidepressivi prendi? «Ultimamente la Fluoxetina, che sarebbe il Prozac, e a bisogno lo Xanax». Perché? «Per antideprimermi». Ma come ti regoli nella gestione della tua vita avendo sia una compagna sia un compagno? «Viviamo in due case vicine, Mariasole con la bambina e io con Mario, però io faccio un po’ da pacco, ogni tanto vado da una parte e ogni tanto dall’altra, ma non devo decidere niente: si accordano fra di loro». Hai detto: «La Play Station è meglio del porno». «È vero, ci gioco molto di mattina, dopo che ho scritto». Scrivi di notte? «Dalle 4 alle 8, tutti i giorni, anche Natale e Capodanno, sempre. Mi sveglio presto, scendo al bar e scrivo. A quell’ora ci sono solo io, ogni tanto capitano due mignotte. Il resto del giorno lo passo pensando a cosa scriverò la mattina successiva, stando con Maria Sole, la bambina, Mario, e a giocare alla Play».
[pullquote]Se fossi un dittatore obbligherei Sasha Grey a dormire in camera mia. Vieterei la candidatura degli italiani alle elezioni e trasformerei San Pietro in un gigantesco McDonald, già ci vedo la M sulla cupola, bellissima…[/pullquote]
Non fai vita da intellettuale e non perdi occasione per stroncare Antonio Scurati, Wuming, Walter Siti, Francesco Piccolo, Erri De Luca. «Perché sono dei ruffiani e scrivono libri qualsiasi, mentre io scrivo capolavori. Essere ruffiano è la caratteristica per entrare in determinati ambienti. Hanno provato spesso ad invitarmi, io non ci sono mai andato perché è una forma di corruzione. Non mi vedrete mai in un posto letterario. Ma tutte queste sono cose che si pagano, come in tutti gli altri campi in Italia anche quello della letteratura è una massoneria di convenevoli e ruffiani. Per un periodo ho frequentato critici come Filippo La Porta e Alfonso Berardinelli, tutti che si spalleggiano l’un l’altro, La Porta dice che Berardinelli è il più grande, Berardinelli lo dice di La Porta, eccetera. Io avevo un amico, Nicola La Gioia, ma abbiamo litigato perché lui è entrato nel meccanismo di compiacimento reciproco tra critici e scrittori. Infatti è diventato velocemente editor di Minimum Fax e giurato al premio Strega». Ti sei scagliato addirittura contro l’intoccabile, Pasolini. «Io Pasolini lo detesto. Mi ha rotto le palle perché è diventato il santino della sinistra, e Carmelo Bene quello di destra. Ma più di loro odio i pasoliniani e i carmelobeniani, i seguaci… L’importante è non avere seguaci». Sei a favore o contro la candidatura di Gipi al premio Strega? «No so chi sia». Il fumettista che ha scritto una graphic novel arrivata fra i dodici finalisti. «Allora sono a favore, tanto tutti scrivono fumetti in forma di romanzi, almeno questo ha scritto un fumetto vero. Oggi vogliano essere tutti quanti “e scrittore”, giornalista e scrittore, blogger e scrittore, vogliono fregiarsi di questo titolo. Perché se non sono scrittori Beppe Severgnini vuole essere “e scrittore”, Giampiero Mughini “e scrittore”, la Gruber “e scrittrice”? Ogni volta che vado in tv mi mettono tipo scrittore e giornalista ma io non sono giornalista, scrivo sui giornali, ma è un’altra cosa. Oltretutto lo scrittore non conta niente. Quando ho fatto la carta d’identità mi hanno chiesto quale fosse il mio mestiere. Ma la professione “scrittore” non esiste, è significativo».
Mentre parliamo un signore, con aria da gufo, si avvicina al nostro tavolo, e ci interrompe dicendo: «Scusate, io sono una persona comunissima però mi appassionano gli argomenti di cui discutete». Parente: «Lei appare come un intellettuale invece, incute anche un certo timore».
Il gufo: «La sua visione, se mi permette, è un po’ estrema».
Parente: «Lei vuole intervenire per difendere la religione, lo so già».
Il gufo: «No, però non possiamo non considerare la componente di mistero».
Parente, svaccandosi sulla sedia: «No, il mistero no dai… Sembra di sentire Antonio Moresco…».
Il gufo: «Il fatto che ci sia un essere dotato di intelligenza nel contesto di un universo formato da milioni di galassie secondo lei non è misterioso? Il mistero è dare a questa vita cosi scomoda e affascinante una speranza. Noi adoriamo Dio perché in un certo modo siamo in grado di essere Dio, cioè l’uomo ha bisogno di Dio, ma Dio ha bisogno degli uomini…». Parente: «Ma no, è una versione un po’ primitiva, mi permetta lei, un tempo anche la pioggia e i fulmini erano un mistero e venivano venerati come divinità. “Mistero” è il nome di comodo che l’ingenuo dà alla propria ignoranza».
Il gufo resta perplesso ma lui e Parente si salutano dandosi la mano e promettendosi un’amicizia su facebook. Poi Parente commenta: «Adoro parlare con chiunque, riesco a farlo persino con mia madre…». Perché, persino? «Con lei ho avuto un rapporto normale fintantoché non sono diventato me, cioè molto presto. Però con la maturità ho cominciato a capirla, la capisco, essere la madre di un genio è difficile». Hai detto che 15 anni fa un noto personaggio ti offrì 300 milioni per scrivergli un romanzo. Chi è? «Non posso dirtelo, come minimo mi beccherei una querela».
Hai raccontato che Bompiani, diretta da Elisabetta Sgarbi, ritirò uno dei tuoi libri dopo che avevi rifiutato una schifosa marchetta al fratello Vittorio. Quale marchetta? «Sgarbi mi aveva chiesto di mettere la mia firma a un articolo scritto da lui, dove si diceva che secondo me, e cioè in verità secondo lui, Sgarbi stesso doveva essere nominato ministro della Cultura. Su questa vicenda c’è un’ampia documentazione su Dagospia, non racconto niente di inedito. Lui mi insultò dandomi del frocio e rotto in culo. Io risposi ok, io sono un frocio, ma tu resti uno che chiede di farsi fare le marchette».
[pullquote]Sono a favore a Gipi candidato allo Strega, tutti scrivono fumetti in forma di romanzi, almeno questo ha scritto un fumetto vero[/pullquote]
Se tu fossi un dittatore cosa faresti? «Obbligherei Sasha Grey a dormire in camera mia. Smantellerei la chiesa. Istituirei il reato di vilipendio della scienza e della ragione. Costituirei un sistema liberale assoluto in cui ognuno possa avere quel che vuole secondo il principio che la mia libertà finisce dove comincia la tua. Vieterei la candidatura di tutti gli italiani alle elezioni politiche e la procreazione, e trasformerei San Pietro in un gigantesco McDonald’s, già ci vedo la M sulla cupola, bellissima… Sotto il colonnato ci metterei i tavoli con delle pinup che portano il bigmac». C’è qualcosa per cui ti venderesti? «Per un sacco di cose, mi sono venduto perfino alla Barbara D’Urso. Per ogni presenza a Pomeriggio 5 ho chiesto 1.500 euro. Finché me li ha dati ci sono andato. Io per ora ho resistito solo ai 300 milioni del succitato critico innominato». Quanto guadagni adesso? «Fra i 47 e i 50mila euro lordi all’anno». Cosa ti commuove? «Mi sono commosso una volta, a otto anni, guardando la scena di Bambi in cui muore sua madre. E poi mi commuove la sofferenza ingenua dell’essere umano, l’idea che tutto questo finirà per sempre. Che a un certo punto sarà come se nulla fosse mai stato. Che tutte le conoscenze che abbiamo accumulato, tutto quello che hanno sentito le persone che sono morte prima di noi, miliardi di persone, e anche lo stesso universo non ci saranno più, nel senso che finirà la stessa materia di cui è composto l’universo e non ci sarà più niente e non ci sarà una memoria che conterrà tutto questo immane dolore. Se penso che la sofferenza e tutte le emozioni e tutta l’umanità siano qualcosa a perdere mi viene da piangere». Sei così pessimista? «E ridaje. Io sono realista. Fra 4 miliardi di anni il sole avrà inglobato la terra e tutto si dissolverà. Immagina che culo, come dice Max Fontana, nascere in tempo per vedere l’ultimo giorno della Terra. Sempre Max Fontana dice: “Hitler ha ucciso degli ebrei che fra un secolo sarebbero morti lo stesso”. Vista da un secolo dopo la cosa non sembra cosi grave, la storia sedimenta tutto». Si guarda intorno. «Dai, facciamo un’altra prova». E ad alta voce comincia a ripetere: «Hitler! Hitler! Hitler!». Il cameriere macedone chiede: «Spielberg?». Il ragazzo della coppia vicino al nostro tavolo si gira e ridacchia. Una donna passa senza neanche voltarsi. Parente sospira: «Hai visto, si è già ridimensionato tutto, figurati cosa rimarrà fra 4 miliardi di anni».