Andrea Camilleri se n’è andato al secchio.
Ai vecchi tirannosauri va concesso un rispetto basilare a prescindere, per statuto. Sono cresciuto in un ambiente dove, se dicevi una parola di troppo ai più grandi, mica potevi lanciare un hashtag per difenderti: o avevi i coglioni di portare avanti tutta la faccenda e dimostrare che avevano torto, o ti beccavi un cartone nei denti. Ma poi Camilleri… ha sfondato quota 90 primavere. Oh, onesto, chi cazzo gliela faceva fare di continuare a farsi sentire, a scrivere, se non una sua personale idea che, facendo questo, riuscisse a stare bene?
Camilleri e i libri, Camilleri e la Rai, Camilleri che a 90 anni si schianta contro Salvini nonostante i denti gialli e gli occhi velati come se lo svegliassero a scariche elettroshock solo per fare le interviste che precedevano la 1a serata di Montalbano.
Vampa d’Agosto, il Cane di Terracotta… libri piacevoli, impaginati tosti dalla Sellerio, che fa quelle copertine ruvide che sanno molto di studio legale del Meridione. Ma a prescindere da quanti libri si sian letti di Don André, Montalbano fa parte di noi. Soprattutto quello televisivo. E non è mancanza di rispetto o declassare le opere di zì André, è solo che le puntate della fiction per anni hanno infranto ogni record di sharing (se non contiamo le partite di calcio), dunque qualcosa la vorrà dire. Anche voi che leggete Scurati mentre bevete il thè matcha di quell’azienda greeneconomy spiaggiati su qualche scoglio, vi sarete concessi una birra davanti alle imprese del Coooommiissssaaaaario.
Le riprese aeree della Sicilia. Le piazze assolate e bianche, i bar con le scaffalature in legno, il ristorante sul mare, Zingaretti col fisico da uomo forzuto dei freak show anni ’30 che beve il caffè vista mare a Porto Empedocle, nella sua villa che dai, tutti abbiamo sognato di comprare per farci un buen retiro da prepensionati di lusso. Le fregne imperiali femme fatale che perdono la devozione per il buon Montalbano.
Il Lunedì sera era relax totale davanti alla Rai. Mi ricordo mia nonna presa bene che cucinava gli arancini dopo aver visto gli arancini di Montalbano. Li faceva con piselli e mozzarella filante e non so se fossero come nella ricetta originale, ma spaccavano. In Inghilterra avevamo una TV satellite pirata che trasmetteva solo canali RAI e allora io, mia nonna, mio fratello e mia madre ci rinchiudevamo nel salotto-cucina e ci guardavamo Montalbano. Mi addormentavo di stecca dopo un’ora, sul divano, ma che fa?, ero contento perché sentivo ‘ste voci in italiano e invece a scuola era tutto un fuck off italian cunt e il cibo alla mensa era una merda, per cui mangiavo sempre pochi arancini a casa di modo da lasciarmene per il pranzo a scuola il giorno dopo. Montalbano è mio padre che mi racconta di San Vito Lo Capo, un posto in faccia all’Africa nella parte nordoccidentale della Sicilia, dove le granite al caffè sono essenza di goduria e dove senti i vecchi fischiare ai picciotti. Mio padre, il giorno dopo aver visto Montalbano, rispondeva sempre al telefono con un “Nico Monfredi sono!”.
Molti dicono che Montalbano è un prodotto mediocre, che Catarella non fa ridere manco per il cazzo e che l’accento siciliano lo steccano ogni due per tre e recitano come dei cani e sì, ci sta. Non è un capolavoro, ma non è che dobbiamo denigrare qualsiasi cosa che non sia Breaking Bad o True Detective. Faceva il suo. Era un anestetico mentale. Anche se non c’avevi soldi e vivevi in UK e il clima là era pioggia e bestemmie, ti vedevi quelle scene inondate di luce mediterranea e sentivi una piccola fitta al plesso solare, ed era tutto ok.