I viaggi di WNR/Andare a NY e camminare e osservare e ubriacarsi e fumare, ché lì sono le uniche cose che vi consigliamo di fare. Un racconto-report

New York
29 Lug 2014

Atterro a Newark in New Jersey. La guerra con New York la si combatte sul confine. La guerra con New York la si combatte sul confine a colpi di pastrami begal a chi la mostarda ce l’ha più buona. Pare che in New Jersey sia tutto più grande. Atterro a Newark in New Jersey mentre ascolto Lucio Dalla.
A New York sono le sirene a farla da padrone. Le sirene come bestie antiche, con le luci e quella musica jazz che ti aspetti ad ogni angolo. Mi chiedo cosa sia quel vapore che sale dai tombini. Me lo chiedo sempre. Ogni volta che ci torno. Non vorrei rispondermi mai.  A New York stasera ho cercato un rooftop. Perché sono in jet lag e il gin tonic ci mette del suo. L’aria è calda e ha un odore tutto suo. La gente pulsa come delle cazzo di supernove sparate nella silhouette della skyline della città sull’hudson. Saranno le luci, ma stasera siamo tutti comete. Comete galassie e costellazioni. Energia universale, roba da antimateria. Animali stellari in collasso perenne. Vedo le pulsazioni. Sento le pulsazioni. Bevo. La tizia che mi porta il gin tonic è una gran figa. Sarà per quello che bevo. O sarà che è figa perché ho bevuto. Però non ho più tempo per pensare e lascio che tutta questa roba mi coli addosso. Mi sgoccioli dalle viscere perché mi ammazza tutta questa vita. È tanta. Tanta e mai abbastanza. Non potrò mai perdonarmi il fatto di non riuscire a fermarmi. Mai. Però intanto bevo. Perché stasera i gin tonic sono tutti offerti.

[pullquote]Quando il sole risorge parti di nuovo da zero. New York. È la terza sigaretta di fila quella che mi sto fumando. In culo al romanticismo[/pullquote]

A New York non mi innamoro mai. È solo sesso. Sogni strappati in una camera di hotel a Lexinghton Ave. Il sangue mi scoppia il cervello. Fumo in fila alla fermata dei taxi. Non ne prenderò neanche uno. Lavoro di gambe. Le mie e quelle di tutte quelle maledette yankee che vorrei mi scaldassero il letto. Solo per una notte, non di più. Nel mio hotel vendono preservativi e vibratori. In culo il romanticismo. Non oggi. Non stanotte. Voglio solo sognare quel sesso che le luci di troppe vite ti guardano dalla finestra e che sai che le lenzuola non le cambierai tu. Perché quando il sole risorge parti di nuovo da zero. New York. È la terza sigaretta di fila quella che mi sto fumando. In culo al romanticismo.

Si potrebbe dire che all’alba la città si risveglia perché l’aria è sorniona alle 5.07. Si potrebbe dire che la città si risveglia se se ne andasse mai a dormire. Ma così non è. E allora ti chiedi cosa sia quella bolla che ti tira su a mezz’aria mentre il sole sale. A quest’ora non posso fare altro che scendere dal letto e cercare un caffè. Cercare un caffè e fumare una sigaretta. Ho un pezzo in testa di quelli che ammutoliscono i pensieri e così mi ritrovo a guardare per la prima volta la città dall’alto al basso. I palazzi della terza si inchinano mentre passo, oggi il dio sono io. La temperatura sale lentamente a 80 fahrenheit, meno 28 diviso 2 uguale celsius. Me l’ha insegnato un’inglese a cui ultimamente sto pensando troppo.

Sono estasiato. Eccitato. Bevo un malbec al ristorante del W hotel. Ho chiesto un tavolo per uno. Me ne hanno dato uno per 6. Mi porto dietro una corazzata di altri me. Il cibo è fantastico e chiama altro vino. Intorno nessuno vede i miei tatuaggi, né guarda cosa e come mangio. Quello che vedono è un uomo che ha bisogno di un altro malbec e un altro ancora perché non ci si riesce a fermare. Non si può. E i bicchieri arrivano che dopo il terzo non me lo chiedono neanche più. Voglio stare solo. Stanotte è la mia notte. La mia e di quel vino rosso di annata che lentamente mi diluisce il sangue nelle vene. Inizio a giocare con una bionda seduta all’altro lato della sala.  Inizio a giocare con gli occhi perché la spinta del malbec la si comincia a sentire anche nel bacino. Le faccio capire che la amo. Le faccio capire che non me ne fotte un cazzo. Quando si alza mi guarda ed esce dalla sala e io esco a fumare. Parliamo. Poi torno a pensare a quell’inglese che mi ha insegnato la conversione celsius fahrenheit e mi rendo conto che in realtà non ho mai smesso. Al prossimo bicchiere brinderò a qualcosa di anormale. New York, alla tua. Vai a farti fottere. Le mie scarpe me le guardano tutti. Il paesano ha fatto il botto.

[pullquote]Bevo un malbec al ristorante del W. Con gli occhi inizio a giocare con una bionda seduta all’altro lato della sala. Le faccio capire che la amo. Le faccio capire che non me ne fotte un cazzo[/pullquote]

A questi cazzo di americani proprio non riesce di essere figli di troia come a noi europei. Per loro è solo metterti in bocca il cazzo più grosso, nessun gioco. Non c è strategia. C’é da dire che le steakhouse portano piatti di una certa importanza. Però mi fermo li e troppe volte non basta. Sono uno a cui l’eleganza piace. L’estetica come parte integrante di ogni personaggio che mette piede al mondo. Fuori dallo Sparks sulla quarantaseiesima uno mi dice che in america non si fuma. Gli rispondo che sto fumando su quel pezzo di territorio europeo che mi porto sempre addosso. Rientro per bere. Esco di nuovo a fumare.

A New York il rispetto lo si lega al collo insieme alla cravatta. La dignità della razza umana è un fattore aritmetico direttamente proporzionale alle variabili xyz; nell’ordine abito, gemelli, 24 ore. Ringrazio che i tatuaggi mi spuntino dai polsini della camicia, ringrazio che si vedano in controluce attraverso le maniche. Non appartengo alla categoria. Non passo ore a studiare la postura perfetta da mantenere davanti al computer. Schiena dritta e spalle alte. Se mi siedo mi accascio se mi alzo è per andare a fumare. Amarmi o odiarmi, non ci sono alternative; lo faccio per coerenza. Amo il genere umano, quello decategorizzato. La roba che pulsa dietro gli occhi della gente che dio sa che cosa c’è dentro tutte quelle vite in collasso eterno.

[pullquote]Al prossimo bicchiere brinderò a qualcosa di anormale. New York, alla tua. Vai a farti fottere. Le mie scarpe me le guardano tutti. Il paesano ha fatto il botto[/pullquote]

Lascio New York per tornare a Newark. Partire. Tornare a casa. Tornare a Londra. Mi fumo due paglie con un vecchio di Buffalo che ha le lacrime agli occhi. Sarà l’età, o forse l’alcol, però inizia quando attacca a parlare del figlio. Alla terza sigaretta penso al mio di figlio e a me e a mio padre e mi sento schiacciato in un dislivello generazionale. Non sono altro che un cazzo di ponte tra due vite. Come quell’aereo che mi sta passando sopra la testa. Come quello che mi riporterà a casa. Sono tutto e niente. Non molto più di un passaggio necessario a che certe cose accadano. Così mentre penso mi lascio andare e dopo i controlli di sicurezza mi abbandono a qualche gin tonic mentre Tiger Woods fa un risultato scandaloso agli Open e ti rendi conto che forse anche la sua carriera è finita. Vado ancora di gin tonic. Più gin che tonic per favore.  Ma non perderò il volo. Devo tornare. Ho una vita da continuare e una da iniziare. Prima o poi. Nel frattempo una cosa l’ho capita. La guerra tra Jersey e New York a chi il pastrami bagel ce l’ha più buono la vince New York.

Giorgio Cremonesi

Condividi

Leggi anche