Un carteggio sul Papa, il sesso, la droga, il bene e il male, i rapper inutili, Gesù, la politica e l’amore con la voce de Il Teatro degli Orrori, uscito col primo disco solista prima dell’estate. Uno che va così a fondo nel Nero che non capisci se ci è nato o se vuole portarci la luce. Foto e video di Giorgio Serinelli

Pierpaolo Capovilla
10 Set 2014

Attenzione! Su un dispositivo desktop è possibile visualizzare la versione dinamica di questo post, la seconda puntata dello “Storytelling di Copertina”. Se stai leggendo da un computer, clicca qui sotto:

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Pierpaolo Capovilla per WNR

Fumi 60 sigarette al giorno, ci dai dentro col bicchiere, hai sul volto i segni di una vita dove il dolore ha scavato un solco. Da una parte sembri autolesionista, ma questo non ti impedisce di provare una forma d’amore smisurata per gli “altri”. In Arrivederci dici: «ma come si fa a non amarti/maledetto paese/ in cui soccombere/ chi più, chi meno/ in questo triste destino/ comune e quotidiano/ e vorrei dirti/ qualcosa di tenero/ tenero come un’alba/ come un tramonto/ una buona notte/ per ferirti ancora/ o una volta per sempre». Stai cercando una redenzione? Eppure non rinunci a ferirlo ancora, una volta e per sempre questo Paese. Come mai?

Una Redenzione … non direi. Da cosa mai dovrei redimermi? Da un passato troppo turbolento? Da un’infanzia difficile? Dai tanti errori commessi? Credo che ognuno di noi, in fin dei conti, sia la propria storia. Cerco di fare tesoro delle gioie della vita così come degli errori, degli sbagli, delle brutte figure. Come si dice … Sbagliando si impara. Eccome!

Pierpaolo Capovilla per WNR

Hai letto poesie in giro, fatto uscire un tuo disco solista, mi hai accennato della probabile partecipazione a un film (a proposito, ci dici quale è?). Dove sta andando la tua ricerca artistica? Dove ti sta portando?

La mia vita è un naufragio. Scruto i miei orizzonti in cerca di di un porto dove ormeggiare. Sono felicemente disperato. Per me la vita è ricerca. Ho ricevuto più di una proposta cinematografica. Mi piacerebbe davvero imbarcarmi in un viaggio nuovo, e inatteso. Vedremo …

[pullquote]Per me la canzone è cultura, non costume. Con la cultura facciamo il cittadino, con il costume il consumatore. Che sia stramaledetto.[/pullquote]

Mi sono sempre chiesto una cosa su di te: sei un esteta o un utopista? Vuoi essere un cronista o un rivoluzionario? O forse entrambe le cose… Nella tua musica ci sono sempre riferimenti alla realtà, c’è sempre un’analisi del presente e della società. Vorresti cambiare il mondo con la tua musica? In questo caso mi viene in mente l’immagine di un martire, di Cristo che muore in croce, lo vedo come un sogno impossibile.

Dio santo! Mi stai davvero paragonando a Gesù? Mi vengono i brividi … È uno scherzo, vero? Una provocazione? Anche se, a dire il vero, c’è un po’ di Gesù in ognuno di noi. Ogni volta che non rivolgiamo lo sguardo da un’altra parte. Quando lottiamo per il diritto del nostro prossimo di vivere insieme a noi. La fratellanza, la pietas cristiana: quando vengono a mancare, incomincia l’incubo sociale, la prevaricazione, l’arrampicamento, la noia e l’insofferenza, l’edonismo narcisistico, l’indifferenza. E il razzismo, essendo il razzismo nient’altro che il mancato riconoscimento sociale dell’altro, vera e propria cifra politica della nostra contemporaneità.Penso al popolo romanì, che noi – sprezzanti – chiamiamo “zingari”: il popolo più bello e più libero del mondo, il più misero e perseguitato di sempre, l’unico a non aver mai ingaggiato una guerra con nessuno. Vorrei cambiare il mondo con la musica? Si. Sono consapevole che non faremo mai la rivoluzione a suon di canzonette, ma sono anche convinto che possiamo contribuire ad una rimodulazione dell’immaginario collettivo, nel segno della coscienza civile e dei valori democratici. Se io non pensassi questo, mi sentirei inadeguato e insufficiente al ruolo che la società mi ha concesso. A che servirebbe una canzone se non narrasse le contraddizioni del mondo in cui viviamo? Di questa zolla di pianeta che occupiamo, chiamandoci “Italia”? Per me la canzone è cultura, non costume. Con la cultura facciamo il cittadino, con il costume il consumatore. Che sia stramaledetto. Credo che nella mia musica non ci siano semplicemente “riferimenti” alla realtà sociale in cui viviamo. Il mio obiettivo è che le mie canzoni siano narrazioni del presente tout-court. In questo senso la musica diventa un fatto politico. La canzone per me è grido di dolore e di accusa, è progresso, è futuro, è afflato democratico. Potrò sembrare ridicolo ad alcuni: ai più scanzonati e disillusi, a quelli che si arrendono, ai conformisti. Me ne infischio bellamente. Il cinismo politico non mi appartiene. Io credo in ciò che faccio.

[pullquote]La mia vita è un naufragio. Scruto i miei orizzonti in cerca di un porto dove ormeggiare. Sono felicemente disperato.[/pullquote]

Se penso ai tuoi testi sia con Il Teatro degli Orrori che come solista, mi vengono in mente una serie di valori civili, una sensibilità civile diciamo, che è la costante della tua poetica. Da chi hai ereditato questa attenzione verso gli altri, specialmente gli ultimi? È dovuto all’educazione famigliare o fa parte di un tuo percorso vocativo naturale?

Ognuno di noi è la storia di se stesso e un frammento della storia del paese. Vengo da una famiglia operaia e sottoproletaria. Mia madre fu suora paolina prima di mettere al mondo me e le mie amate sorelle. Mio padre voleva farsi sacerdote. Mi hanno educato nel segno di un cattolicesimo massimalista e piuttosto miope. La guerra fredda, gli anni di piombo, la strategia della tensione … Tutto contribuiva a spingere i cattolici verso un conservatorismo senza uscita. Di questa educazione, dalla quale mi emancipai fin da adolescente, mi sono comunque rimasti i valori cristiani fondamentali. E l’attenzione per gli ultimi. Gli emarginati. Gli stigmatizzati. L’istruzione -quella pubblica, voglio aggiungere- mi salvò dalla devianza sociale. Ebbi insegnanti meravigliosi. Ricordo vividamente una professoressa di lettere alle scuole medie. Mi fece da seconda mamma. Mi amò, e mi condusse all’amore per le lettere e la filosofia. Non le sarò mai abbastanza grato.Poi arrivò il rock. Bel guaio questo … Una “magnifica ossessione” di cui non mi sono più liberato. La musica, e il rock in particolare, fu per me motivo d’ansia creativa, di desiderio, di riscatto sociale. Non nel senso del successo, non sia mai, ma del “fare insieme”, del dar vita ad esperienze nuove, del conoscere ed esperire una socialità dialettica. Il rock infatti lo si fa in gruppo. Essere “band” è una vera palestra di democrazia e confronto reciproco: è quanto di più formativo possa fare un adolescente.

Pierpaolo Capovilla per WNR

«Vorrei rimuovere, vorrei dimenticare gli ultimi vent’anni. O almeno i giorni che fanno più male. Che cosa sono diventato, cosa mai diventerò?» Dici di parlare di te in Dove Vai. Se è vero gli ultimi vent’anni sono anche quelli della tua affermazione artistica, del tuo successo. Nonostante tutto paiono non colmare una grande amarezza. A cosa hai dovuto rinunciare per essere ciò che sei oggi?

Credo di esser riuscito a rinunciare alla vanagloria verso la quale il mondo della musica può spingerti. Almeno lo spero. Provo un sentimento di stizza e repulsione per le giovani star della musica leggera: si sentono al centro del mondo, inconsapevoli di essere nient’altro che il prodotto delle circostanze economiche, politiche e di costume dell’oggi. So di essere un attore che si pavoneggia sui palcoscenici, ma cerco di fuggire dal cliché della pop-star fine a se stessa. Io non sono il mio fine. Sono un mezzo attraverso il quale la società esprime se stessa: in questo caso il suo malessere, il suo mal-di-vivere. Certo, la mia “poetica” è amara e dolorosa. Non potrebbe essere altrimenti. Perché sono incazzato nero con il paese in cui giace la mia esistenza, e nel quale precipitano le mie aspirazioni, le ambizioni, i desideri.Ognuno di noi, a modo proprio, finge di vivere. Fingiamo di fare un lavoro di cui non c’importa niente. Fingiamo d’amare. Fingiamo d’essere più belli, più ricchi, più sexy di ciò che in realtà siamo. Abbiamo perso di vista i valori e la lotta di classe, il vero cuore di ogni progresso. Dico progresso sociale, non sviluppo economico. La situazione sta diventando insopportabile.

[pullquote]Non ne posso più dell’immagine di una Chiesa rinchiusa in se stessa, fatta di pedofili e ricchi cardinali. La Chiesa è fatta anche di eroi civili che a volte sfidano la morte, con un coraggio ed una  generosità politica inarrivabili.[/pullquote]
Leggendo delle tue interviste ho letto commenti di stima verso l’attuale Papa. Questo ci fa scoprire un tuo percorso spirituale? Sei credente? Preghi?

No way! Non sono credente e non prego. Ma questo Francesco, lasciamelo dire, è un genio. È un accidente storico. Papa Bergoglio è il più bel pontefice nella storia della Romana Chiesa Cattolica d’Occidente. È un socialista lacaniano. Come Lacan, questo Papa sa vedere e riconoscere il cuore delle circostanze storiche e delle contraddizioni sociali. Basti ascoltarlo quando parla di guerra: la guerra serve solo a chi la fa, e cioè all’establishment militare. Avevate mai sentito un Papa usare argomenti simili in precedenza? Quando scomunica i mafiosi, senza se e senza ma. Quando parla dell’amore coniugale (e qui Lacan affiora con una certa evidenza) e delle sue tre parole-chiave: Permesso, Grazie, Scusa. “Permesso”, ovvero del rispetto degli spazi reciproci, nel segno della rinuncia al dominio di genere. “Grazie”, perché l’amore è un dono, e la riconoscenza è gesto di riconoscimento reciproco. E poi “Scusa”: perché se sbaglio, se faccio qualcosa che ti ferisce, se in un momento di malessere ti offendo, bene … chiedo scusa, faccio autocritica, e così, sbarazzandomi dell’orgoglio, riconquisto la stima del coniuge. O quando telefona a un bambino che resta solo a casa, perché i genitori sono entrambi a lavorare. Quanta poesia, quanto amore c’è in un gesto del genere? Quando suggerisce ad una donna, credente ma divorziata, alla quale un ottuso prete di campagna nega l’eucarestia, di cambiare parrocchia! Quando si ferma a riflettere e pregare di fronte al muro divisorio fra Israele e Palestina: non è forse quello il vero muro del pianto? Santo cielo, quasi non credo ai miei occhi. Sento dire in giro che il papa è “furbo”. Che la Chiesa lo ha scelto in un momento di grave crisi identitaria, magari per indurre i più a dimenticare le nefandezze di tanti preti e porporati. Niente di più falso. Francesco è un uomo sincero, è “vero”. È consapevole del suo ruolo: politico, sociale, religioso.È semplicemente meraviglioso. Grazie a Dio, la Chiesa non è tutta uguale. Questo Papa ne è la dimostrazione. Non ne posso più dell’immagine di una Chiesa rinchiusa in se stessa, fatta di pedofili e ricchi cardinali. La Chiesa è fatta anche di eroi civili, di uomini e donne di buona volontà, così buona che a volte sfidano la morte, con un coraggio ed una generosità politica inarrivabili. Penso a Don Puglisi, a Don Peppe Diana, a Monsignor Romero. Penso anche al Pontificio Istituto Missioni Estere, fatto di religiosi straordinari: li conobbi da ragazzo, nei loro campi scuola: gente più a sinistra non l’ho mai più conosciuta. Penso a Don Gallo, e a quel mio omonimo, Don Nandino Capovilla, a Pax Christi, o alla teologia della liberazione, e così via. Ecco, Bergoglio raccoglie il loro esempio: non se ne appropria, perché non ne ha alcun bisogno. Perché Francesco è fatto come loro, è un uomo di giustizia.

Pierpaolo Capovilla per WNR

Tu scrivi, ma non si è mai letto niente di tuo. Che materiale è? Racconti, romanzi? Quale è la tua ricerca letteraria e chi sono i tuoi maestri?

Beh … Scrivo canzoni. No? Sarò franco. Ho ricevuto una proposta editoriale importante e prestigiosa. Ho firmato un contratto. Ho ricevuto dei soldi, neanche pochi. Li ho spesi tutti e non ho ancora scritto un periodo. Non ti nascondo che incomincio ad essere un po’ preoccupato.

[pullquote]Ognuno di noi, a modo proprio, finge di vivere. Fingiamo di fare un lavoro di cui non c’importa niente. Fingiamo d’amare. Fingiamo d’essere più belli, più ricchi, più sexy di ciò che in realtà siamo[/pullquote]

C’è un punto della tua carriera in cui hai capito che ti stavano chiedendo di venderti? Se si, quale è stato e come hai reagito?

Nessuno, dico nessuno, ha mai cercato di corrompermi. Non sono in vendita. Non mi si può comprare. Chiunque volesse provarci lo farà a rischio e pericolo propri.Ci sono cose che non hanno un valore economico: una di queste è la dignità dell’artista. Senza quest’ultima, non c’è più arte che tenga. C’è solo la merce. Io faccio musica, non telefonini. Se avessi cercato il denaro, mi sarei occupato d’altro. Per altro, io credo che il “successo” non coincida affatto con i soldi. Il successo è la cifra della bontà delle tue proposte. Capita raramente, ma capita.

Giovanni Lindo Ferretti ha scritto: “di questi tempi dobbiamo costruirci dei ripari contro il cinismo”. Il cinismo che è la cifra critica più riconoscibile nelle nuove leve della musica indipendente (penso su tutti a Lo Stato Sociale) e dell’opinionismo che trionfa (da La Zanzara a Scanzi passando per Twitter e la Lucarelli). Il cinismo che è il sentimento più distinguibile del distacco oggi. Come sempre si passa per pallosi a essere profondi. Tu, oltre che con la tua musica, nella vita quotidiana, come combatti la superficialità e che ne pensi dei giovani italiani?

Ferretti ha ragione. Mi sorge spontanea una considerazione. Il cinismo non è che una maschera, dietro la quale nascondere ignoranza e superficialità d’intenti. Ci fa sentire più intelligenti degli altri: ma non è che una miserabile pantomima. Certo, è difficile oggi credere in qualcosa. Pasolini, in “La Religione del mio Tempo”, diceva: “chi non crede in niente, ne ha coscienza. Non ha rimorsi, chi non crede in niente”. Lo scriveva nel ’58, nell’immediatezza del secondo dopoguerra e del boom economico. Osservava la società italiana mutare repentinamente, nel segno dell’oblio dei valori resistenziali e in quello del consumismo più sfrenato, dell’affarismo, del malcostume politico. Quel processo di mutamento antropologico della società italiana nel frattempo ha fatto passi giganteschi, fino ad irrompere nei nostri giorni.

Pierpaolo Capovilla per WNR

I nostri giovani sono cresciuti in un’Italia berlusconiana, spoglia di valori e ideali. Guardando il film di Veltroni, ci si accorge che non sanno nemmeno chi era Berlinguer. Ecco perché la musica leggera, il rock, la canzone popolare sono così importanti. Perché arrivano ai più giovani, dritte al cuore. Perché possono spingere anche il più refrattario all’impegno sociale, verso la condivisione delle sue esperienze, verso quel desiderio di un mondo più giusto e più uguale. La musica è un fenomeno politico di dimensioni non decifrabili. Non me ne vogliano Lo Stato Sociale, che tu citi, ma che conosco poco e che comunque non disprezzo. Ma credo che il contenuto di una canzone vada sempre ponderato con cura certosina: deve contribuire all’arricchimento culturale e politico di chi ascolta. Se non raggiunge questo obiettivo, allora lo fallisce. Anzi, fallisce e basta. La Zanzara, Lucarelli, Scanzi non so chi siano. E in verità, non ho alcuna voglia di conoscerli.

[pullquote]Io faccio musica, non telefonini. Se avessi cercato il denaro, mi sarei occupato d’altro.[/pullquote]

Hai detto di preferire Bersani a Renzi. Come mai? Vai a votare e credi nella politica?

Cercherò di risponderti in modo articolato.Ho sempre votato, e credo nella politica. Non ho però alcuna fiducia nel personale politico italiano d’oggi. La destra è in buona parte popolata di persone inaccettabili, dietro le quali prosperano i loschi affari di un gruppo di potere, quello berlusconiano, attiguo alla criminalità organizzata. Il così detto “centro” esiste solo nella misura in cui la sua cifra politica è la strumentalità nei rapporti di forza fra le compagini parlamentari: non ha idee, non ha obiettivi, se non quello di appropriarsi di segmenti di potere politico ed economico. La sinistra … La sinistra, con Renzi, ha introiettato l’ideologia spettacolaristica del berlusconismo, facendo propria anche quella forte tendenza all’autoritarismo autoreferenziale, caratteristico di Berlusconi.
Quando Bersani ha perso la sua sfida, alle ultime elezioni politiche, permettendo al Movimento 5 Stelle, i così ben epitettati “fascisti inconsapevoli”, un’ascesa politica per nulla sorprendente, mi sono detto: ecco, noi italiani una persona per bene, competente e seria, vocazionale e sincera, non la vogliamo alla guida del paese. Sembra che in questo caos -culturale, prima che politico – non ci sia spazio per politici raffinati ed onesti: sembra che desideriamo sempre e comunque i bugiardi e gli arrampicatori, i ciarlatani, quando non i violenti e gli ingiuriatori, nei quali ci rispecchiamo un
po’ tutti: … siamo fatti così, si direbbe. Ogni qual volta mi imbatto in uno di questi personaggi, Renzi o Berlusconi o Grillo, mi chiedo: da dove viene questa loro voglia di fare politica? È questo un argomento interessante sul quale credo varrebbe la pena riflettere. Basti leggere Patria senza padri di Massimo Recalcati. Intravvedo il desiderio dell’esibizione narcisistica, del riconoscimento pubblico della propria virilità, vedo un’ambizione sfrenata, vicinissima all’egotismo infantile. La gelosia e l’invidia, l’impulso sessuale, … vedo persone che non sono mai cresciute, e proprio per questo sono così distanti dalla realtà sociale, e per questo sono pericolose. Quando Renzi finge di sapere l’inglese, mi ricorda me stesso quando avevo quindici anni e millantavo una cultura che non potevo ancora avere. Volevo sembrare più grande e più interessante di ciò che in realtà ero. Quando Grillo storpia i nomi dei suoi interlocutori, dileggiandoli o insultandoli tout-court, non vedo un uomo: vedo un ragazzino viziato e capriccioso. Di Berlusconi taccio, tanto ormai non c’è più niente da dire, se non che il paese è stato ed in certa misura è ancora nelle mani di uno squallido erotomane. Comunque … Penso che nei partiti, nei sindacati, nell’associazionismo, nella Chiesa, nei centri sociali, ci siano persone in gamba, mature, eticamente motivate, che credono in ciò che fanno. Bersani è certamente fra queste.

Pierpaolo Capovilla per WNR

Bukowski (scusa se continuo a citarlo) diceva di non aver scritto nemmeno una riga da sobrio, che l’alcol era la sua musa. La tua ispirazione quanto è connessa con l’alterazione? Che rapporto hai con alcool e sostanze stupefacenti?

Bevo buon vino e fumo cannabis. Amo l’ebrezza. Mi piace suonare e ascoltare la musica sorseggiando un Sauvignon o fumando una canna. La cannabis, per altro, mi è di grande aiuto nella scrittura. La gente che non beve mai, che non si lascia andare ogni tanto al tenero piacere di una canna d’erba buona, io … non la capisco. Non mi ritengo schiavo dell’alcool né di alcuna sostanza
stupefacente.La cocaina senza il sesso non ha senso. Con l’eroina ho avuto un rapporto del tutto sporadico ed occasionale. Sono molto, ma molto più “sobrio” di quanto a volte, troppe volte, per invidia o gelosia (ci risiamo), o semplicemente per ignoranza e pregiudizio, mi si dipinge.

[pullquote]Provo un sentimento di stizza e repulsione per le giovani star della musica leggera: si sentono al centro del mondo, inconsapevoli di essere nient’altro che il prodotto delle circostanze economiche, politiche e di costume dell’oggi [/pullquote]

Mi ricordo la copertina di XL in cui eri fotografato accanto ad Appino assieme a tutta la scena indipendente italiana. Oltre al fatto che sono tuoi “colleghi” che rapporto hai con la “scena”? Cosa salvi? Cosa butti… Ah… che ne pensi dei rapper?

Con la scena italiana ho un rapporto amicale esteso. So di non piacere a tutti, ma mi sento parte del gruppo lo stesso. Se dovessi dirti quante cose mi piacciono, ci vorrebbe troppo tempo. Di quelle che non mi piacciono, preferisco tacere. Ma non del rap: il rap italiano è la musica più stupida che
abbia mai sentito. Naturalmente non mi riferisco agli “intellettuali” dell’hip-hop, dagli Assalti Frontali a Caparezza, ma a tutta questa merda che è emersa ultimamente dalla tv. Giovanissimi scemi tatuati di simboli stupidi che predicano omelie sgrammaticate e conformistiche ed anti-valoriali. Provo un naturalissimo spontaneissimo schifo per questa gente.

In Obtorto Collo Dedichi una canzone alla violenza sulle donne. Che rapporto hai con loro e qual è la loro parte nella tua vita? Che rapporto hai invece col sesso?

Amo le donne. Adoro il sesso. Ma sopratutto, … amo amare. Anche con sofferenza.

Quale è il tuo rapporto con la morte?

Me ne infischio della morte. Sono ancora vivo. Un giorno passerò anch’io, come tutti. E chi s’è visto s’è visto.

Ray Banhoff

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