Tema
L’affaire Saviano.
Premessa
Ci penso e ci ripenso e mi pare di osservare la cosa da punti di vista molto diversi, ma il risultato non cambia. Ma Saviano sta sulle palle proprio a tutti? Anzi, la metto meglio: ma Saviano è antipatico? Anzi meglio ancora: una cosa del genere si può dire? Leggo giudizi taglienti su di lui sui social, nei tweet di quelli che di solito un po’ ne capiscono. Sento freddezza nei suoi confronti negli ambienti intellettuali. E mi rendo conto che fondamentalmente quasi nessuno ne parla bene.
Svolgimento
Tuttavia…La prima cosa che mi viene da pensare è che una frase contro Saviano oggi ti possa mettere in una pessima luce. Se dici che ti fa cagare come scrittore come minimo sei di destra, quindi sei ignorante, quindi sei il peggio. Settimane fa sulle pagine di Repubblica Saviano ha tacciato di essere contiguo alla camorra, un giornalista che ho avuto modo di conoscere: Giacomo Amadori. È la prima volta nella sua carriera di giornalista giudiziario che Amadori querela qualcuno. Non lo aveva mai fatto eppure gliele avranno dette di tutti i colori. Ma se lo dice Saviano sei rovinato. La sua fama è sconfinata, El Chapo aveva una copia di Zero Zero Zero nel bunker al momento dell’incursione dei militari, Gomorrah arriva a Hollywood dopo essere stato venduto ovunque. Saviano è il giornalista italiano più famoso del mondo e se un po’ della vita l’ho capito fino ad oggi, questo fa sicuramente girare le palle a tutti gli altri giornalisti italiani che di solito non se li fila nessuno. Insomma, un film già visto.
Diversi anni fa, poco dopo il suo successo, intervistai il più importante fumettista italiano che stava scrivendo, per Mondadori, la biografia a fumetti del giovane giornalista napoletano. Mi raccontava che era esasperato, che Saviano era in gamba si, ma che era un rompimento di palle unico, che sebbene avesse dei problemi oggettivi e tangibili, esasperasse la sua situazione. Per farla breve, sosteneva che fosse un menoso. Infatti devono aver discusso, perché il libro a fumetti (di cui ho visto le tavole) non è mai uscito. Quando a Milano frequentavo gente nel mondo dell’editoria o semplicemente di Mondadori, la voce che mi arrivava era sempre la stessa: Gomorra era un’operazione di mercato. L’originale, illeggibile, era stato riscritto dagli editor della casa editrice, che puntava tantissimo su quest’opera di esordio. Ma queste sono solo voci, potrebbero essere pure alimentate dall’invidia. Non lo so, non me ne frega neanche niente. Qui non voglio discutere il valore di Gomorra, della serie tv (che come tutti adoro) o di Zero Zero Zero. Qui non discuto il talento di Saviano, mica sono SCANZI (l’ipse dixit dell’opinionismo).
Qui discuto il fatto che non so manco io perché ma Saviano non lo reggo e lo dico a malincuore. Faccio autoanalisi su qualcosa che so che proviamo in molti. L’antipatia penso sia dovuta alla sovraesposizione mediatica e al fatto che per un po’ l’ho seguito su Facebook. Dopo l’esordio e dopo il boom Gomorra è arrivato il Saviano simbolo. Simbolo di tante cose. Simbolo di un’Italia dignitosa e assetata di legalità, simbolo di giovani con la schiena dritta e il senso della giustizia, simbolo che qualcosa di buono lo potevamo ancora combinare in questo Paese marcio. Ma il simbolo è stato caricato di tutto ed è esploso, assumendo un aspetto cangiante e inafferrabile. Un po’ come gli zombie m5s che cantilenavano “onestà, onestà”. L’altro giorno in libreria sfoglio Lo straniero di Camus edito da Bompiani. La nuova edizione comprende un’introduzione di Roberto Saviano. Leggo l’intro e realizzo: che due coglioni, Anche qui?! Saviano in quegli inverni di programma tv con Fazio: inguardabile. Soporifero, autocelebrativo, noiosissimo. Sempre impostato, sempre didattico, evangelizzatore, un po’ attore di teatro amatoriale che ci crede troppo. Saviano che parla sempre dappertutto di giustizia. Saviano lapidario, Saviano scazzato, Saviano martire. Saviano che smanetta su Fb e oscilla tra postare citazioni di Calcutta (vero), prendere posizione a favore della legalizzazione della cannabis, fino a derive liriche come: Usain Bolt, discendente di schiavi africani deportati in Giamaica nelle piantagioni di canna da zucchero, oggi è (di nuovo) l’uomo più veloce del mondo. Il re sorride e vola ancora. Il re sorride e vola ancora. Mamma mia che palle.
Conclusione
Saviano è passato dal parlare di mafia a parlare di tutto. L’ho defollowato subito perché non si regge. Scrive status di continuo. Su Fb ha messo come foto profilo una immagine di se in posa da pensatore, con l’indice che gli regge la nuca. C’è scritto intellettuale lontano un km. Poi dice la sua veramente su tutto ma oggi non te lo puoi più permettere di fare così. Oggi vieni sui coglioni dopo cinque minuti se sei così la gente non ce la fa a reggerti. È per questo che quelli veramente importanti, come lui, non li dovrebbero usare i social network, le cose che pensano le dovrebbero mettere nel loro lavoro, nella loro opera. C’era un pezzo stupendo questa estate di Gramellini su Fedez (si Gramellini, che tutti lo odiate anche lui, ma boh povero Cristo non lo so che vi ha fatto) e diceva: Il web non ha inventato l’invidia sociale, però ha sancito la fine del divismo. Una divinità è tale finché abita su un Olimpo inaccessibile. Mentre il web è l’esatto contrario dell’Olimpo. Rende orizzontale ciò che un tempo era verticale. Perciò i veri divi se ne tengono alla larga. Il web è la Terra. E quando un divo scende sulla Terra ci trova gli esseri umani. Armati di vaffa.