I viaggi di WNR/3 Una città spiaggiata, una generazione persa. E un ragazzo, che a questa generazione persa ci appartiene, si sfoga. Con un pezzo che non è un racconto, non è un report, è un grido. Foto di Linda Ferrari

Taranto
3 Set 2014

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mercatari cozzari tarantini

La faccenda è andata, diciamo eh, così: Un bel dì, negli anni ’60, decennio del miracolo italiano, un Cristo della DC… Che poi, vabbé, Mafia, Democrazia Cristiana, non ricordo, so’ la stessa cosa… Comunque. Si diceva, il Cristo impianta una manciata di altoforni tra ulivi secolari e terre arse. A una decina di chilometri dalla città, pressappoco. No, ma che dico, così vi scandalizzo troppo. Parliamone metaforicamente: ‘sto Cristo ben vestito si siede al ristorante.
Prima d’entrare, sputa sul tappeto all’ingresso un grosso grumo catarroso, così, per far capire ai proprietari della trattoria che devono solo ringraziare gli Dei, se è venuto a pasteggiare lì, in quella bettola, che puzza di miseria.
Insomma, si siede, inizia a fumare, legge il menù con disprezzo, criticando e strappando le pagine che considera superflue.
Però ordina tutto. Numerosi antipasti, tris di primi piatti, due secondi, contorni, vino di gran classe, D.O.C.
Intima ai camerieri di muovere il culo mentre il suo, di culo, caga allegramente, nella toilette appena lavata, immacolata, senza prestare attenzione e senza scaricare. Che uomo, eh?
I ristoratori vorrebbero cacciarlo, ma in cuor loro sanno che, seppure abbiano a disposizione delle materie prime eccellenti e dei cuochi un po’ pigri ma discreti, il locale è arronzato e vuoto, scarno.
Il Cristo mangia, rutta, scorreggia, tocca il seno alla padrona, commenta negativamente l’arredo del ristorante. Trangugia spaghetti alle cozze, parmigiana, patate al forno, caciocavalli di lusso, innaffiando il tutto con un bel primitivo. Azzanna con sadismo e avarizia le bombette e gli involtini, mangiandosi pure gli stecchini di legno.
Poi, si ficca due dita in gola, qualche conato e SPLAT, vomitata in stile cascate del Niagara, sul dolce appena servito. Tenta un paio di avances con la signora/proprietaria, cogliona il marito e, al momento del conto, tira fuori una pistola e devasta a suon di bossoli vetri, bicchieri, lampadari. Se ne va bestemmiando, tranquillo.
I proprietari, però, si guardano negli occhi e sorridono. Sì, dai, almeno si sono fatti un po’ di pubblicità, no? Almeno.
Non sapevano, i gestori, che quel Cristo, non appena varcata la soglia del locale, iniziò a chiamare tutti i suoi colleghi e compagni di merende, dicendo loro che in quel posto nessuno alza la testa, che puoi mangiare quanto vuoi senza pagare un cazzo, puoi tranquillamente domandare pompini e forzare la mano per averli, puoi vomitare e insultare e chiedere pure le scuse, per averti fatto mangiare così male. Che tanto, quelli, i gestori, se la fanno mettere come vogliono e quando vogliono.
Credo che in circa 4, 5 mesi, il locale chiuse
Vi ricorda niente, questa storiella?
A me sì, e direi pure!
Così, ora vorreste che io, figlio tarantino, debba essere un cittadino corretto, perbenista, senza rancore? Felice di averla presa in culo da cinquant’anni buoni? Dovrei esultare per il mio mare per tre quarti inquinato, per le pecore abbattute, per l’economia andata a puttane, per i cancri avvinghiati al cervello come polipi allo scoglio?
Ma col cazzo.
Non la pianto, né mò, né mai, di sputare sugli incravattati.
Perché questo, chiamiamolo Stato, mi deve tutto.

[pullquote]La polvere rossa abbraccia e t’inghiottisce. I ponti ferroviari, i binari sono rossi. Rossi come l’acciaio, o sbaglio? D’altronde è Taranto, che t’aspetti cumbà?[/pullquote]

A Taranto colpisce l’odore.
Una bella dose di nocche scartavetrate dritte sul naso. Ti trafigge le narici, come frecce indios acuminate e avvelenate. Esalazioni di uova marce e carbon coke. Frullato di ghisa e benzo(a)pirene.
Se c’arrivi in treno è impressionante.
Il minerale. La polvere rossa che abbraccia e t’inghiottisce. I ponti ferroviari, le isole del traffico che da color cemento diventano rosso sangue, i binari. I binari sono rossi. Rossi come l’acciaio, o sbaglio? D’altronde è Taranto, che t’aspetti cumbà?
Taranto. Taranto capitale europea della cultura, Taranto che risorgerà dalle ceneri dell’Ilva, Taranto che diverrà una meta di punta del turismo estivo fottendo bagnanti ai pòppiti salentini, Taranto che ha le tombe greco-romane a cielo aperto in claustrofobici quartieri-ghetto; quartieri dove ragazzetti scalzi giocano a pallone in mezzo a mozziconi di spinello, siringhe e Porsche Cayenne targate ROMANIA, Taranto che sta rinascendo dal punto di vista culturale, Taranto che, sai, è sempre Taranto, è bella, pure che diecimila tuoi cittadini buttano sangue e veleno in sgangherate corsie d’ospedale per battere leucemie e tumori al cervello, no?
No.
Secca risposta.

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palme e palazzi, palazzi e palme

Forse qualche punto a favore, qualche lancia spezzata ce l’ha. Se ti limiti a girovagare in litoranea senza la marmaglia ferragostiana, se ti inoltri nelle agonizzanti campagne dell’entroterra a caccia di miseria e piatti prelibati da vero carnivoro. Se ti fermi in piazza Carmine, che qualche soddisfazione te la riesce a dare, tra negozi à la page e un bar da riccastri cozzari. Se t’accontenti, ecco, diciamocelo.
Il maître consiglia una passeggiata nei dintorni del rinomato centro cittadino. Mica a venti chilometri, quattro angoli bastan’e avanzano. Via Cavallotti per esempio. Fatevi due passi lì. E’ uno slalom tra circoli ricreativi pieni di malavitosi accavallati e con la special K imboscata sotto il biliardo, merde sganciate a ripetizione dalla contraerei intestinale canide e vuoti di birra Raffo. In via Crispi, dei ragazzini manco quattordicenni ti rapinano con una lama arrugginita lunga più di loro, forgiata in chissà quale antro diabolico.
‘Damm’ l’sold c’no t’accide!’
Se avete passato la prova generale di via Cavallotti e Crispi, prego, si prosegua la strusciata su via Dante. L’inizio è normale, tranquillo, nessun problema. In Piazza Ramellini t’accorgi che, forse, gli escrementi di via Cavallotti non sono da imputare solo ai cani perché due bambini, con l’aiuto fondamentale delle loro innocue nonne, cagano allegramente vicino alla panchina dove t’eri seduto a rimirare lo spettacolare panorama di un bar dato alle fiamme, giochi spaccati e Beverly 50cc modificati che impennano. Ottimo, v’è piaciuto l’antipasto? Sì che v’è piaciuto.
‘U piccinn’ s’ste cagav’ indr’ l’mutand, c’avev’ fa?!’

[pullquote]Alla fine, dov’è la verità? Ce ne sono un fottìo, di verità su Taranto. Perlopiù sono tutte stronzate, c’è gentaglia che sta andando al patibolo dove un boia cieco si gratta le palle e aspetta[/pullquote]

Dalla piazzetta-toilette in poi, via Dante peggiora. Palazzine castrate, manto stradale più adatto al gioco “colpisci la talpa” che allo scorrimento urbano. Ogni due, tre angoli, trovi così tanto mobilio che potresti chiamare i tipi di Banco dei Pugni, Les, Seth o come cazzo si chiamano. Una coppia di vecchiacci ti scarica davanti agl’occhi due sedie, una poltroncina e un materasso con misteriose chiazze giallo-verdi. Mah! Ah, e i centri scommesse SNAI, luogo di culto del tarantino? Coi malavitosi che, di nuovo, ti minacciano? Che palle! Se fossi una ragazza -o un trans, tanto ogni buco è rifugio in tempo di guerra, e per loro è sempre guerra-, ti stuprerebbero in massa come -e peggio di- Rocco e Franco.
‘Bello, ce jè, a me ‘ste tremind? Mo’ t’spacche ‘ù cul!’
Mi accorgo solo adesso che si stava parlando di treni, in apertura. Beh, riprendiamo il discorso da lì. Non rimanerci mai troppo in stazione, è infetta, giuro, sifilitica e gonorroica come pochi posti al mondo. Ti s’attacca addosso ‘na patina di sudore misto a sporcizia che non saprei come descrivere! Ci sta il pazzo che si masturba dietro i cassonetti, qualche magrebino in attesa di mietere vittime danarose e zero sbirraglia. Tanto hanno messo una telecamera tressessanta, di quelle che riprendono tutto. Hank c’avrebbe sguazzato, altro che storie di ordinaria follia. Ai confini della realtà, siamo.
E non ce la fai a guardarti indietro, quando esci dalla ridente e bucolica stazione. Vedi la Cementir, l’ILVA, l’ENI e tutti quei maledetti incravattati che hanno azzannato e spolpato ‘sta terra come iene, iene isteriche e puttane, iene come Vendola, come Fitto, come Cito, come Clini, come tutta la piramide di bellimbusti in giacca, cravatta e ventiquattr’ore che ha sempre minimizzato le problematiche di un territorio abbandonato, usato dalla casta burocratica come carta igienica per pulirsi il culo.
Eppure, se c’hanno trattato così da cinquant’anni, il problema non è solo lo scenario industriale alla Stalingrado maniera. Forse forse, la Di Bello e gli altri bastardi hanno avuto vita facile grazie a noi, plebaglia insopportabile e lamentosa.
Su, non drammatizziamo! Facciamoci un bel bagno, un digestivo niente male ai bordi della riva Jonica. Spettacolo d’altri tempi, se tiri sull’acceleratore per 45 minuti abbondanti. Arrivando quasi in Salento, infatti i bagnini dei lidi parlano uno stucchevole salentino che ti viene voglia di sprangarli. Devi spararti quella trentina di chilometri perché fino a Torre Sgarrata le fogne abusive depositano chiazze marroni e verdi, trasformando l’acqua da limpida in lurida nell’arco di poche ore. Chissà, sarà per quello che ti viene sempre un prurito che non se ne va manco dopo tre docce gelide?
Alla fine, dov’è la verità? Ce ne sono un fottìo, di verità su Taranto. Perlopiù sono tutte stronzate, c’è gentaglia che ambisce a rinnovare una città perduta, che sta andando al patibolo dove un boia cieco ma con una mannaia sadica e affilata si gratta le palle e aspetta, aspetta, perché tanto la città è sul fondo e non ha molto senso darle subito il calcio finale sulle gengive, basta attendere e morirà da sola, poi si potrà anche reciderle lo scalpo della vittoria.
Perdio allora? Hai finito? Orario!
Sì, quasi, qualche altra sputacchia sotto forma d’inchiostro e chiudo, maestro!
Dalla regia m’avvisano che sto alzando troppo il tiro, fucilando tutto e crucifiggendo senza colpo ferire. Non c’è proprio nulla di buono a Taranto, sangh’d’ Criste?!
Io rispondo che l’amo, Taranto, nonostante la feccia. Amo il paradosso evidentemente. Mi piace prenderla a cinghiate perché se lo merita, ma non contribuisco alla sua rovina. O al salvataggio imbarazzante, al tentativo ridicolo di invertire il tre vele verso un porto sicuro, come fanno certi assessorucci all’agricoltura. E’ difficile da capire, ma la sensazione che si prova camminando di notte per le strade che conosci, per le tue strade, solo tue, non dei pagliacci radical chic che fino al 2013 si sparavano pugnette e bestemmiavano Taranto come terra da eradicare mediante bomba atomica, è troppo densa e aggressiva. E’ un orgasmo. Sai di conoscere la gente, dalla Salinella a Taranto vecchia. Certo, hai più di qualche individuo che ti vorrebbe accoppare perché descrivi le vie così come sono, reali, masnade tossiche, ma intanto sai di poter parlare, mentre gli altri… Gli altri, possono solo provare ad immaginare.

[pullquote]Io l’amo, Taranto, nonostante la feccia. Mi piace prenderla a cinghiate perché se lo merita, ma non contribuisco alla sua rovina[/pullquote]

Perché Taranto o si ama o si odia, non è moda, non è appariscenza sul social network, non è svegliarsi a trent’anni e rendersi conto che l’ILVA ci sta ammazzando tutti, no.
Taranto è sporca, è cattiva, è affascinante e bollente.
E’ mia, è la mia Taranto. E’ di Bonzo, di Cataldo, di Cristian, di quelli che lottano e hanno lottato a morsi e pugni chiusi affinché il cielo non ci crollasse addosso con diossina e dolori annessi; sin da quando a Taranto non si muoveva niente e nessuno, perché il ‘Ce me ne futt’ ammè!’ era l’algoritmo più utilizzato. Venirsene ora, a spettacolo iniziato, è troppo facile miei cari balordi, ci vuole nulla. L’aveste fatto prima!
Resta il fatto che Taranto è mia.
E amen, stringetevi le mani scambiandovi un segno di pace dopo il pater nostri e avast’, il circo chiude, domani nessuna replica, già calare il sipario è ‘no sforzo assurdo, non ce la facciamo proprio, e no signora, no, lasci n’offerta per favore, non se ne vada così!
Niente fiori ma opere di bene.
Il boia cieco c’ha ripensato. Ha deciso di calare la lama. Sogno che la città si rialzi, tiri fuori uno stanley knife e cavi gl’occhi a ‘sto boiaccio infame.
La mannaia fa un suono inutile. Il crack dell’osso che si spezza manco lo si sente.
Arrivederci e grazie.

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però si mangia bene

 

Lorenzo Monfredi

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