Non piace ai colti perché è contro i colti. Non piace agli esperti di cinema perché è contro gli esperti di cinema. Il film dell’anno:

The square
16 Nov 2017

Ieri sera io e la mia ragazza abbiamo visto The Square al cinema dei portuali a Livorno. Non so come si chiama la sala, non me lo ricordo mai, ma i film da Palma d’Oro li fanno solo lì. Il cinema dei portuali sorge in un piazzone vuoto non frequentato dagli umani e adibito solo a parcheggio. Grandi palme  si insinuano a fatica tra cunicoli bunker che portano a degli uffici. Da lontano, quegli ingressi sembrano buchi di culo di topi, stenti a crederci, ma ci si può entrare e ci lavorano dentro degli esseri umani… Al centro del piazzone troneggia invincibile l’INPS, un edificio granitico dalle fattezze di grande castello del potere e dello stallo. La sensazione  che il suo incantesimo bloccante soggioghi tutto ciò che gli sta attorno la senti appena lo guardi. Ma la vita lotta per la vita. Così come il cinema dei portuali che resiste ai multisala e manda film d’essai.

All’entrata trovo millemila anziani smaniosi e in grande spolvero. Roba da foto anni ‘70. Quanta umanità! Vecchie con le retine in faccia, cappottini di pelle di peora blu riesumati dall’armadio, anelli d’oro (vero), grinze che calano sugli occhi fino quasi a chiuderli. Ancora la vita che resiste, che vuole godere fino all’ultimo. Il profumo di colonia stempera il forte odore di fritto di qualcuno appena uscito da una trattoria. Ah bene, come dicono qui, mi sento a mio agio in mezzo alla normalità. Io non ci potrei andare stasera in discoteca, con tutta quella gente in tiro, tutta quella adrenalina forzata, quella voglia di vincere..

Sono abituato ad andare solo ai cinema The Space, ormai preferibili per la loro atmosfera rassicurante da centro commerciale della visione, i pop corn all’americana e altre piccole comodità. Al vecchio cinemino dei portuali è tutto diverso. Ti devi conquistare tutto li, anche l’entrata, mica hai le poltroncine assegnate. Una volta dentro c’è pochissimo margine d’azione, qui non ci sono pubblicità o altre smancerie e chi prima arriva meglio alloggia, quindi mi trovo subito a brancolare inciampando nel buio pesto e il film che inizia senza pubblicità (al The Space ci sono sempre 20 minuti di spot). Dopo poco a sedere comincio a realizzare cosa c’è di strano in quello che sento: sono sulle poltroncine più scomode d’Europa, tipo sedie da ufficio. Secche come il culo secco di una mucca tibetana. Non ci sarà nemmeno l’intervallo.

Non sapevo di cosa parlasse il film e mi sono lasciato andare alla visione senza pregiudizi. Così come è dura stare seduti sulle poltroncine secche, è dura vedere The Square, perché è molto ironico si, ma al tempo stesso è lento come la morte. La gente comincia a stare scomoda, il film va avanti, dopo due ore senza pause metà sala dorme, alcuni smaniano, chi ride, chi svalvola. Come si fa ad uscire? Il cinema è tutto un sussulto. Il tema del film è una critica al mondo della cultura e al suo essere così autoreferenziale. Lo guardavo e mi venivano in mente anni passati ad ascoltare la gente che fa cultura nei piccoli comuni, gli eventi muffosi in provincia; le mostre brutte nei circoli Arci; i programmi angoscianti dei teatri; quel senso di imbarazzo e di morte provato mille volte in mezzo ai colti che si idolatrano tra di loro; quel senso di rompimento di palle che ispira anche solo leggere la parola cultura nelle email in arrivo; le mostre di artisti pacco; le iniziative; gli eventi; gli inserti culturali dei giornali; le facce da cazzimosci degli assessori con cui ho avuto a che fare; le mail (si dice e-mail); gli uffici stampa, la marea di stronzate che ho ascoltato negli ultimi due decenni sul tema dell’arte.

Al centro del museo in cui è ambientato il film c’è un’opera d’arte concettuale. Consiste in Un salone bianco, vuoto, con dei cumuli di pietre e un neon che dice: you have nothing. Classica cagata artisoide, ma l’opera è valutata milioni di euro. La scena madre per me del film è quando l’omino delle pulizie spazza via un po’ di pietre dell’opera non distinguendole dalla spazzatura. Caos totale, panico. I tipi del museo tutti in subbuglio perché c’è da chiamare l’assicurazione ma il protagonista, il direttore del museo ferma tutti: boni! ci penso io. Sono solo dei cumuli di pietre, li rimettiamo a posto e nessuno se ne accorge. Ma come? E l’opera concettuale? E i milioni che vale? ma che opera, sono un cumulo di sassi del cazzo.

Sembrano cagate di capra.

Ed è quello che sono. È la realizzazione della grande fuffa che rappresenta quell’opera d’arte, il museo e tutto ciò che gli sta attorno.

Stamani ho letto i commenti di alcuni che si intendono di cinema o che fanno capire di saperne più di te. A loro The Square non è piaciuto, così come La grande bellezza. È tutta gente che lavora nel mondo della cultura. The Square è grandioso. Andatelo a vedere e soffrite, voi colti. Ricordatevi che le cose non sono sempre comode e che a volte c’è da sforzarsi per capire il senso delle cose. E non fatevi mai consigliare un film da un esperto di cinema, di solito sono non ci capiscono niente.

Ray Banhoff

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