Mi sono chiesto per anni a che cosa servisse per una band inviare demo e cercare etichette discografiche. Osservavo tutti quei ragazzi sbattersi per ricevere attenzione e mi veniva sempre meno voglia di ascoltare la loro musica, anzi spesso più si sbattevano e meno la loro musica mi pareva avesse senso. Musicisti che volevano suonare nei locali ma non venivano considerati, rimanevano fuori dalla porta come bambini in castigo.. A loro suggerivo sempre di comprarsi dei generatori e di piazzarsi fuori dai cancelli la sera dei concerti. Certe volte gli spazi vanno presi. Be’, Vittorio Rossi non è uno che finisce sul palco di Sanremo anche se a mio avviso quello potebbe essere il suo posto e ancora meno non finisce in copertina di Rolling Stone, però per fortuna finisce qui. Queste canzoni sono un tesoro. Un disco che è un post, un post che è un disco. Un disco registrato con il cellulare, pieno di stonature, pieno di verità. Fanculo il “progetto”, fanculo il mixaggio, le recensioni, gli endorsement, gli effetti, le collaborazioni, i generi musicali, le migliaia di euro spesi in un sound piallato e uguale a quello di tutti gli altri. Mettete una chitarra in mano a chi la sa tenere e lasciate stare tutto il resto. Facciamo parlare la musica per una volta. Ci siamo scordati di cosa è la bellezza, spostando il nostro canone del bello su quello del “riconoscibile”. Un sacco di merda viene fatta passare (specialmente sulle riviste di settore e sui siti di settore) come di qualità solo perché risponde a un canone riconosciuto come tale. Invece è solo roba vuota. Qui abbiamo svuotato tutto, le mura di una casa disabitata rimbombano.
Vittorio Rossi è Marcello Rossi, quarantenne, toscano, chitarrista e cantante di svariate band tra cui: Los Dragos, Bongley Dead, Golden Shower e Monsieur Voltaire. Di lui potete leggere qui. Questo qua sotto è il “coso”, l’album, il post, chiamatelo come volete. È quello che è.