Archivi del mese: Febbraio 2014

La squadra segreta di Cristo

Pancetta scoperta

Croce d’oro

Peli bianchi su petto rosso

Odore di fumo

Di piedi

Calore corporeo

Astanti appesi al soffitto

Oscillano ad ogni curva

Sono la comitiva inconsapevole di un viaggio collettivo

Scivolano nei budelli sotterranei con le mascelle serrate in silenzio

Uomini e donne

Sifilifi e cazzi

Mutandine arricciate e passati maledetti

Sotto le parabole cittadine dei percorsi in tangenziale

Sotto il tran tran con il loro tran tran

Eccola li

La piccola squadra segreta di Cristo

Sento lo sguardo caldo e morboso di un estraneo sul mio orecchio

Mi irrigidisco e mi sbilancio a destra

Mantengo la distanza

Io non c’entro con tutto questo

Io non centro

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Ray Banhoff

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Lo Stato della fotografia

Fotofotofoto. La fotografia è in crisi. Non pensate alle immagini che vedete sfogliando i giornali come al lavoro di un fotografo, provate a pensarle come l’esecuzione di un lavoro commissionato. Insieme a Stefania Molteni, photoeditor di Riders , vogliamo fare il punto sulla fotografia in Italia. Con questa intervista e con una rubrica che la Molteni firmerà a partire dalla prossima settimana.

Stefania Molteni

Sfogliando i maggiori magazine italiani mi sembrano sempre la stessa rivista e le immagini mi sembrano sempre le stesse. Perché? 

L’Italia ha paura d’osare. Tutti fanno un compitino che non dia troppo fastidio né al lettore né all’inserzionista. Si rimane su un concetto di mediocrità e si ha paura ad azzardare. Le riviste italiane erano più interessanti negli anni 80 a livello di immagine. C’è un appiattimento visivo dovuto alla grande ignoranza di molti fotografi che più di guardare due riviste non fanno. Fotografi che non conoscono spesso l’arte visiva, la pittura del 300, il cinema. Gente che non ha una storia visiva… Poi mi dispiace ma la fotografia è composizione. O sai comporre o non sai comporre. Se è squilibrata la foto è brutta.

Dici che non studiano? 

No, è che sono improvvisati.

L’editoria che ruolo ha? 

La colpa di questo appiattimento visivo penso che sia almeno del 60% delle riviste, dell’editoria. C’è paura a proporre al lettore qualcosa di diverso e non si vuole più educare. Le riviste non sono più educative, sono solo divulgative.

Qualcuno invertirà questa tendenza? 

No, temo di no. Penso che la situazione peggiorerà.

[pullquote] Le foto di Vanity a me non piacciono. Non rappresentano mai veramente le persone. Escono tutti finti, senza sentimento.[/pullquote]

Come vedi le riviste tra dieci anni?

Sai che non ne ho davvero idea…

 Io dopo Rolling Stone di Antonelli non ricordo più niente di rilevante nelle edicole…

Eh ma tu mi parli di una rivista che aveva una acquisizione di immagini dall’America… Un sacco di materiale spettacolare,  di spessore e decenni di storia. Oggi le riviste vogliono tutti i personaggi fotografati nello stesso modo. È avvilente. I fotografi adesso lavorano poco e guadagnano anche meno, forse alcune volte tuttavia dovrebbero saper dire di no.

 Come il caso di Jacopo Benassi, fotografo che ha postato su Facebook alcune sue immagini pubblicate su GQ stravolte nei colori dall’art director. Come mai?

Lì è stata sbagliata la scelta del fotografo,non puoi lavorare con Benassi e pensare di impaginarlo in quel modo. Benassi o lo pubblichi come scatta oppure scegli  un fotografo meno caratterizzato.

Forse è stato scelto perché oggi c’è un circolo ristretto di fotografi universalmente riconosciuti come validi e lui ne fa parte? Un circolino…

Mah… sì tipo il circolo Condé Nast. Esiste questa cosa, però boh che ne so… le foto di Vanity a me non piacciono. Non rappresentano mai veramente le persone. Escono tutti finti, senza sentimento. Tanto styling, tanto trucco, tutto bello però alla fine… A volte arrivano i fotografi e mi dicono: «Sai io ho lavorato con Vanity e GQ ». E allora? Anzi mi dà quasi fastidio perché vuol dire che sei già in un ottica visiva che a me forse non va bene.

 Ma i fotografi, coi pagamenti a tre mesi e i due spiccioli che prendono, sono sempre a piangere miseria e ne conosco davvero pochi che potrebbero ragionare cosi.

I fotografi mendicano… ed è sbagliato. Poi soffrono per aver fatto dei lavori che non li rappresentano. Sarebbe più onesto fare il fotografo come secondo lavoro. La sera faccio il pizzaiolo, però ogni tanto mi concedo il lusso di fare il fotografo. Ma il problema è che c’è troppa improvvisazione, manca gente che ha il mestiere in mano. Io ti farei vedere quanta gente c’è che deve fare un ritratto e non sa comunicare col soggetto. «Guarda a destra, guarda a sinistra»… ma che foto vuoi mai che sia quella? È solo la foto di uno che guarda in macchina. Non vale niente. Non c’è intensità, chi viene fotografato non è coinvolto e nemmeno il lettore, ahimè, potrà mai essere coinvolto. Poi mi sono rotta di queste foto sui fondi bianchi. Tutte uguali. Tutti che copiano ma di Avedon ce n’è uno solo, certo il fondo bianco può essere una salvezza in alcuni casi ma, devi comunque saper scattare… Tutti che si barricano dietro a scuse. «Eh ho avuto solo cinque minuti…». E allora? Se hai il mestiere in mano in cinque minuti la foto la fai. Se lavori con una rivista devi avere un approccio giornalistico, un minimo. E un altro problema sono quelli che si spacciano per agenti e non ci capiscono nulla… , non sanno nemmeno lontanamente cosa voglia dire essere agente di un fotografo .Va bene che il fotografo è un lavoro interessante e creativo ma è  soprattutto un lavoro manuale, è un artigiano il fotografo!

E le scuole di fotografia?

Mah… devi scremare tutte le buffonate mangiasoldi che sono la maggior parte.

[pullquote]I fotografi mendicano… ed è sbagliato. Sarebbe più onesto fare il fotografo come secondo lavoro[/pullquote]

 Però uno spende un sacco di soldi per tre anni di IED e magari impara a usare le luci…

Il problema è voler copiare i grandi maestri. Si impara a replicare… Che fai copi LaChapelle che ci mette mesi a creare un set? Lo rifai con due lucette? Poi si impara a copiarsi anche tra fotografi. Due anni fa facevano tutti l’Ultima Cena ti ricordi? L’ha fatta uno e poi di fila l’hanno fatta tutti e le foto facevano tutte cagare… Poi c’è il momento World Press e giù coi reportage di guerra. Ogni anno la foto che vince è uguale a quella dell’anno prima. Sembrano tutte o Madonne con bambini in braccio colpite da luce drammatica ( vai a leggere un post di Smargiassi proprio su questo tema). Santodio World Press Photo è fotogiornalismo, io non devo dire «che bella foto» devo dire «ma che sta succedendo in quel paese»? È fotogiornalismo! A me fa strano che il soldato in Afghanistan o in Iraq sia cosi perfetto con quella luce così figa… ma falla in studio sta foto allora se lo devi ritrarre così! Io mi chiedo come mai chi fa questa selezione non la fa pensando a raccontare un avvenimento.  I primi premi sono quasi  sempre di fotografi rappresentati da grosse agenzia

Dici Contrasto, Getty…? 

Eh sì. Ma non voglio sottintendere niente, solo che vincono sempre loro e non un qualsiasi Mr White e la cosa mi sorprende. L’unica cosa che ha ancora una forte dignità del World Press Photo è la fotografia sportiva, ecco… quella si che che ben rappresenta l’avvenimento. Il mestiere ormai è romanticizzato, mistificato. Fare il fotografo è figo. E un sacco di fotografi si sentono davvero dei geni e nemmeno propongano più le storie, tanti sono ancora nei primi anni duemila quando la rivista ti chiamava. Adesso non riescono a proporre qualcosa di valido a una rivista che a loro piace. Hanno paura e sono pigri. Io ho avuto gente che mi veniva a parlare e non aveva mai visto il giornale…

Ok ma i giornali in tutto questo? Perchè li fanno lavorare? Perché li fate lavorare? Potete rischiare qualcosa anche voi photoeditor o avete le mani legate?

Noi photoeditor non siamo esattamente quelli che decidono per ultimi che foto usare. Io commissiono un lavoro ma non siamo il New York Time Magazine dove una figura professionale come la mia ha un valore riconosciuto e per scegliere la foto di copertina ci si mettono otto ore di media. Solo per la cover… capisci che valore dai all’immagine no?

 Tornando ai fotografi io vedo che spesso sono delle vere webstar…

…Ecco! per me non è una fonte di credito. Io sono estremista ok. Non frequento l’ambiente dei photoeditor per scelta, ma bisogna svecchiarsi anche noi. Penso che sia più utile un photoeditor che sta stare su un set rispetto a uno che alza il telefono e commissiona il lavoro e basta. Allora ciao… Le persone non hanno da entrambe le parti la curiosità e la voglia di migliorarsi, c’è una sorta di mediocrità generale. Tutti sono top e se uno mi critica è uno stronzo. Se vuoi fare il fotografo puoi… fallo! trova la tua strada ma non copiare e basta. Perché se uno trova il suo modo di raccontare con le immagini magari trova anche i clienti… Poi molti si vendono a prezzi troppo bassi. Si svendono.

Ma tutto sembra fatto in nome dei lettori, del pubblico. Ci sta che nessuno sia contento di ste foto oppure è una scusa per giustificare la pigrizia di tutti?

Eh ma tutti pensano che lettori e spettatori siano piatti. Li devi abituare alla visione del bello! Fare così è un modo per giustificarsi, certo. Poi sai il sistema editoriale ha dei grossi problemi. Anche economici. I direttori hanno da rapportarsi con situazioni davvero dure da gestire. Ci sono delle dinamiche a cui prestare attenzione, c’è da far contenti quelli della pubblicità. Dinamiche che ci sono sempre state, solo che ora con la crisi economica si sono acutizzate e prima si facevano dei prodotti editoriali un po’ più belli. Ora in linea generale sono bruttarelli, anche nei contenuti.

[pullquote]Va bene che il fotografo è un lavoro interessante e creativo ma è anche e soprattutto un lavoro manuale, è un artigiano il fotografo![/pullquote]

Ok ma la colpa di chi è? Oltre dei fotografi dico. Anche sopra i direttori mi chiedo gli editori sono contenti?

Ma sai, in Italia che editori ci sono? Rcs? Che è, un editore? No! È una società! Ci sono di mezzo investitori e capitali. L’editore puro e romantico a cui ti riferisci forse pubblicava per il pubblico. Adesso ci sono delle società che devono fare profitto e grazie a loro e al profitto io ho uno stipendio e mi va bene. Solo che tra fare profitto e basta oppure farlo magari un po’ meno ma con un prodotto valido potrebbe esserci una via di mezzo. Non penso che le edicole chiudano perché le riviste costano due euro, penso sia una scusa. Reinventiamo il modo di fare i giornali! Riparametriamo tutto. Reinventiamoci anche la carta! Facciamoli in formato piccolo sti giornali non devono esser tutti grossi così! Insomma non si vede nessuno che rischia, ma nemmeno nessun impreditore che si prende dei rischi. Tutto U G U A L E. Si sta e si aspetta, un approccio alla vita molto italiano e io in questo sono seneramente anti italiana anche se mi si spezza il cuore a vedere tutte le persone in gamba di questo Paese che non riescono a muovere un passo.

 È una questione di coscienza allora?

(sorride)

 Ok allora ti chiedo, chi è che porta avanti un lavoro di ricerca?

Diciamo che se fai editoria già di ricerca fotografica non ne fai. Però non vedo tanti nomi oltre a Jacopo Benassi. Secondo me lui è un artista.

Che ne pensi di tutto quel leccaculismo su Facebook nei confronti dei fotografi webstar? Sembra che per entrare in quella élite di fotografi devi essere taggato in una foto o essere uno dei nomi in evidenza tra i primi like.

Sì, ma di fatto secondo me questa élite in Italia non esiste. Non c’è più. Nessuno emerge su nessuno. Ci sono dei buoni fotografi e per fortuna quelli bravi non devono leccare culi a nessuno. Tanti fotografi italiani sono pigri non guardano cosa c’è in giro. Sto vedendo dei lavori fatti da cinesi che sono veramente molto interessanti.

Eppure proprio nei periodi di stanca si creano delle sottocorrenti dove la creatività emerge, no?

Mah.. io trovo che non ce ne siano. Vedo tendenze ma non altro. Qualche anno fa venne fuori Sartorialist che era bello, adesso vedi centomila tizi che lo copiano alle sfilate… c’è una vera e propria omologazione. Noi siamo dei privilegiati, rendiamocene conto. Noi che fotografiamo, che scriviamo… quindi mi si spezza il cuore a vedere solo gente che timbra il cartellino. Poi la tristezza è la gelosia che vedo in questo campo. Chi sa non vuole condividere il suo sapere. Poi basta guardare al passato come fonte di stimolo. Guardiamo il presente.

 Ok allora ti chiedo: come possono cambiare le cose?

Forse che a un certo punto non ci fosse più bisogno dei fotografi. Lavori solo con gli illustratori o metti UNA foto. Oppure usi le foto del cellulare, tac… via il fotografo! e allora lì deve accadere qualcosa. Immagina una rivista con quei blocchi di testo e senza tutte quelle immagini. Forse a quel punto un fotografo delle domande se le fa e magari si chiede anche se quello è il suo mestiere.

[pullquote]Tanti fotografi italiani sono pigri non guardano cosa c’è in giro. Sto vedendo dei lavori fatti da cinesi che sono davvero molto interessanti.[/pullquote]

 Perché non fai la fotografa allora e la salvi te la fotografia?

Non posso. C’ho provato, ma mi sono resa conto che sarei stata una fotografa mediocre come tanti altri, quindi ho evitato di farlo. Guardavo le mie foto e dicevo «belline… ma…»

Eh vedi è il concetto del bello il casino. Perché sembra che se sai riprodurre quelli che sono i canoni del bello nel senso accettato del termine allora hai i requisiti per essere fotografo. Vero?

Sì. Secondo me i fotografi devono prendere un sacco di mazzate. Fino a che non trovano quale è la loro strada. Se non la trovano non devono fare il fotografo.

 Togliere internet e la fotografia sui social sarebbero un buon rimedio?

No. Io sono a favore di internet e dei social che ti danno modo di scoprire tanto ma solo se hai voglia di cercare e vedere.

 Ma in Italia chi ti piace?

Benassi, Thorimbert (silenzio) e Locatelli. Riguardo a quest’ultimo sono davvero contenta che abbia vinto recentemente un premio fuori dall’Italia.

E quelli che potrebbero dare di più?

(ride) tanti. Per esempio Maki Galimberti: tempo fa era avanti e poi tutti l’hanno copiato. La stessa cosa che è successa a  Max&Douglas. Quindici anni fa quello stile era bello e quindi ok, ma chi lo copia adesso fa ridere. Fatemi vedere quegli scatti senza tutta quella postproduzione, vediamo che c’è sotto.

 Nelle riviste chi fa bene?

La Morosini di Wired è brava!!

 E i danni nelle riviste chi li fa?

Ah.. io trovo che nei femminili ci sia uno scempio totale. I maschili ormai sono deprimenti ma i femminili che avrebbero mille potenzialità riescono a tirare fuori queste faccette in posa… tristi. Mi piace D di Repubblica , però è un mondo a parte. Poi Elle e MarieClaire fanno cose belle ma fuori da questo c’è una noia mortale. Come perdere la cellulite… che palle.

Il top per la fotografia editoriale quale è?

Vogue America , Vogue Giappone e Harper’s Bazaar . Totalmente. Fuori da questo io consiglierei di leggere solo Topolino, che è rimasto onesto.

Sai che Bukowski di Topolino diceva: «è un figlio di puttana con tre dita e senza anima che non fa mai un cazzo».

(ride) Beh anche Bukowski non è che stesse tanto bene eh. Ah scusa! Voglio aggiungere una cosa: un elogio ai fotografi di still life. In quel settore c’è ancora tanto da dire. C’è gente notevole, la vedi la gente che mette l’anima nello scatto. C’è tanta bellezza.

Il reportage quindi ti infastidisce più di tutto.

È sputtanato. Grandangolo spanato e 24-70 della Canon e nuvoloni carichi di contrasto, in qualsiasi parte del mondo ci sono sti cieli coperti da maschere contrasto. E poi l’altro genere horror è il ritratto. Tutti in posa con la boccuccia! ihhhh…. Da menzionare anche i servizi con quelli buttati a terra a pancia in su tipo morti. (ride) Non sai che fare? C’è un prato e metti il soggetto a terra. Che cagata! La Boccuccia e il Morto sono due categorie horror.

Ma voi photoeditor ne parlate mai di ste robe?

C’è Grin, l’associazione dei photoeditor ma io non frequento.

Che è, tipo la Coverciano dei photo editor?

È un punto di riferimento, ma non so dirti molto di più

Che ne pensi che forse chiude lo Spazio Forma?

Mah… a me sconvolge di più che chiuda Lo Smeraldo per metterci un negozio di alimentari. Scherzi a parte… È un peccato che chiuda Forma, vuol dire che nella municipalità di Milano non c’è interesse per un polo della fotografia, ma forse servirebbe qualcosa di più grande di Forma, di più strutturato, che vada oltre Milano, che rappresenti l’Italia. Una roba come l’ICP di New York.

Ray Banhoff

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18 regole per il lettore occasionale

 
1) Se ti viene voglia di leggere non andare in libreria. Vai in Biblioteca piuttosto (esistono ancora, incredibile no?), oppure chiedi un consiglio a qualcuno di cui ti fidi. E se non ti fidi di nessuno, mandaci una mail segnalandoci l’ultimo libro che hai letto in meno di una settimana

2) Se ormai è già troppo tardi e sei già in libreria non fidarti mai di quello c’è scritto sulla fascetta, apri il libro a caso e leggi una pagina. Ascolta le tue sensazioni. E se ti piace fottitene del nome dell’autore (della serie: non sentirti in colpa se ti piace ed è di un autore considerato commerciale, così come non devi sentirti in colpa se non ti piace ed è di un autore di cui tutti parlano bene)

3) Se cerchi intrattenimento lasciali stare i romanzi.

4) Quando di un autore non trovi i libri in una Mondadori o Feltrinelli, ricorda che è un buon segno

5) Se un libro non ti ispira non forzarti e poi non sentirti mai in colpa se abbandoni. Fidati solo del tuo istinto

6) Non cedere ai libri vicino alla cassa

7) Se hai letto di quel nuovo autore o romanzo su un settimanale femminile o su un quotidiano ricorda che è solo pubblicità con un articolo annesso. Lascia perdere

8) Cerca di non frequentare reading o eventi culturali o eventi in generale. Non faranno che aumentare la tua pigrizia nella lettura

9) Se un uomo o una donna tentano un approccio letterario per fare colpo, scartali

10) Se sei uno che legge Piperno o Giordano… Allora ti vuoi male. E se stai leggendo queste regole due sono le cose: o hai sbagliato strada o sei proprio su quella giusta per redimerti (anche noi li abbiamo letti, non siamo nati imparati, ahé)

11) Non fidarti di chi dice che le serie tv sono i nuovi romanzi

12) I libri, i veri libri, sono delle opere d’arte. Non scartarli MAI perché secondo te costano troppo

13) Rivaluta i bottegai, le piccole librerie. Fidati dei consigli di chi vende libri per passione

14) Non cadere nel tranello della nicchia: se un libro è pubblicato da un piccolo editore non è per forza un buon libro. Allo stesso modo se un libro è pubbicato da un grande editore non è per forza un libro commerciale

15) La lunghezza non conta, mai

16) Ricorda che alla fine basta leggere, qualsiasi cosa (ebook, fotocopie, racconti, poesie, elenchi telefonici, quello che vuoi) e che c’è sempre tempo per migliorare la qualità della tua lettura

17) Porta sfiga

18) Ricorda di AMARE ciò che leggi, il suo autore, ogni singola riga che stai leggendo. Se non succede perché dovresti perdere il tuo tempo? Non è colpa tua se non leggi, è colpa di chi non si fa leggere

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WNR

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Burroughs Gallery #2

Stando ai racconti della moglie Joan, l’amore di Burroughs verso i gatti è sempre stato immenso. I piccoli animaletti spirituali, come li chiamava lui, gironzolavano per la casa assieme ai bambini in totale armonia. Certo c’è stato anche un periodo buio in cui Burroughs era sotto l’effetto continuo dell’eroina e si racconta di quando li legava alla maniglia della porta del bagno per le zampe, ma c’è da capire il contesto delirante di quei giorni. Tuttavia, da Tangeri al bunker dei suoi ultimi anni, da Città del Messico a Saint Louis, i felini hanno sempre accompagnato Burroughs e tra le cose più intime, realistiche e per una volta non auto riferite che  ha scritto c’è Il gatto in noi (Adelphi). Procuratevelo.

e per voi temerari che siete arrivati fin qui ecco un premio…

«Da quando ho adottato Ruski, i sogni coi gatti sono vividi e frequenti. Spesso sogno che Ruski è saltato sul mio letto. (…) La Terra dei Morti… Olezzi di scoli fumanti, di gas e plastica che brucia…chiazze d’olio…montagne russe e ruote panoramiche ricoperte d’erbe selvagge e rampicanti. Non riesco a trovare Ruski. Lo chiamo… “Ruski! Ruski! Ruski!”. Un senso profondo di tristezza e di presentimento. “Non avrei dovuto portarlo qui!”. Mi sveglio che le lacrime mi corrono giù per la faccia»

«Il gatto non offre servigi. Il gatto offre se stesso. Naturalmente vuole cura ed un tetto. Non si compra l’amore con niente. Come tutte le creature pure, i gatti sono pratici. Per capire una questione antica, bisogna riportarla al presente. Il mio incontro con Ruski e la mia mutazione in uomo-gatto rimettono in scena il rapporto tra i primi gatti domestici e i loro protettori umani»

Comprate il libro va…

Ray Banhoff

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Gian Paolo Serino

La prima volta ci siam fatti fuori tre americani io e due cuba libre lui. All’ora di pranzo. Non ricordo di cosa abbiamo parlato, ricordo che non abbiamo mai finito un discorso. Ne abbiamo cominciati così tanti però, e gli inizi sono sempre la parte più interessante. L’ho fracassato per far sì che leggesse le mie poesie. Dopo qualche mese glien’ho mandata una, lui ha letto la parola fregna e si è fermato lì, addentrandosi in un pippone su quanto fosse brutta quella parola. Gian Paolo Serino è forse il miglior critico letterario italiano, sicuramente uno dei più onesti. Ha fondato Satisfiction, scrive su Libero e su Riders, il magazine di cui sono caporedattore, e ha una trasmissione su R101. Quando lo guardo me lo immagino sulla tazza del cesso.
Il motivo è semplice.

Anni Settanta. Gian Paolo è un bambino, i suoi genitori danno una festa nella propria casa di Como, con quei saloni dove c’è anche il frigo bar, lui si annoia, senza farsi vedere prende una bottiglia di Martini e ne tira giù mezza, si ritrova all’ospedale, lavanda gastrica, ricovero e infanzia rovinata perché si è distrutto la flora batterica, così passa ore e ore nei bagni, soprattutto quelli di servizio con la lavatrice davanti al water e i detersivi sul pavimento, e non sapendo che fare impara a leggere le etichette dei fustini. «Poi mi sono attrezzato e visto il tempo a disposizione ho cominciato a portarmi dietro i libri. Per questo, a chi me lo chiede, rispondo che non sono laureato ma ho una cultura di merda».
Ecco spiegato il motivo.

A leggere e a bere (e anche ad andare di corpo) ha continuato e continua tuttora. E, dice, «sono fiero di essere diventato adulto in un mondo adulterato, di essere un uomo di polso in mezzo a tanti uomini di polsino».

Ci rivediamo nel suo appartamento a Milano, zona Moscova, una stanza studio con una cucina inserita nelle casse per amplificatori, una camera da letto e un bagno; il suo cane Gipi si sdraia sul divano, Gian Paolo fuma una sigaretta elettronica. Niente alcol, oggi. Sul tavolo ha un libro di Luca Giordano (Luca, non Paolo) e un bigliettino con scritto: stop to talking. Appunto.

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Tu quando leggi non perdoni, se una cosa ti fa cagare non è che arrivi in fondo.

No abbandono. Se una roba mi fa schifo non ho mica tempo da perdere.

In Delitto e castigo di  Dostoevskij la sorella di Raskolnikov, prima che Svidrigailov la violenti, tira fuori una pistola e dice: “questo cambia tutto!”. Penso che in questa frase ci sia il compito della letteratura: cambiarti visione, cambiarti dentro. Se un libro non ti sconvolge l’anima va chiuso, gettato via, regalato a qualcuno che ti sta sul cazzo. Oppure va usato per accendere il fuoco nel camino.

Anche la tua osservazione cambia tutto. Che altro aggiungere? Forse che bisogna tornare a dare un peso alle parole. Uno scrittore, prima di pubblicare, dovrebbe pensare che si sta trovando davanti a un patibolo e non esisterà un’altra volta. Un’altra volta è per i narratori, non per gli scrittori. Gli scrittori dovrebbero scrivere libri come se dovessero essere decapitati il giorno dopo.

Hai detto: «la crisi economica si può risolvere solo sconfiggendo la crisi culturale».

Questa è una cosa che ripeto da molti anni: per affrontare davvero la crisi economica prima bisogna affrontare quella culturale, nel medio evo c’era il buio poi è nato il rinascimento, ma perché nel rinascimento c’erano i mecenati che favorivano gli artisti e da li si è creato un mercato. L’Italia possiede il 70 per cento del patrimonio culturale del mondo. È incredibile che non lo sfruttiamo. Anche perché siamo la colonia americana e da lì viene tutto il male.

La cultura anglosassone non è quella che ti appartiene di più?

Ma a me piacciono gli scrittori che sono americani ma che in realtà contestano gli stati uniti e il loro imperialismo. Però sai in Usa c’è una grossa mole di scrittori, in Italia di scrittori ce ne sono pochi, ci sono molti narratori. E soprattutto non vanno mai contro il sistema, ormai sono degli ectoplasmi, sono completamente inglobati nel sistema editoriale. Non è possibile che la maggior parte degli scrittori di successo medio ogni anno, puntuale, sforni il proprio libro. Il libro dovrebbe nascere da una ferita, dovrebbe nascere per cercare di cambiare il mondo, altrimenti sei un coglione. Adesso per esempio ci son più giallisti che delinquenti. E per me il giallo ha influenzato anche la società, prima avevano dei veri criminali tipo Riina, Provenzano, adesso anche dal punto di vista criminale abbiamo dei falliti, Rosa e Olindo di Erba, quella della strage di Cogne.

[pullquote]Se oggi vai in libreria è un dramma, è drammatico, è un cimitero, ci devi andare coi crisantemi.[/pullquote]

Non so se hai letto Luca Sofri su Il Post…

No, io lui non lo leggo a priori, sia lui che Daria Bignardi secondo me sono due falliti.

Diceva, sostanzialmente, che in Italia si legge poco perché gli spazi che appartenevano alla lettura se li stanno prendendo i social, i videogiochi…

Per forza, anche io preferirei un videogioco alla lettura di un libro di Daria Bignardi.

Diceva anche che i buoni libri non possono che essere di nicchia. E questo è vero, è sempre stato così, il 90 percento è sempre stato spazzatura.

Lo penso anche io, però di quel 10 per cento la stampa se ne occupa pochissimo. Nessuno se ne occupa. Anche i blogger o i siti letterari sono comunque delle conventicole che si parlano tra di loro.

Ma chi può farsi carico di questo 10 percento?

Minimum Fax lo fa, se togli però tutta quella gente che pubblica con loro e che io chiamo i radical flop, Christian Raimo, Veronica Raimo eccetera, ma la collana Classic sta pubblicando dei capolavori della letteratura americana assolutamente di nicchia e con buoni risultati. O la casa editrice Nutrimenti. O Mattioli. Tutte di nicchia. La mia idea di cultura è questa: entrare nel tempo senza vendersi ai poteri del tempo, però purtroppo la maggior parte degli scrittori non solo si vende ma si svende, per cui se oggi vai in libreria è un dramma, è drammatico, è un cimitero, ci devi andare coi crisantemi.

OLYMPUS DIGITAL CAMERAIntervistatore e intervistato: Pisto is Free&Serino

Quindi è giusto che le librerie chiudano?

Da un certo punto di vista se le vanno a cercare.

Tempo fa io e Ray Banhoff volevamo andare al Festival della letteratura di Mantova a distruibuire dei libretti con scritto: Leggete Piperno, codardi!

Secondo me dal punto di vista narrativo Piperno è un po’ il Philip Roth fallito, lo scrittore fallito di successo. Invece dal punto di vista saggistico è straordinario. Se leggi Pubblici infortuni ti rendi conto che è molto bravo, perché parla di cose alte.

Per scrivere è necessaria una ferita, dicevi, una sorta di asincronia rispetto al mondo esterno? 

Sì però molto spesso questo fatto viene recitato più che vissuto, è il caso di Antonio Moresco: ora che si è accorto di essere un autore di culto questa ferita la recita, fa la parte del ferito d’inchiostro però in realtà non lo è più.

La letteratura è piena di gente disperata che ha fatto la storia della letteratura, come Kafka. La condizione ideale è la sincerità.

Esatto, ma dov’è? Ormai io non la trovo perché c’è solo la narrativa, la finzione, ci sono solo delle fiction, le storielle di eva che ha incornato marta, c’è la Silvia Avallone… se mi devi raccontare una storiella me la guardo in tv e faccio prima.

Perché Stoner lo consideri un romanzo della madonna? 

Perché in questi tempi di arrivismo e di carrierismo a tutti i costi, con molta abilità ti racconta di un uomo semplicissimo, anche fallito, che ha l’ambizione di scrivere però con la moglie litiga sempre e pian piano dal suo studio lo manda sempre più via finché non è costretto a vivere in veranda. Però quando lui sta per morire c’è una frase importante, quando scrive: la mia vita sarà banale, avrà fatto schifo, ma è la mia vita. Per me, in questo momento di spettacolo social network e di esibizionismo puro, questo è un concetto molto importante. Da ribadire.

Tu quanto sei esibizionista?

Oltre i limiti, però non seguo dei modelli. Il dramma dell’esibizionismo di massa è che segue dei modelli precostruiti. Io un po’ come pensava Philip Dick credo che il mondo esiste perché esisto io.

Lindo Ferretti nel suo ultimo saggio ha scritto: «Dal comunicare come essenza dell’esistere si è passati all’esistere come effetto della comunicazione. Siamo alla prima vera crisi antropologica dell’uomo. Tu che sei molto attivo su Facebook cosa ne pensi di questa frase? 

Concordo con Ferretti. E prima di lui con Guy Debord, Paul Virilio, Baudrillard, per non pensare a Pasolini e Bianciardi. Ma non ci si può esimere dalla comunicazione. Bisogna comprendere che un fatto oggi esiste davvero se è comunicato. L’importante è comunicare come se fosse uno specchio d’inchiostro. Allora si trasforma, davvero, in realtà.

Perché non hai mai voluto scrivere un libro?

Ci penso molto spesso, sto lavorando a un romanzo, da 20 anni in realtà, che dimostri che per la sua politica antisemitica ed eugenetica Hitler si sia ispirato a teorie americane di fine Ottocento, però penso che prima dei 50 anni uno non abbia la maturità per scrivere né di pubblicare per una questione culturale di evoluzione umana. Secondo me lo scrittore deve essere il grafista del dolore. Il problema degli scrittori di oggi è che non vogliono scrivere ma pubblicare.

Mi ricordo ancora un mio collega che alla macchinetta del caffè mi disse: io non pubblico i libri per pubblicarli ma perché così alle presentazioni posso invitare quel tale che poi magari mi fa fare un corso allo IED… questi sono gli scrittori oggi.

Balzac diceva che pubblicare un libro è un po’ come parlare dei cazzi di famiglia davanti ai camerieri. Uno ci dovrebbe pensare 50 volte prima di pubblicare invece anche col fenomeno del self publishing è tutto sputtanato. Così c’è una sovraesposizione di scrittori, salta il filtro della casa editrice che comunque serve, a patto che si rivolga ai lettori e non ai consumatori, perché se ti vuoi pubblicare da solo leggiti anche da solo. Se vuoi essere coerente fai il self reading al posto del self publishing.

Io sto regalando tutti i miei libri. 

Anche te? È un’idea che sta venendo anche a me.

Ormai vige la dittatura di Fazio e Saviano. Una volta hanno parlato della Szymborska et voilà la Szymborska è esplosa.

Concordo. Li è la dittatura delle fascette televisiva che incide anche sul mercato librario, anche se adesso meno, vedo che Fazio sta lanciando meno libri anche perché sono sempre gli stessi autori che lancia per cui non può presentarli ogni due mesi. Anche perché un lettore che segue Fazio poi legge la Szymborska e dice, ma questi di cosa stanno parlando? Saviano te la consiglia? A parte due o tre frasi poi si trova spiazzato, quindi dopo una fregatura, due, tre, quattro, poi il fenomeno va a finire, perché sono delle inculate per la maggior parte. Ci sono anche dei casi di serial killer della scrittura, quelli che non fai in tempo a finire un loro libro che ce n’è subito un altro.

[pullquote]Lo scrittore deve essere il grafista del dolore. Il problema degli scrittori di oggi è che non vogliono scrivere ma pubblicare[/pullquote]

Io e Banhoff volevamo fare dei libri di paglia, che li apri e mangi, come le capre.

Io farei un libro di pietra che pesa 20 kg perché le parole devono tornare ad avere un peso.

Secondo me i libri dovrebbero costare 500 euro.

Cazzo sì… un po’ come andare a votare. Io farei una scheda con delle domande. Se riesci a rispondere hai il diritto di voto sennò stai a casa perché sei ignorante.

Per questo dico di dividere la società in plebei e intellettuali. A tutti diamo la possibilità di diventare intellettuale ma se non lo diventi fai una vita da fame. 

Anch’io prima ero per una democrazia letteraria, adesso sono più per l’oligarchia culturale.

Hai detto che bisognerebbe fondare un partito letterario armato e una mia idea era di incappucciarmi tipo rapina in banca, entrare nei luoghi pubblico come la metro e invece della pistola impugnare un libro di Rimbaud e leggere un verso ad alta voce.

Una cosa così farebbe più male che gli zingari che suonano la fisarmonica perché la maggior parte della gente non vuol pensare. bisognerebbe fare dei flash mob di letteratura, radunarsi agli angoli delle strade e leggere i libri ad alta voce, ma oramai è tutto basato sul commercio, ormai il libro è diventato un prodotto e gli editori non capiscono che trasformando il libro in un prodotto si trasforma il lettore in un consumatore,  ma in questi tempi di crisi prima del libro uno ha bisogno del dentifricio, del telefonino. Sono altri i prodotti vincenti, per cui dovrebbero tornare a cercare i lettori e non i consumatori.

Hai scritto: «Il lettore oggi? Un disadattato. Gli unici scrittori oggi sono gli scrittori del disagio (da Handke a Coetzee, dalla Szabò a Houllebecq). Se uno fosse davvero normale non si ritroverebbe nei loro libri, li chiuderebbe e andrebbe a fare una passeggiata o del sesso. O, aggiungo io, a leggere Murakami. 

Io amo gli scrittori del disagio: sono gli unici che comunicano davvero. Perché oggi uno scrittore non può che esprimere disagio. Essere ai margini, vivendo ai confini del più niente. Quindi, come sostenne anni fa Arno Gruen ne La follia della normalità (feltrinelli): un uomo oggi è normale se è anormale, cioè se non accetta la realtà così com’è.

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Ritengo che Murakami sia uno dei simboli della gigante mistificazione dell’editoria soggetta e mossa solo dal mercato. Una volta c’era la Allende ora c’è lui, nel  mezzo ci sono stati i thrilleristi con i nomi perfetti per una mensola dell’Ikea, sei d’accordo? 

È narrazione da Ikea, autori come Murakami sono il simbolo di un compromesso: una via di mezzo tra Tabucchi e la Mazzantini. Non è disdegnoso leggerli, ma è come leggere il Nulla. Ieri per esempio rileggevo I sotterranei di Kerouac. Mamma mia… Se un editore ricevesse da un esordiente (ma anche da un non esordiente) un libro scritto così, con uno stile nemmeno parlato ma strascicato, così stilisticamente dirompente (ed è stato scritto negli anni Sessanta), non saprebbe in che modo prenderlo: oggi deve essere tutto perfettino, pulito, commerciale, tranquillizzante, gli editor si sono ritagliati il ruolo di spacciatori di Xanax e Tavor geneticamente modificati in finti romanzi… Gli editor e gli editori andrebbero denunciati come spacciatori di tavor cartacei. O meglio: certi libri andrebbero prescritti in farmacia. Vuoi lo Xanax? Prenditi Baricco. E così via…

[pullquote]Oggi uno scrittore non può che esprimere disagio. Essere ai margini, vivendo ai confini del più niente[/pullquote]

Henry Miller ha scritto: «Credetemi, non c’è niente di pulito, niente di sano, nulla promette un’era di meraviglie – nulla tranne la parola. E l’ultima parola l’avranno probabilmente i Kerouac»…

Sì, proprio nella prefazione a I sotterranei. Concordo con Miller, anche Miller stesso spazzato via da Kerouac. Purtroppo in Italia Kerouac non è stato compreso, anche per colpa di quella livellatrice pop culturale che è stata Fernanda Pivano. Ha livellato tutto. Messo tutto sullo stesso piano. Con passione, certo. Ma era soltanto la sua.

I libri di carta torneranno alle vendite degli anni 70? Sei convinto di questo?

Secondo me c’è talmente un’invasione digitale…  l’ebook è sempre stato un bluff, basta guardare gli Usa: il 97 per cento degli ebook sono scolastici, e va bene, perché se lo studente, che prima doveva leggersi il tomo dei Promessi sposi, alla fine quando torna a casa dell’iPad ce n’avrà pieni i coglioni e guarderà al mezzo elettronico come una rottura di balle. Per cui tornerà alla carta. La maggior parte della gente non legge i libri perché a scuola te li impongono. Dovrebbero obbligare gli studenti a stare su facebook! Capisci il concetto? prima parlavamo della sincerità. In Chiudiamo le scuole Giovanni Papini scrive: «l’unico testo di sincerità all’interno delle scuole è sulla parete dei cessi». Studiare deriva da stadere, che ha una doppia accezione: interessarsi di e ingegnarsi di. Ha vinto la seconda: si studia per laurearsi e trovare un lavoro, non perché una materia ci interessa.

[pullquote]Fare della buona letteratura oggi  è come nuotare sott’acqua trattenendo il fiato. E oggi tutti vogliono r-espirare[/pullquote]

Quindi s-consiglia qualche autore.

A me piacciono i fuori legge della letteratura, come poeta mi piace molto Bukowski, Mark Strand che è forse il poeta che mi piace di più. O Edward E. cummings che nel 1920 scriveva molto più all’avanguardia di quanto possa scrivere un poeta contemporaneo di oggi.

Nabokov ha scritto: «La letteratura nacque quando un ragazzo entrò nella valle di Neanderthal gridando al lupo al lupo e non c’erano lupi dietro di lui».

Credo che la letteratura sia una delle più tristi strade che portano dappertutto. In quel dappertutto c’è anche il fatto che i lupi, ormai, ci sono davvero. E quei lupi siamo noi. Siamo in uni sistema liberale, come un lupo in un terreno incolto. Fare della buona letteratura oggi  è come nuotare sott’acqua trattenendo il fiato. E oggi tutti vogliono (r)espirare.

Philip Roth ha fatto un esperimento interessante con gli esiti che non conosco: scrivere un libro a quattro mani con una bambina di 8 anni. Tolstoj, molto prima di Picasso, sostenne che avrebbe voluto recuperare lo stile di un bambino. Dov’è la purezza? Lo vedi anche tu l’orrore?

La purezza sta nel ribellarsi all’orrore. L’orrore quotidiano, intendo, non quello da cronaca nera, ma l’orrore che viviamo ogni volta che usciamo di casa, l’orrore di condividere con gli altri, in silenzio, un mondo che se lo accetti così com’è, come minimo sei un idiota.

@moreneria

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Blade Runner inedito

Ridley Scott ne prenderà soltanto il titolo per prestarlo al suo Blade Runner tratto dal racconto di Philip Dick, Anche gli Androidi sognano pecore elettriche? Rileggendo questo “progetto” di Burroughs, totalmente inedito in Italia (era stato pubblicato nel 1983 da una piccolissima casa editrice e distribuito solo in Svizzera), ancora una volta ci imbattiamo nella geniale visionarietà dello scrittore americano. L’autore de Il pasto nudo e La scimmia sulla schiena, immagina un futuro prossimo da apocalissi. Vicina. Imminente. Nel 1979 scriveva di “un cancro fulminante” diventato un’epidemia capace di “abbassare tutti i livelli delle difese immunitarie”. Due anni dopo, purtroppo, il testo progettato da Burroughs è stato realizzato dalla Natura con un nuovo titolo: Sindrome d’Immuno-Deficienza Acquisita, AIDS.

Grazie a Satisfiction per la pubblicazione

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BLADE RUNNER di William S. Burroughs

Veduta di Manhattan da un elicottero…
“Il sovraffollamento ha portato sempre a un maggior controllo governativo sui privati,
non sui modelli vecchio stile di oppressione e terrore degli stati polizieschi, ma in termini di lavoro, credito, alloggio, pensione e assistenza medica: servizi che possono essere sospesi. Questi servizi sono computerizzati. Niente numero, niente servizio. Tuttavia, questo non ha prodotto le unità umane standardizzate e col cervello lavato postulate dai profeti semplicisti tipo George Orwell. Invece, una larga percentuale della popolazione è stata spinta nell’underground. Larga quanto, nessuno lo sa. Questa gente è senza numero.”
Bimbi neonati ululano. Lottizzazioni, progetti di edilizia crescono.
Computers ronzano al Con Ed, I.R.S., Welfare, Medicare, Health Insurance. Schede, avvisi, conti escono a fiumi.
Un cittadino esasperato fa la valigia ed esce dalla sua casa a Levittown. Fa un mucchietto di foglie, ci sbatte sopra una pigna di schede, e dà fuoco al mucchio.
Una vecchia dall’altra parte della strada corre al telefono. L’autopattuglia arriva e gli fa una contravvenzione per aver bruciato le foglie. Mentre l’auto si allontana lui butta la contravvenzione nella cenere. Se ne va con la sua valigia.
Veduta aerea del Muro che corre lungo la 23° Strada dall’Hudson all’East River….
“Il Muro venne costruito dopo i Disordini per la Legge Sanitaria del 1984.
La Città Bassa può essere tagliata fuori e il muro guarnito di truppe nel giro di mezz’ora. Un muro simile separa Harlem dalla zona centrale di Manhattan.

L’elicottero si sposta verso sud…macerie, edifici in rovina, terreni abbandonati. Sembra Londra dopo il Blitz. Pochi segni di ricostruzione, a parte sporadici rattoppi. Molte strade sono bloccate dai rifiuti e ovviamente intransitabili. Qua e là, miseri mercati all’aperto e orti nei terreni abbandonati. Piazze e strade affollate si svuotano di colpo senza una ragione apparente. Ci sono battelli improvvisati sui fiumi, carichi di derrate.
“Con il 1980,c’era stata una crescente pressione per emanare una Legge Sanitaria Nazionale. Questa fu bloccata dalla lobby medica, con i dottori che protestavano che una simile Legge avrebbe significato in pratica la fine della professione privata e la degradazione del livello medio del servizio medico. Fu anche addotto l’argomento della gravità dello sforzo in rapporto a un’economia già precaria. Le compagnie farmaceutiche, temendo che un intervento sui prezzi avrebbe tagliato i profitti, spesero milioni per opporsi alla proposta di legge e misero annunci su intere pagine dei maggiori giornali. E soprattutto, le compagnie di assicurazione sulle strade strillarono che la Legge non era necessaria e poteva soltanto portare a un aumento di tasse per un servizio peggiore. Ecco qui il cittadino a reddito medio nel suo malandato appartamento. Il tetto non tiene e lui ha cercato per settimane di ripararlo. Il padrone di casa non fa niente. Il cittadino ha appena diviso una scatola di cibo per cani con la sua famiglia. 
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“Eccoci qua a pagare per mantenere i negri e i terroni e i beatniks in hotels e ospedali. Noi paghiamo per i loro fetenti vizi di droga, gli diamo i soldi per non dover lavorare, e noi? Possiamo permetterci di spendere $ 500 al mese per un letto d’ospedale? Trovano un portavoce nel Reverendo Parcival, che mette in giro un giornale noto come Il Cane da Guardia, con una striscia di fumetti: Bionda Nordica coppia porta bimbo malato a un ospedale.
Un dottore nero li sbatte sulla strada: “Inqualificabile sudiciume”.

Dà il benvenuto a un giovane portoricano che si è spellato una nocca in una zuffa.
“Entra ragazzo mio. Infermiera, un quarto di grano di G.O.M. per questo signore.”
“L’eroina venne legalizzata per i tossicodipendenti nel 1980.
La United States Health Service se ne assunse la distribuzione attraverso cliniche governative e mise in piedi un’intricata burocrazia, con polizia e investigatori che si dimostrarono totalmente corrotti.
Molte persone che non erano tossicodipendenti entrarono in questo programma e si guadagnarono comodamente da vivere vendendo le loro razioni.”
Ecco qui di nuovo Mr. Reddito Medio.
Ha un doloroso e inabilitante caso di dermatite. Ha appena finito di pagare $ 50 per una visita. Il dottore rifiuta di prescrivere codeina: “La sola cosa che posso prescrivere è l’unguento di Whitefield.”
Ed ecco una grossa e felice famiglia assistita. Bussate a qualsiasi porta di Harlem. Due ragazzi in eroina dell’assistenza, una figlia al lebbrosario federale a Carrville, Louisiana, un ritardato a Kings State, una distrofia muscolare in un programma speciale. Mamma incassa su ciascuno di loro – assegni per perdita di sostegni. Niente lavoro, niente problemi. TV a colori. Resti di un enorme tacchino sulla tavola. Mamma si concede una generosa dose del suo speciale sciroppo per tosse, per tener fuori i freddi dell’inverno.
Papà sta mangiando un gelato alla fragola. I ragazzi sono sdraiati sul pavimento a
studiare opuscoli di agenzie turistiche.
Non sanno decidere se andare a Lexington per la cura estiva (“Il Country Club” è adesso degno del suo nomignolo con migliaia di boschi, passeggiate, cavalli, golf, tennis, barche, pesca tutto a disposizione degli internati), oppure a trovare Sorellina a Carrville.
“Dio mio” grugnisce Papà, “Ho un mal di testa da gelato. Fammi un’iniezione, figliolo,
presto…sta passando…”
Il dottore porge al ragazzo la ricetta per l’eroina con un ghigno corrotto…
“E fa’ in modo che non ti prenda a vendere quella che ti avanza.”
Prende il telefono.
“Infermiera, quanti lebbrosi ci sono là fuori che scalpitano per Carrville?”
Il traffico in bacilli di Hansen è rampante. È ora noto come “la roba bianca”. Basta graffiare un po’ di pelle con un ago e strofinarceli su, sei mesi dopo….
Nuovi lebbrosi si riversano da un vecchio battello fluviale a pale ruotanti cantando “Casa Dolce Casa.” Altri si buttano fuori su argini desolati, con le rane che gracidano…
“Benvenuto nella famiglia Hansen. Sai che mano esperta è la mia…non mi hai mai sbalzato fuori dal programma. Possono arrestarti e rimandarti alla vita civile se non sei prudente. Be’ io maneggio la miglior roba bianca di Carrville.
Resta nel programma con l’Unguento del Doc White.”
Lungo i bayous, i laghi e i fiumi vi sono i cottages coperti di buganvillee, rose e campanule, dove languidi lebbrosi oziano – fumando marijuana e oppio dei loro giardini, iniettandosi eroina governativa, con gli aranci, i manghi e gli avocados che crescono nei cortili, prendendo pesci gatto, lucci e pesci persici dal portico di casa, o aprendo scatolette dello spaccio governativo.
Carrville è adesso un’enorme zona di paludi che si estende dal Great Thicket dell’East Texas alle Everglades della Florida. Sulle isole palustri sono celebrati strani riti. Giovani nudi con maschere da alligatori danzano davanti al Dio Gator Caprone che ha la testa di un alligatore e i piedi di un caprone.
Tempo di Mardi Gras a Carrville. Un languido giovane aristocratico passa scivolando su un battello floreale, una gamba mangiata via al ginocchio, il moncherino fosforescente nel crepuscolo che si addensa.
Una sottospecie virale radioattiva cari miei, terribilmente chic. Lagune viola dove pesci
di smeraldo si tuffano in cerca della luna. Ed ecco uno stupefacente giovane lebbroso in veste di Cleopatra sul suo battello con un Marco Antonio pacioccone….
E l’intera riserva è cintata e custodita. “Così lasciamo la felice popolazione di Carrville che, mediante qualche interiore sorgente di coraggio e di forza, ha trasformato la sua terribile malattia in un soddisfacente sistema di vita.

“E per questo che io pago le tasse? Orge sessuali di finocchi e iniezioni di marijuana?”.
“Nella nostra splendida sistemazione – fornita dal cortese governo americano – noi non abbiamo da preoccuparci di stronzi come te che lavorano per vivere. Possa tu crollare nel cesso da cui sei emerso.”
Mafiosi si sporgono dalle loro Cadillac a sputare in faccia al contribuente.
“Ma chi sei, worke fore living? Ti sputo in faccia, scemo!”
E molti giovani denunciavano casi di inabilità, dicendo che non potevano coesistere con dei disgustosi barboni contribuenti.
“Mi rendono così nervoso che non sono stato in grado di lavorare. Chiedo inabilità totale e sussidio di eroina.”
“Quando la terza Legge Sanitaria Nazionale fu respinta al Senato a causa di vergognose manovre di gruppi e tattiche ostruzionistiche, scoppiarono i Disordini del 1984 per la Legge Sanitari. Si calcola che 500.000 persone siano morte soltanto a New York City e ci furono danni materiali per miliardi. Altre città annoverarono perdite di questa entità. I decessi in tutti gli U.S. arrivarono a quasi dieci milioni. Per ironia, l’alta mortalità fu dovuta in larga misura agli sforzi del governo di prevenire l’esplosione con severe misure di controllo sulle armi. La Legge Nazionale sulla registrazione delle Armi da Fuoco escluse coloro con precedenti penali o di tossicodipendenza o di malattie mentali, e tutti coloro sulle liste dell’assistenza pubblica , dalla possibilità di comprare o possedere armi da fuoco di qualsiasi tipo, compresi i fucili ad aria compressa. Questo lasciò la scontenta classe media in possesso di più armi da fuoco di qualsiasi altro gruppo.
“Facendo affidamento sulle armi ammassate e sulle simpatie della polizia e della Guardia Nazionale, i Soldati di Cristo di Parcival parlavano adesso apertamente di occupare New York e massacrare tutte le minoranze etniche, i beatniks, i perfidi drogati, finocchi e capelloni. A dire il vero parlarono troppo e spaventarono troppa gente, facendo oscure allusioni ai banchieri internazionali, a Wall Street e al Pericolo Giallo. Significava questo che gli Ebrei, i ricchi e i Cinesi erano sulla lista? Potenti figure anonime decisero che sarebbe stato prudente far trovare un’efficace opposizione ai seguaci di Parcival. Ad ogni modo un documento noto come Il Diario del Diavolo arrivò fino alle minoranze più immediatamente e specificatamente minacciate.
“Il Diario del Diavolo era stato preparato su ordinazione della CIA negli Anni’60. Conteneva istruzioni dettagliate per fabbricare armi da materiali facilmente disponibili in ogni drogheria o negozio di ferramenta: polvere nera, bombe incendiarie, più una batteria di armi biologiche e chimiche. Come produrre botulina partendo dal bouillon in scatola; come fare il gas nervino dagli sparys insetticidi; come fare clorina, nitroglicerina, fosgene, ammonio, gas arsenicato. Furono queste armi, lanciate e integrate da balestre, cerbottane, fiondi e granate a polvere nera, che causarono le impressionanti perdite.”

WNR

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David Lynch

foto di Chico De Luigi da chicodeluigi.it foto di Chico De Luigi, da chicodeluigi.it

Maiala deh esistono delle forme di leccaculo che sono come delle grosse lingue dotate di gambe senza ne’ occhi ne’ cuore, solo saliva abrasiva che cola dai pori. Tali esseri saltellano in cerca di chiappe e una volta che le hanno trovate: leccano. Senza senso, senza pause, senza risparmiarsi, trivellando. Esse vivono vicino alle fonti di celebrità e ricchezza, sono abiette e sorridenti, si avvicinano alla preda famosa con fare circospetto, ostentanto un atteggiamento da “tranquillo anche io sono un essere speciale del jet set come te, non aver paura non sono un plebeo e se ti tocco non ti attacco la poverite“. Si fanno chiamare addetti ai lavori e alla base di tutto c’è il fatto che in qualche modo sono davvero addetti, hanno le chiavi di accesso a quel mondo. Oggi in albergo c’è David Lynch, di passaggio per presentare le iniziative della David Lynch foundation. In realtà non presenta niente, fa solo promozione. Io mi sono fatto spostare il turno di pulizie ai piani per essere qui e una banca ha pagato due presentatori della tv per una piccola conferenza stampa con giornalisti e altri addetti al settore.

Lynch pratica la meditazione trascendentale da quarant’anni, tutti i giorni due volte al giorno. Sostiene che questo tipo di pratica stimoli la creatività e spalanchi la vita alla gioia. Queste cose le so dal 2008 perché ho letto In acque profonde. Il libro si chiamava così in onore delle idee migliori, dei rari pesci che si possono catturare solo sul fondo di noi stessi (che siamo bellissimi) in uno stato di concentrazione così a fondo denso che una volta raggiunto  ci permette di trascendere. E come mai allora tutte quelle immagini di paranoie deformanti che popolano i suoi film? Lynch: «Quelle? ah… quelle non vogliono dire niente! Mi vengono alla mente quando medito e poi le metto in scena».

Critici che per anni si sono scervellati sulla scatola blu di Mullholland Drive, o sul nano che parla al contrario nella stanza rossa di Twin Peaks. Proprio in quella serie il personaggio di Bob, il male incarnato, il caposaldo del terrore della mia infanzia, viene messo nella sceneggiatura per caso. Bob è il nome fittizio di un cameraman che quel giorno venne notato dal regista durante il montaggio di una scena. C’era un volto riflesso in uno specchio. Un volto pazzesco. Chi è quello? È il cameraman. Caaaaazzo! Mettiamolo dentro ora è Bob e io me lo sogno ancora la notte. howbobEcco, questo è Lynch. E io queste cose le so perché ho letto il libro. E diobono sarò anche un cameriere ma un anima ce l’ho. E ho letto della MT e la volevo fare nel 2009 e ho chiamato il centro nazionale Sarcazzi e ho chiesto e mi hanno fatto un offertona: 1600 euro e impari la MT e la puoi praticare tutta la vita da solo e sarà una bomba. In effetti era un investimento che valeva la pena ma io non ho mai avuto i soldi da parte e non l’ho mai imparata. E gnente lui oggi viene qui in Italia dove l’unica persona che mi parla di sogni è Briatore nel suo talent

Quindi alle 9.30 del mattino arriva il Signor Lynch con una tizia tutta ayurveda e bacche di goji che si occupa di spiritualità e traduce quello che il Maestro dice. E i Leccaculo dei presentatori sono appena usciti dal camerino con i loro vestiti regalati dagli sponsor, roba coi teschi rock e il mimetico, roba di sciarpine OVS spacciate per casual ma inesorabilmente quotidiane e si sono messi a parlare alla porta. «Non ho un cazzo di voglia» . «Minchia questo qui è una palla mostruosa l’ho visto da Fazio non c’ho capito un cazzo». È sempre così o meglio quasi sempre. Non ci puoi fare nulla.

Però Lynch è famoso e quindi il leccatore non può sottrarsi, gli succede qualcosa a livello submolecolare, la salivazione aumenta e lui deve trovare un culo. E quindi si gettano sul povero regista, un signore con la vocina da cassiere del Pam e i modi di fare del nonnino più nonnistico del mondo, vestito con un completo di due taglie più grande e con un ciuffo che ancora alla sua età ammette di impomatarsi in onore a Elvis. Ed essi non ascoltano una parola che sia una di quelle che il regista dice e quando ascoltano non capiscono un emerito cazzo, ma nemmeno lui a sua volta capisce tutto credo. Continua a dire che siamo tutti esseri bellissimi (anche i lecca) che c’è un tesoro dentro di noi dentro a TUTTI noi e loro annuiscono non come a dire «ah grazie che ci dai udienza» ma «eh si bravo vedo che lo noti e mi legittimi come tutti devono fare perché io sono un faraone e tu sei uno che fa dei film belli si ma cheduecoglioni». E lui a un certo punto lo sai che dice? Dice che dovremmo insegnare la meditazione nelle scuole e i lecca «si si vero bellissssssimo». E io mi ricordo la scuola, il prof. Capaccioli che un giorno gli venne un attacco di cuore mentre cercava di sollevare un banco per sbatterlo a terra, mentre noi, studenti delle medie, scorreggiavamo a comando solo per farlo irritare. Ti immagini la MT nella scuola italiana? Perché no? Sarebbe stupenda, ma come quella gran sfilza di cose stupende che ci vorrebbero e che credo non ci saranno mai. E i lecca annuiscono, si si che beeello, si si la meee diii taaaa ziooone. $$$. Eh si, ci sono mondi e mondi no? Lo so che la MT funziona e mi son portato il libro dietro, ma perché il Maestro non fulmina i lecca?

E poi niente arrivano anche i nipoti degli zii, gente improbabile amica di amici che si dichiara fan dei suoi film e tutti gli scroccano una foto assieme. Io servo da bere il secondo caffè a tutti, la presentatrice mi dice «Grazie tessssoro» e penso sempre alla famosa frase di Giancarlo Giannini alla Melato, quel “bottana industriale” che dice tutto e non dice niente, come ogni grande verità che svanisce nel vento. E l’omino con la giacca più larga di due taglie mi sorride, ci incontriamo nel suo sguardo per un attimo e io gli dico grazie con gli occhi e alla fine anche levati dai coglioni che inizia il turno del pomeriggio e anche se sei Lynch ok, a me m’hanno insegnato che non si lecca il culo a nessuno.

A me m’è sempre garbato il nano

 

Emilio Periferico

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Gli occhi di Virginia

Gli occhi di Virginia
Sono azzurri
Vorrebbero dirmi
Di tornare qua
Ti voglio bene,
Sai
Ti voglio bene papà

Gli occhi di mio padre
Mi scrutano
Si preoccupano
E mi vedono
Ogni mattina
Appena si sveglia
E si fa la barba
Per affrontare
un’altra
Un’altra realtà
Di nodi
di cravatta
sciolti
Di 24 ore
tagliate a metà
Di fretta
e ansie
E torti
E sentimenti
Che va bene così
Che si fa
con quel
Che si ha

Gli occhi di Virginia
Se potessero
Provocherebbero
tempeste
Squarcerebbero querce
Inonderebbero i campi
Sfrontati
Di questa città
Per essere felici
E urlare
Urlare
Che basterebbe urlare
Per rivendicare
Un’esistenza
Di parole spezzate
Silenzi,
Di diversa beltà

Gli occhi di Virginia
Sembrano felici
Nelle foto fatte dalla sua insegnante
Di lei mano nella mano
Delle compagne
Col grembiule pulito
E il banco vuoto
E tutta la vita
In un girotondo

Gli occhi di mio padre
Sembrano sto fuoco
Che brucia
E si danna
E non si vuol calmare
Passa tutto quanto
Passa pure quello
Mi dicono
che non vuoi cambiare

Gli occhi di Virginia
Sanno del Niente
Del Niente che è immenso
E profondo
Che mi viene da fumare
Asciugarmi le lacrime
E poi fumare
E sotterrare
Ciò che resta della sigaretta
nella sabbia
E l’ingiustizia
Fra una grazia
E la rabbia
Fra la grazia
E la rabbia

Gli occhi di Virginia
Chissà che lacrime faranno
Quando moriranno
Quando morirò
Che sapore avranno
E come piangerà
Se si renderà conto
E se mi capirà

Quante cose scorgo
Nei tuoi occhi
Figlia mia
La guerra e la speranza
La guerra e l’ignoranza
L’immagine di una danza
In una notte
Che non passerà

@moreneria

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