Archivi del mese: Agosto 2019

Quando il film spacca quanto il libro

Teorema: il libro è meglio del film. Valido nella maggior parte dei casi ma non valido in tutti i casi. Prendi McCarthy ad esempio. Leggi un suo libro e tutto allucinato dici: no… nessuno può fare meglio di così. La pagina scritta è talmente levigata e perfetta che non ci puoi mettere le mani. Eppure guardi No country for Old Men e The Road e non senti mai e poi mai la mancanza del libro. O meglio, sono talmente belli, che non ti fanno rimpiangere il libro. 

Paradosso. Guardi The Counselor, sempre scritto da McCarthy ma direttamente per il cinema e il film non regge bene come gli altri due. Perché? Gli altri due nascono da dei romanzi. Il romanzo è comunque una forma narrativa studiata apposta per l’intrattenimento del lettore, che spesso coincide con lo spettatore. La sua struttura, l’intreccio, la scacchiera in cui si muovono i personaggi, è un percorso che ha un inizio e una fine.

[pullquote]La letteratura è ancora necessaria e si sta ibridando in forme nuove. Le Instagram Stories, il cinema, il video[/pullquote]

Ora, la buona letteratura è buona anche sotto forma di strisce a fumetti per bambini. Vedi la Bibbia, l’Odissea a fumetti o le recenti e bellissime trasposizioni della Commedia. Sembrerebbero ridotte in scala messe su un fumetto, invece spaccano il culo.

La letteratura è ancora necessaria e si sta ibridando in forme nuove. Le Instagram Stories, il cinema, il video, potrebbero essere il braccio meccanico pigliatutto che la eleva a potenza. Ma il video ha bisogno del testo da cui prendere vita. Ogni idea è una bozza, ogni inizio è buttato su carta o schermo. Riguarda The Counselor e poi mettilo a fianco di The Road e No Country for Old Men. Non regge. Eppure c’erano sempre Bardem, Brad Pitt, Fassbender la Cruz. Cioè cazzo i miti. Ma non basta. L’ha girato Ridley Scott. Non basta lo stesso. Forse perché non proviene da un processo di stratificazione (parola-sega che tanto piace a genniani e scrittori) che ha origine sulla pagina.

Sunset Limited è tutto girato in una stanza con Tommy Lee Jones e Samuel Jackson a tavolino, come vuoi che sia? Stupendo come il libro, che è scritto a mo’ di dialogo teatrale. Solo il nome del personaggio e la battuta, il nome e la battuta, il nome e la battuta.

Child of God girato da Franco non è indimenticabile ma la sua storia di carta è talmente potente che pure io potevo trarne un buon film. Franco è intrippato di Cormac, lo abbiamo già scritto e ha avuto il coraggio di azzardare a mettere il suo nome accanto al maestro. Ma come mai cazzo anche quello spacca? C’è un personaggio escluso dal mondo che colleziona tipe morte e le scopa e le veste e le trucca e le nasconde in una grotta e la fa in barba a tutta la polizia. Poi muore per una cazzata mentre è in fuga. Violenza e cattiveria allo stato puro, dinamiche stile McCarthy per eccellenza, il genere di roba che ti tiene attaccato alla pagina e allo schermo. Se rispetti i suoi tempi narrativi vinci.

Le storie iniziano sempre da una pagina bianca.

Il futuro potrà decretare la morte dei libri, ma forse solo di certi libri. Non è morta la pellicola fotografica sopravvissuta al digitale, perché dovrebbe morire la scrittura? La letteratura è come la lingua, un concetto mobile, ibridabile. 

Quando leggete pezzi che gridano allo scandalo per le contaminazioni inglesi nel nostro dialogo quotidiano, o per gli orrori grammaticali che le nuove generazioni perpetuano, sappiate che sono tutte stronzate. La lingua è sempre cambiata e si è ibridata con le culture alla moda del suo periodo. Fatevi un salto nei francesismi di Manzoni per farvi due risate.

Non credete a tutto quello che dicono. Non leggete solo i titoli. Non fidatevi dell’editoria dell’informazione. Siate aperti al presente.

Va tutto benissimo come deve andare.

E le buone storie inizieranno sempre da una pagina bianca.

 

Ray Banhoff

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Non siate mai tristi

In riva al mare il vento rasserena, alleggerisce, rinfranca. Parliamone a settembre, rispondo a chi mi chiede conferme, pensieri, risposte. Pensiamoci a settembre. E mi viene in mente la canzone dei Marlene Kuntz che in realtà era di Battisti Mogol, ma la loro versione è una delle cose più belle sentite da venti anni a questa parte. Le vacanze sono uno spartiacque. Il mio, sicuramente. Ma capiterà un po’ a tutti. Ripensi, rifletti, maturi decisioni, vedi una prateria che si chiama autunno, fatto di progetti, piani, intenzioni e poi ti ritrovi a novembre e la lista non è stata depennata manco di una parola. E va bene così. Di estate sopporti meglio le zanzare, le mosche, il puzzo stantio dei cessi chimici dei bagni sul lungomare, i tagli ai piedi sugli scogli, il caldo. Sei portato a rimuovere ogni cosa o ogni cosa è funzionale a creare un microclima interno più rilassato, rallentato, relativizzante.

Matteo aveva un figlio. Il figlio aveva diciassette anni, un motorino, un amico dietro di lui, una strada di campagna sotto le ruote, due fari negli occhi, un fosso sul lato. Lo hanno trovato lì, era morto sul colpo. Quando la mattina dopo me l’hanno detto avevo il cel tra casco e orecchio,  mi sono dovuto fermare al lato di viale Stelvio. Per piangere e urlare. Ho pensato a sua sorella. Ho pensato ai miei figli. Ho pensato alla mancanza, a una mancanza così, a quanto poco ci sia rimedio. Il rimedio in questi casi si chiama rassegnazione, fede, senso di sconfitta.

Foto di Ewen Spencer

Martina cenava e raccontava che mai si era sentita così, che prima per lei la vita di coppia era noia, che chiamava amore ciò che non lo era, che la sera guardava serie tv e poi si girava dall’altra parte e che ora, invece, aveva capito che cos’è, cos’è l’amore. Carver c’ha scritto una poesia. La poesia.

[pullquote] Ci vuole enorme pace dentro per sviluppare il rispetto. Ci vuole un amore sconsiderato per non prenderla sul personale. Ci vuole una infinita consapevolezza per capire che di vere tragedie ne esistono ben poche [/pullquote]

Claudio si è tagliato i capelli, per la chemio è meglio, si sa, su fb leggo i suoi post, di gente che conosce in reparto e che poi – quando ci ritorna – non trova più, la sensazione dei letti rifatti, ordinati – scrive – gli lascia sempre quell’attimo di straniamento. Sarà per questo che non li rifaccio mai. Il caos è vita.

Elisa aspettava un bambino, e per un bene maggiore e una delusione a venire, ha deciso che era meglio così. Consapevole che non è quello che ti succede, ma l’approccio che hai, ciò che fa la differenza. Quando lo ha perso avrà pensato anche a suo fratello, non perché qualcosa glielo ricordasse ma perché infondo a suo fratello ci pensa sempre. Suo fratello ha deciso di uscire dalla sua vita e da quella dei genitori senza spiegare niente, adesso abita a Reggio Emilia. Elisa non sa perché e non sembra saperlo nemmeno lui. Preferisce così, e tanto basta. Gliel’ha detto l’ultima volta che si sono visti. Elisa ha capito  qual era la via dove abitava, l’ha battuta tutta, ha suonato a tutti i campanelli, ci ha messo un pomeriggio, alla fine una faccia che conosceva bene si è affacciata da una finestra. Non l’ha fatta salire, è sceso lui e sono andati a mangiare.
– Come stai?
– Bene
– Perché?
– Perché mi va così.
Da allora non si sono più visti né sentiti.
Ci vuole enorme pace dentro per sviluppare il rispetto. Ci vuole un amore sconsiderato per non prenderla sul personale. Ci vuole una infinita consapevolezza per capire che non bisogna sopravvalutarsi, che di vere tragedie ne esistono ben poche e sono quelle poche che vanno vissute come tragedie, che alla fine bisogna pensarsi come esseri umani che guardano anni e vite ed esperienze, importanti, importantissime, ma che sempre relative restano. E quindi a volte cercare profondità è un esercizio di piacere che bisogna essere pronti a sostenere. E chi non vuole o semplicemente non vuole rivelare di averlo fatto va compreso, capito, accettato. E chi ascolta o chi cerca qualcosa di più deve sapersi fermare e farsi andare bene un: perché sì, perché mi va così.

Foto di Ewen Spencer

Ognuno lotta con i suoi tarli. Ognuno coi suoi demoni. Ognuno si misura sulle sue insicurezze. Ognuno ha i suoi tempi il suo percorso i suoi silenzi.

Mia figlia grande è Virginia. Virginia ha la sindrome del Cri du chat. Uno degli ultimi giorni di scuola sono andata a prenderla, la sua insegnante di sostegno mi fa: oggi sulla tastiera ha scritto questa frase

Io mi arrabbio quando non riesco a fare le cose

E si tira i capelli e gli schiaffi.

Quello che le ripeto a voce bassa prima di addormentarsi e che capirà mano a mano, quello che ripeto anche a mio figlio, quello che è è questo:

non sempre le cose vanno come vuoi tu
non sempre le persone si comportano come vuoi tu
non sempre ciò che aspetti arriva
non sempre, anzi quasi mai

Eppure. Eppure esiste l’impegno, esiste il lavoro, esiste l’amore, esiste la passione, esiste la fede. Gabri mi dice di leggere il Bushido. Lui leggendolo ha imparato che il samurai, quando piove, sa che non serve a niente ripararsi sotto un ombrello, perché la pioggia va accettata.

[pullquote]Ognuno lotta con i suoi tarli. Ognuno coi suoi demoni. Ognuno si misura sulle sue insicurezze. Ognuno ha i suoi tempi il suo percorso i suoi silenzi [/pullquote]

La vera verità è che siamo tutte anime incomplete, cerchiamo tutti qualcosa, in una sbandata il sabato sera, in un bicchiere di gin tonic durante un party che finisce tardi, in una festa di matrimonio dove tutto appare meno definito a meno che tu non sia il festeggiato, in un post o in una storia, cerchiamo emozioni, carezze, qualcosa che ci faccia sentire importanti, considerati, emersi. E salvi. Un porto franco. Una valigia aperta. Un sogno reale. Poi domani ci sarà sempre tempo. Ci sarà sempre un settembre.

Foto di Ewen Spencer

Ho letto una frase di Steinbeck, tempo fa, riportata in un post di Daniele Piovino, uno dei nostri, diceva più o meno così e se non diceva così questo è quello che mi ha lasciato: se devi fallire, fallirai; se devi fallire che succeda. Le cose belle aspettano.

Ed è vero. Il tempo è tutto. Il tempismo pure. Le cose belle sono come le soluzioni: ci sono momenti che non le vedi, non le sai riconoscere, sono lì eppure sembrano lontanissime. Che cosa volete che vi dica, poi la soluzione arriva, in un momento di lucidità, sotto la doccia, parlando con la psicologa, dopo un allenamento, ti appare chiara, serena, scontata, facile. Il momento dell’epifania. Che si porta dietro un sorriso e la consapevolezza di un nuovo sé. Bukowski, sempre quella bestemmia di uomo, diceva che l’ultimo sorriso è quello decisivo. In realtà me lo ha raccontato un fotografo. Diceva che lo aveva letto in un libro di Hank. Io di libri di Hank ne ho letti tanti, quasi tutti, ma sta cosa non l’ho mai trovata. Però è bukowskiana. Perché è vero: se stai per morire e ti scappa l’ultimo sorriso, be’ vuol dire che di battaglie ne hai perse magari tante ma alla fine hai vinto. In culo alla vita, ché la morte è sopravvalutata. Pure noi lo siamo.

[pullquote]A volte cercare profondità è un esercizio di piacere che bisogna essere pronti a sostenere[/pullquote]

Per questo mi tatuerò la frase Non siate mai tristi. Perché non ne vale la pena. Questo è tutto ciò che ho da dire questa notte che non vorrei mai dormire, anche se qualcuno mi ha detto che ste frasi sono da ciellino. Ma io non lo sono mai stato, non ho questo metro di misura e di quello che  può pensare qualcuno mi interessa fino a un certo punto.

Foto di Ewen Spencer

Quindi lo ripeto:
Non siate mai tristi

Se non siete forti, se non vi sentite forti, sappiate che non c’è bisogno di esserlo.
C’è bisogno di trovare il coraggio.

Perché ogni cosa si risolve
Le soluzioni aspettano
Le cose belle pure
Le tragedie vere sono poche e ognuno dentro di noi ha il proprio samurai da tirare fuori. Ché tra le gocce d’acqua si può ballare.
E qualche volta piove pure a ferragosto, d’estate, tra un colpo di vento che arriva e un ricordo che se ne va.

@moreneria

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Omar Di Monopoli

Non tutte le seghe sono uguali. Le donne forse non lo sanno ma esistono anche le seghe a cazzo semi-moscio o seghe fisiologiche fatte perché non si riesce a dormire. Ciò non toglie che svolgano la loro funzione di espulsione e rilassamento. Perché parlare di seghe? Perché non c’è niente di più automasturbatorio che leggere. Houellebecq dice che devi davvero odiare tanto la vita per amare la lettura ma io non sono d’accordo. Siamo gente che cerca, gente che ama cazzeggiare, eterni sognatori. Solo questo fa di un lettore un buon lettore. L’amore per la lettura. Volersi divertire  con un libro, esattamente come quando si va al cinema o a un concerto e si vuole lo spettacolo. O al limite volersi rilassare come quando non dormi e ti fai una sega. Letteratura fisiologica per l’appunto. Sembra una cosa di cui tutti si sono scordati: il potere letterario dell’intrattenimento. Oggi se non è denuncia sociale, riflessione apocalittica sul fatto che il mondo è una merda etc… nessuno si fila un buon libro.

Ora, possiamo discorrere per ore e per convegni e premi Nobel di cosa sia una buona lettura e non ne tireremmo fuori niente altro che cumuli di cazzate. Nessuno ne sa niente. Il mondo letterario ha quasi ucciso i lettori moralizzandoli e riempiendoli gli iPad di scrittori scadenti del calibro di Murakami spacciandoli per roba buona.  Spacciando dei tizi con delle giacchette improbabili e l’aura colta da scrittori, tizi che non avrebbero legato le scarpe all’uomo che mi fa il caffè al bar la mattina.

[pullquote]Quindi quando qualcuno mi chiede un buono scrittore italiano da leggere io gli rispondo sempre: Omar Di Monopoli[/pullquote]

Leggere per godere, dicevamo. Eco lo diceva: prendi un libro e aprilo a pagina 99. Qualsiasi libro. Se quella pagina è leggibile vuol dire che è un buon libro.
Stupendo. Una supercazzola coi fiocchi. 
Con questo teorema alla base uno può soppesare qualsiasi opera. Idem con l’attacco. L’attacco è tutto. Se non ti prende entro le prime dieci/quindici righe è probabile che non ti prenderà mai.

Questo lungo preambolo per dire che io sono un lettore di Omar Di Monopoli e che se fosse una sega sarebbe forse una sega fisiologica, ma comunque che svolge la sua funzione. I suoi attacchi sono tutti ottimi e le sue pagine 99 tengono sempre un gran ritmo. 

Avete presente quelle sere estive in cui fate zapping e beccate un bel film dichiaratamente di serie B come Spy Game di Redford e Pitt che però non potete fare a meno di guardare? Ecco Omar Di Monopoli è quella roba lì. Non è ancora un Premio Oscar, non è ancora Zodiac di Fincher, ma lo potrebbe diventare. Al momento è tranquillamente una ottima produzione italiana da seconda serata con un gran cast e delle location spaventose. Non è ancora una sega a cazzo del tutto duro ma è comunque un’ottima sega. Questo nonostante Di Monopoli scriva ogni riga nel segno di Faulkner e McCarthy tentando di minare le sue ottime intuizioni narrative con delle imitazioni di seconda mano. Il venerdì lo chiama il Faulkner italiano e detto da un magazine è come quando si sentiva dire che Nek era lo Sting della Val Padana. Te lo deve dire un tuo amico che è il Faulkner italiano. Non è vero, non è Faulkner. È più McCarthy per me, ma è roba ok.

[pullquote]possiamo discorrere per ore e per convegni e premi Nobel di cosa sia una buona lettura e non ne tireremmo fuori niente altro che cumuli di cazzate. Nessuno ne sa niente.[/pullquote]

Sono belli i suoi personaggi, sono bellissimi i suoi scorci, mi piacciono i posti degrado in cui accompagna il lettore e in cui lo abbandona a rimirare l’osceno. L’uso del dialetto è sfacciatamente faulkneriano ma cavolo, anche John Lennon voleva imitare Elvis no? Mi stupisce sempre constatare che quando parlo coi meridionali di questo scrittore lo definiscono un usurpatore, un finto pugliese, perché cresciuto altrove. Si comportano come un branco di animali selvatici che non riconosce al suo interno un proprio simile proveniente da una tribù vicina. Eppure dovrebbero essere contenti di avere una sorta di True Detective pugliese… mah. L’invidia.

Il suo nome lo conoscevo da anni e non me lo ero mai filato, ma quando l’ho visto pubblicato da Adelphi mi sono detto: cazzo! E Questo??? Che ci fa in mezzo ai libri di Calasso, nella stessa carta e con le copertine fighe dei grandi? Eh si, la copertina Adelphi gli da tutto un’altro spessore, diciamo che “fa” il prodotto rispetto alle precedenti edizioni ISBN. Mi sono letto Nella perfida terra di Dio e Uomini e cani. Il primo una vera bomba, il secondo molto bello. E ho goduto. Un po’ perché ci sono arrivato da solo, senza che nessuno me lo consigliasse, un po’ perché quei due testi hanno svolto esattamente la funzione che un buon libro dovrebbe svolgere: tenerti compagnia e farti viaggiare. In questo Di Monopoli è bravo. Di Faulkner ho abbandonato diversa roba tirandola nel muro e devo dire che sono più le opere che ho mollato che quelle che ho davvero apprezzato (Mentre Morivo e Santuario). Con Di Monopoli due ne ho comprati e due ne ho sbranati. O io ho culo o lui è bravo.

Il resto sono tutte stronzate.

Quindi quando qualcuno mi chiede un buono scrittore italiano da leggere io gli rispondo sempre: Omar Di Monopoli. E ora mi ordino su Amazon La legge di Fonzi. Sono tuttavia convinto, che il suo libro migliore debba ancora scriverlo. Riparliamone tra dieci anni.

Ray Banhoff

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Fiori

Mi chiedono di parlare di fiori e capisco che fondamentalmente non so niente dei fiori. Cioè ne so quanto voi. I fiori sono quei robi che spuntano da terra e attirano la tua attenzione e a volte riescono a rendere adeguato all’occhio umano anche un merdoso marciapiedi di cemento in zona industriale. Oddio o o forse lo rendono peggiore, perché basta un fiore a far capire quanto son brutti decine di metri quadri in cemento e catrame. Poi come ci sono arrivati in zona industriale? Non si sa come, ma dalle viscere dell’industrializzazione spuntano da piccoli crateri, si infiltrano dalla terra, risalgono ed escono da un buchino dove diresti che non c’è vita. Eppure… loro si insediano. Non capisci se stiano attaccando il nostro spazio o portino la pace. Ma è anche vero che abbiamo asfaltato il mondo senza un minimo di senso estetico e ci basta vedere un fiore per risentirci allineati col cosmo di cui non sappiamo un cazzo.

foto di Enrico De Luigi www.chicodeluigi.it

Così come non lo sappiamo dei fiori, quei piccoli alieni muti e incomprensibili. Ti rendono allegro, ti fanno sembrare che tutto sia un po’ meno degradato. Ti sorprendono. è che non siamo più abituati al bello e i fiori ti mandano fuori di testa appena ci entri in contatto. Prova. Entra dal fioraio. Rimani sconvolto. Quegli odori, quel profumo, quel fresco che generano… ti portano lontano. Non sei quasi più abituato… Eppure: Fiori sulle camicie, sulla carta da parati, sulle magliette e sulle tovagliette di plastica; sulle confezioni di deodorante per le ascelle, sulle tisane, sul piatto dello chef stellato, sull’asciugamano per pulirsi le palle, fiori disegni dei bambini; fiori le vetrine di H&M, i deodoranti per ambiente…

[pullquote]Abbiamo messo lo zampino anche nel buco di culo del mondo e non sappiamo niente di niente di niente[/pullquote]

E anche fiori del male, Natura Matrigna, senso di minaccia per la nostra vita in pericolo causa batteri o Natura maligna che ci inghiotte. Diceva Baudelaire, chissà se questi fiori malsani che sogno troveranno mai la vita, il nutrimento mistico che li farà sbocciare. Erano fiori marci i suoi pensieri. Un’immagine che non lascia scampo. Entra in un cimitero, guarda i fiori appassiti, cammina in un giardino e pesta i petali di rosa portati dal vento. Poche cose fanno paura come i fiori morenti. Il fatto è che non sai niente dei fiori. Perché nascono da un seme che è piatto, è solo una promessa, non sai che ne uscirà. A volte cammini in un bosco e ti senti terrorizzato. Quei cazzetti di piccoli insetti letali nella foresta che impollinano i fiori, usano gli stessi fiori come base di approvvigionamento energetico per poi gettarsi su di noi e pungerci. Al tempo stesso I fiori stessi sono veicolo di morte. Stanno fermi mentre sono chiavati dagli insetti che spostandosi di gambo in gambo fanno abbuffata e ingrassano. Insetti mortali, calabroni velenosi. I nostri fottuti nemici li usano come supermarket.

foto di Enrico De Luigi www.chicodeluigi.it

Cosa credevi? Che ti svelassi il senso della vita con queste poche righe? Guarda i fiori. Guarda i fiori e basta che dopo tanto guardi solo lo schermo dell’iPhone. Male non ti fa. Ama l’alieno, ama il fiore. Non cercare di comprenderne il senso. Non comprendi il senso di niente. La vita non è comprendere, è sentire qualcosa. Fai abbuffata: I fiori di Araki, di Mappelthorpe, di Chico, i fiori in foto anche più belli dei fiori veri. La Natura è una dimensione energetica che sospende la nostra volontà, ci tiene inchiodati ai sensi, allo stupore. La Natura è un limite continuo che richiede cautela per essere varcato. Il fiore la sua sirena, il richiamo più bello, più colorato, più riuscito, il segnale di un terreno mistico e pericoloso, che continuiamo a calpestare da decine di migliaia di anni senza aver ancora compreso. E dopo di noi sarà il fuoco, la cenere, l’assenza e la vita ricomincerà coi fiori che nascono dalle nostre carcasse.

[pullquote]Non capisci se stiano attaccando il nostro spazio o portino la pace[/pullquote]

Continueranno ad esserci, noi continueremo a coglierli. Straccia la margheritina col m’ama non m’ama, metti in tavola fiori di campo, regala alla tua bella una peonia, mettiti un fiore nei capelli e vibra con la Natura. Ti aiuterà a capire il tuo limite. Forse sono solo questo, bussole per il nostro girovagare senza meta in un territorio che per noi non ha confini. In cima al fottuto Everest abbiamo visto in tv fiori rarissimi di montagna, in fondo agli oceani alghe strambe che comunque sono fiori sventolano tra le correnti. Abbiamo messo lo zampino anche nel buco di culo del mondo e non sappiamo niente di niente di niente. Quei piccoli bastardi prima di appassire stanno li a guardarci e stanno zitti, ci avviciniamo alla rosa e ci pungiamo da soli con la spina. E non ridono, non godono, non ci sfottano. Non sai che cosa pensino. Ma in fondo perché tutto questo bisogno di sapere? Ripeto la vita non è comprendere, la vita è sentire. Quindi: ode ai fiori, ci dicono tutto di noi.

Questo testo è stato scritto per Photosyntesis Experience a Riccione. La mostra evento di Enrico De Luigi e Filippo Zaghini aperta fino all’8 settembre con foto, illustrazioni, vivai artistico e suoni c/o Villa Franceschi – Galleria d’Arte Contemporanea a Riccione. Instagram

 

Ray Banhoff

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