Archivi del mese: Settembre 2014

#ohtastierina!

Dopo una sfida di cui fondamentalmente non frega niente a nessuno, che doveva essere quella tra ebook e libri cartacei, ci prepariamo a viverne un’altra ben più seria: quella tra scrittori e tastiera di iOS 8. La seconda potrebbe spazzar via i primi, oppure potrebbe creare una nuova generazione di letterati da 120 caratteri.

Se avete fatto l’aggiornamento del sistema operativo Apple avete tra le mani un mezzo più potente di qualsiasi app o corso di scrittura creativa che sia mai stato sviluppato. É come se il telefono adesso fosse realmente la prolunga del vostro cervello. La tastiera qwerty che noi tutti usiamo è dotata di un nuovo sistema di suggerimento delle parole. Questo sistema propone la parola successiva secondo chissà quale algoritmo (noi non capiamo un cazzo di queste cose) forse per rendervi più veloce la stesura di un messaggio di testo, che ha già i giorni contati grazie all’arrivo dei messaggi vocali. Se però siete minimamente fantasiosi questo sistema vi permette  di formare nuove frasi in una sorta di giochino surrealista che non solo è divertentissimo, ma è anche creativo. Attenzione questa non è una marchetta ad Apple o una sviolinata alla tecnologia, nessuno purtroppo ci paga per scrivere questo pezzo ne tantomeno riceviamo dei gadget in redazione (che non abbiamo). Però quando va detta va detta.

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La tastiera è totalmente priva di finalità pratiche, alla fine se dovete scrivere un sms normale da anche quasi fastidio perché vi distrae, ma se vi lasciate andare al caleidoscopico esperimento creativo, possono venire fuori cose eccellenti. Tipo:

Sgargiante sorgente dell’energia che si chiama la polizia postale a casa di mia madre a casa di mia madre non mi vuole bene davvero una persona che non è una cosa 

oppure

Bertinotti testimone oculare che non è un gioco molto carino ma dopo la morte del mondo di Twitter è come una pazza

Credo che affideremo il nostro Twitter a questa tastiera, forse ha più senso. La comunicazione ordinaria sta avendo grossa crisi. Non vi viene scomodo a volte anche solo pronunciare gli articoli, o declinare dei verbi correttamente? Non è più semplice parlare come dentro a un sms? Pisto dice che anche la scrittura stessa è anacronistica ma io non sono d’accordo, di certo oggi è davvero tanto più difficile e noioso scrivere e possiamo arrivare a dire che gli scrittori sono prevalentemente dei tizi che non hanno di meglio da fare e sono costanti nel mettersi a una scrivania e ticchettare sui tasti. É semplicemente gente che ha una disciplina e una resistenza più alta della tua. Beh amico potenziale scrittore, che sei distratto da Whatsapp, dalle noti-fiche di Facebook, dalle chat degenerate di gruppo coi tuoi amici, è chiaro che non puoi metterti in una stanza a scrivere il tuo romanzo senza wifi altrimenti muori, ma da oggi sei salvo. Con questa tastierina anche per te da oggi c’è spazio. Aprite i vostri blog di tastierina iPhone e mandateci le vostre creazioni con l’hashtag #ohtastierina! Facciamo il culo alle case editrici! Hell Yeah!

Ray Banhoff

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Moana 20

Abbiamo le stesse iniziali, Moana
Non ho mai visto un film porno con te
Sarebbe stato come veder scopare mia madre, pensavo
Avrei voluto laurearmi su di te,
Tu,
la Dea Eros contemporanea

Tempo fa, ore fa, mesi fa
Avrei scritto una poesia presumendo di conoscerti,
di amarti
Ma non so niente di te
E forse non so niente
manco
di me

Sono stato a Rimini questo weekend
Chico l’ho trovato più stanco
Più riflessivo
Più intimo nei monosillabi
E non si ferma per le strisce pedonali
Ed è più segnato
E fa meno fotografie
È che le cose succedono e le cose lasciano dei segni
e i segni si vedono
Tutto qui, va bene così

Mi sono mancati i miei figli
Come sempre
Sentivo mia moglie stanca al telefono
I miei figli urlare
Strappandomi le vesti
Ma ero felice
Felice di averli

Tu, tu cosa avevi?

Ti sei presa di tutto:
Offese, sguardi giudicanti, schifati, morbosi, ipocrisie, il tuo tempo,
cazzi, un po’ di amore, libri inutili, biografie stupide, domande futili,
uomini viscidi, pure una fiction scadente ti sei dovuta sorbire

Cose che ho letto di te:
Ti chiami Anna Moana Rosa Pozzi
Moana è il nome di un’isola delle Hawaii
e significa il punto dove il mare è più profondo
Ed è bellissimo
Che leggevi Nietzsche, Burroughs e Battaille,
e di Burroughs ne rimanevi scioccata, tu
Che ti sei innamorata
per la prima volta
a 11 anni
Che ti piacciono le fontane seicentesche
coi marmi
bianchi
Che ti piace grande, durissimo
e lungo
quanto basta
Che alla donna manca qualcosa, dicevi, perché è il cazzo quello che fa Sesso
Che ti piaceva farlo
farlo tanto
e forte
e che per questo avresti amato
il tuo uomo
Di più, lo avresti amato ancora
Di più
Che morire non ti faceva paura
e desideravi le tue ceneri sparse nel mare
Là dove il punto è il più profondo,
magari

Abbiamo le stesse iniziali,
Moana

Ma tu,
Tu cosa avevi?

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@moreneria

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Pierpaolo Capovilla

Attenzione! Su un dispositivo desktop è possibile visualizzare la versione dinamica di questo post, la seconda puntata dello “Storytelling di Copertina”. Se stai leggendo da un computer, clicca qui sotto:

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Pierpaolo Capovilla per WNR

Fumi 60 sigarette al giorno, ci dai dentro col bicchiere, hai sul volto i segni di una vita dove il dolore ha scavato un solco. Da una parte sembri autolesionista, ma questo non ti impedisce di provare una forma d’amore smisurata per gli “altri”. In Arrivederci dici: «ma come si fa a non amarti/maledetto paese/ in cui soccombere/ chi più, chi meno/ in questo triste destino/ comune e quotidiano/ e vorrei dirti/ qualcosa di tenero/ tenero come un’alba/ come un tramonto/ una buona notte/ per ferirti ancora/ o una volta per sempre». Stai cercando una redenzione? Eppure non rinunci a ferirlo ancora, una volta e per sempre questo Paese. Come mai?

Una Redenzione … non direi. Da cosa mai dovrei redimermi? Da un passato troppo turbolento? Da un’infanzia difficile? Dai tanti errori commessi? Credo che ognuno di noi, in fin dei conti, sia la propria storia. Cerco di fare tesoro delle gioie della vita così come degli errori, degli sbagli, delle brutte figure. Come si dice … Sbagliando si impara. Eccome!

Pierpaolo Capovilla per WNR

Hai letto poesie in giro, fatto uscire un tuo disco solista, mi hai accennato della probabile partecipazione a un film (a proposito, ci dici quale è?). Dove sta andando la tua ricerca artistica? Dove ti sta portando?

La mia vita è un naufragio. Scruto i miei orizzonti in cerca di di un porto dove ormeggiare. Sono felicemente disperato. Per me la vita è ricerca. Ho ricevuto più di una proposta cinematografica. Mi piacerebbe davvero imbarcarmi in un viaggio nuovo, e inatteso. Vedremo …

[pullquote]Per me la canzone è cultura, non costume. Con la cultura facciamo il cittadino, con il costume il consumatore. Che sia stramaledetto.[/pullquote]

Mi sono sempre chiesto una cosa su di te: sei un esteta o un utopista? Vuoi essere un cronista o un rivoluzionario? O forse entrambe le cose… Nella tua musica ci sono sempre riferimenti alla realtà, c’è sempre un’analisi del presente e della società. Vorresti cambiare il mondo con la tua musica? In questo caso mi viene in mente l’immagine di un martire, di Cristo che muore in croce, lo vedo come un sogno impossibile.

Dio santo! Mi stai davvero paragonando a Gesù? Mi vengono i brividi … È uno scherzo, vero? Una provocazione? Anche se, a dire il vero, c’è un po’ di Gesù in ognuno di noi. Ogni volta che non rivolgiamo lo sguardo da un’altra parte. Quando lottiamo per il diritto del nostro prossimo di vivere insieme a noi. La fratellanza, la pietas cristiana: quando vengono a mancare, incomincia l’incubo sociale, la prevaricazione, l’arrampicamento, la noia e l’insofferenza, l’edonismo narcisistico, l’indifferenza. E il razzismo, essendo il razzismo nient’altro che il mancato riconoscimento sociale dell’altro, vera e propria cifra politica della nostra contemporaneità.Penso al popolo romanì, che noi – sprezzanti – chiamiamo “zingari”: il popolo più bello e più libero del mondo, il più misero e perseguitato di sempre, l’unico a non aver mai ingaggiato una guerra con nessuno. Vorrei cambiare il mondo con la musica? Si. Sono consapevole che non faremo mai la rivoluzione a suon di canzonette, ma sono anche convinto che possiamo contribuire ad una rimodulazione dell’immaginario collettivo, nel segno della coscienza civile e dei valori democratici. Se io non pensassi questo, mi sentirei inadeguato e insufficiente al ruolo che la società mi ha concesso. A che servirebbe una canzone se non narrasse le contraddizioni del mondo in cui viviamo? Di questa zolla di pianeta che occupiamo, chiamandoci “Italia”? Per me la canzone è cultura, non costume. Con la cultura facciamo il cittadino, con il costume il consumatore. Che sia stramaledetto. Credo che nella mia musica non ci siano semplicemente “riferimenti” alla realtà sociale in cui viviamo. Il mio obiettivo è che le mie canzoni siano narrazioni del presente tout-court. In questo senso la musica diventa un fatto politico. La canzone per me è grido di dolore e di accusa, è progresso, è futuro, è afflato democratico. Potrò sembrare ridicolo ad alcuni: ai più scanzonati e disillusi, a quelli che si arrendono, ai conformisti. Me ne infischio bellamente. Il cinismo politico non mi appartiene. Io credo in ciò che faccio.

[pullquote]La mia vita è un naufragio. Scruto i miei orizzonti in cerca di un porto dove ormeggiare. Sono felicemente disperato.[/pullquote]

Se penso ai tuoi testi sia con Il Teatro degli Orrori che come solista, mi vengono in mente una serie di valori civili, una sensibilità civile diciamo, che è la costante della tua poetica. Da chi hai ereditato questa attenzione verso gli altri, specialmente gli ultimi? È dovuto all’educazione famigliare o fa parte di un tuo percorso vocativo naturale?

Ognuno di noi è la storia di se stesso e un frammento della storia del paese. Vengo da una famiglia operaia e sottoproletaria. Mia madre fu suora paolina prima di mettere al mondo me e le mie amate sorelle. Mio padre voleva farsi sacerdote. Mi hanno educato nel segno di un cattolicesimo massimalista e piuttosto miope. La guerra fredda, gli anni di piombo, la strategia della tensione … Tutto contribuiva a spingere i cattolici verso un conservatorismo senza uscita. Di questa educazione, dalla quale mi emancipai fin da adolescente, mi sono comunque rimasti i valori cristiani fondamentali. E l’attenzione per gli ultimi. Gli emarginati. Gli stigmatizzati. L’istruzione -quella pubblica, voglio aggiungere- mi salvò dalla devianza sociale. Ebbi insegnanti meravigliosi. Ricordo vividamente una professoressa di lettere alle scuole medie. Mi fece da seconda mamma. Mi amò, e mi condusse all’amore per le lettere e la filosofia. Non le sarò mai abbastanza grato.Poi arrivò il rock. Bel guaio questo … Una “magnifica ossessione” di cui non mi sono più liberato. La musica, e il rock in particolare, fu per me motivo d’ansia creativa, di desiderio, di riscatto sociale. Non nel senso del successo, non sia mai, ma del “fare insieme”, del dar vita ad esperienze nuove, del conoscere ed esperire una socialità dialettica. Il rock infatti lo si fa in gruppo. Essere “band” è una vera palestra di democrazia e confronto reciproco: è quanto di più formativo possa fare un adolescente.

Pierpaolo Capovilla per WNR

«Vorrei rimuovere, vorrei dimenticare gli ultimi vent’anni. O almeno i giorni che fanno più male. Che cosa sono diventato, cosa mai diventerò?» Dici di parlare di te in Dove Vai. Se è vero gli ultimi vent’anni sono anche quelli della tua affermazione artistica, del tuo successo. Nonostante tutto paiono non colmare una grande amarezza. A cosa hai dovuto rinunciare per essere ciò che sei oggi?

Credo di esser riuscito a rinunciare alla vanagloria verso la quale il mondo della musica può spingerti. Almeno lo spero. Provo un sentimento di stizza e repulsione per le giovani star della musica leggera: si sentono al centro del mondo, inconsapevoli di essere nient’altro che il prodotto delle circostanze economiche, politiche e di costume dell’oggi. So di essere un attore che si pavoneggia sui palcoscenici, ma cerco di fuggire dal cliché della pop-star fine a se stessa. Io non sono il mio fine. Sono un mezzo attraverso il quale la società esprime se stessa: in questo caso il suo malessere, il suo mal-di-vivere. Certo, la mia “poetica” è amara e dolorosa. Non potrebbe essere altrimenti. Perché sono incazzato nero con il paese in cui giace la mia esistenza, e nel quale precipitano le mie aspirazioni, le ambizioni, i desideri.Ognuno di noi, a modo proprio, finge di vivere. Fingiamo di fare un lavoro di cui non c’importa niente. Fingiamo d’amare. Fingiamo d’essere più belli, più ricchi, più sexy di ciò che in realtà siamo. Abbiamo perso di vista i valori e la lotta di classe, il vero cuore di ogni progresso. Dico progresso sociale, non sviluppo economico. La situazione sta diventando insopportabile.

[pullquote]Non ne posso più dell’immagine di una Chiesa rinchiusa in se stessa, fatta di pedofili e ricchi cardinali. La Chiesa è fatta anche di eroi civili che a volte sfidano la morte, con un coraggio ed una  generosità politica inarrivabili.[/pullquote]
Leggendo delle tue interviste ho letto commenti di stima verso l’attuale Papa. Questo ci fa scoprire un tuo percorso spirituale? Sei credente? Preghi?

No way! Non sono credente e non prego. Ma questo Francesco, lasciamelo dire, è un genio. È un accidente storico. Papa Bergoglio è il più bel pontefice nella storia della Romana Chiesa Cattolica d’Occidente. È un socialista lacaniano. Come Lacan, questo Papa sa vedere e riconoscere il cuore delle circostanze storiche e delle contraddizioni sociali. Basti ascoltarlo quando parla di guerra: la guerra serve solo a chi la fa, e cioè all’establishment militare. Avevate mai sentito un Papa usare argomenti simili in precedenza? Quando scomunica i mafiosi, senza se e senza ma. Quando parla dell’amore coniugale (e qui Lacan affiora con una certa evidenza) e delle sue tre parole-chiave: Permesso, Grazie, Scusa. “Permesso”, ovvero del rispetto degli spazi reciproci, nel segno della rinuncia al dominio di genere. “Grazie”, perché l’amore è un dono, e la riconoscenza è gesto di riconoscimento reciproco. E poi “Scusa”: perché se sbaglio, se faccio qualcosa che ti ferisce, se in un momento di malessere ti offendo, bene … chiedo scusa, faccio autocritica, e così, sbarazzandomi dell’orgoglio, riconquisto la stima del coniuge. O quando telefona a un bambino che resta solo a casa, perché i genitori sono entrambi a lavorare. Quanta poesia, quanto amore c’è in un gesto del genere? Quando suggerisce ad una donna, credente ma divorziata, alla quale un ottuso prete di campagna nega l’eucarestia, di cambiare parrocchia! Quando si ferma a riflettere e pregare di fronte al muro divisorio fra Israele e Palestina: non è forse quello il vero muro del pianto? Santo cielo, quasi non credo ai miei occhi. Sento dire in giro che il papa è “furbo”. Che la Chiesa lo ha scelto in un momento di grave crisi identitaria, magari per indurre i più a dimenticare le nefandezze di tanti preti e porporati. Niente di più falso. Francesco è un uomo sincero, è “vero”. È consapevole del suo ruolo: politico, sociale, religioso.È semplicemente meraviglioso. Grazie a Dio, la Chiesa non è tutta uguale. Questo Papa ne è la dimostrazione. Non ne posso più dell’immagine di una Chiesa rinchiusa in se stessa, fatta di pedofili e ricchi cardinali. La Chiesa è fatta anche di eroi civili, di uomini e donne di buona volontà, così buona che a volte sfidano la morte, con un coraggio ed una generosità politica inarrivabili. Penso a Don Puglisi, a Don Peppe Diana, a Monsignor Romero. Penso anche al Pontificio Istituto Missioni Estere, fatto di religiosi straordinari: li conobbi da ragazzo, nei loro campi scuola: gente più a sinistra non l’ho mai più conosciuta. Penso a Don Gallo, e a quel mio omonimo, Don Nandino Capovilla, a Pax Christi, o alla teologia della liberazione, e così via. Ecco, Bergoglio raccoglie il loro esempio: non se ne appropria, perché non ne ha alcun bisogno. Perché Francesco è fatto come loro, è un uomo di giustizia.

Pierpaolo Capovilla per WNR

Tu scrivi, ma non si è mai letto niente di tuo. Che materiale è? Racconti, romanzi? Quale è la tua ricerca letteraria e chi sono i tuoi maestri?

Beh … Scrivo canzoni. No? Sarò franco. Ho ricevuto una proposta editoriale importante e prestigiosa. Ho firmato un contratto. Ho ricevuto dei soldi, neanche pochi. Li ho spesi tutti e non ho ancora scritto un periodo. Non ti nascondo che incomincio ad essere un po’ preoccupato.

[pullquote]Ognuno di noi, a modo proprio, finge di vivere. Fingiamo di fare un lavoro di cui non c’importa niente. Fingiamo d’amare. Fingiamo d’essere più belli, più ricchi, più sexy di ciò che in realtà siamo[/pullquote]

C’è un punto della tua carriera in cui hai capito che ti stavano chiedendo di venderti? Se si, quale è stato e come hai reagito?

Nessuno, dico nessuno, ha mai cercato di corrompermi. Non sono in vendita. Non mi si può comprare. Chiunque volesse provarci lo farà a rischio e pericolo propri.Ci sono cose che non hanno un valore economico: una di queste è la dignità dell’artista. Senza quest’ultima, non c’è più arte che tenga. C’è solo la merce. Io faccio musica, non telefonini. Se avessi cercato il denaro, mi sarei occupato d’altro. Per altro, io credo che il “successo” non coincida affatto con i soldi. Il successo è la cifra della bontà delle tue proposte. Capita raramente, ma capita.

Giovanni Lindo Ferretti ha scritto: “di questi tempi dobbiamo costruirci dei ripari contro il cinismo”. Il cinismo che è la cifra critica più riconoscibile nelle nuove leve della musica indipendente (penso su tutti a Lo Stato Sociale) e dell’opinionismo che trionfa (da La Zanzara a Scanzi passando per Twitter e la Lucarelli). Il cinismo che è il sentimento più distinguibile del distacco oggi. Come sempre si passa per pallosi a essere profondi. Tu, oltre che con la tua musica, nella vita quotidiana, come combatti la superficialità e che ne pensi dei giovani italiani?

Ferretti ha ragione. Mi sorge spontanea una considerazione. Il cinismo non è che una maschera, dietro la quale nascondere ignoranza e superficialità d’intenti. Ci fa sentire più intelligenti degli altri: ma non è che una miserabile pantomima. Certo, è difficile oggi credere in qualcosa. Pasolini, in “La Religione del mio Tempo”, diceva: “chi non crede in niente, ne ha coscienza. Non ha rimorsi, chi non crede in niente”. Lo scriveva nel ’58, nell’immediatezza del secondo dopoguerra e del boom economico. Osservava la società italiana mutare repentinamente, nel segno dell’oblio dei valori resistenziali e in quello del consumismo più sfrenato, dell’affarismo, del malcostume politico. Quel processo di mutamento antropologico della società italiana nel frattempo ha fatto passi giganteschi, fino ad irrompere nei nostri giorni.

Pierpaolo Capovilla per WNR

I nostri giovani sono cresciuti in un’Italia berlusconiana, spoglia di valori e ideali. Guardando il film di Veltroni, ci si accorge che non sanno nemmeno chi era Berlinguer. Ecco perché la musica leggera, il rock, la canzone popolare sono così importanti. Perché arrivano ai più giovani, dritte al cuore. Perché possono spingere anche il più refrattario all’impegno sociale, verso la condivisione delle sue esperienze, verso quel desiderio di un mondo più giusto e più uguale. La musica è un fenomeno politico di dimensioni non decifrabili. Non me ne vogliano Lo Stato Sociale, che tu citi, ma che conosco poco e che comunque non disprezzo. Ma credo che il contenuto di una canzone vada sempre ponderato con cura certosina: deve contribuire all’arricchimento culturale e politico di chi ascolta. Se non raggiunge questo obiettivo, allora lo fallisce. Anzi, fallisce e basta. La Zanzara, Lucarelli, Scanzi non so chi siano. E in verità, non ho alcuna voglia di conoscerli.

[pullquote]Io faccio musica, non telefonini. Se avessi cercato il denaro, mi sarei occupato d’altro.[/pullquote]

Hai detto di preferire Bersani a Renzi. Come mai? Vai a votare e credi nella politica?

Cercherò di risponderti in modo articolato.Ho sempre votato, e credo nella politica. Non ho però alcuna fiducia nel personale politico italiano d’oggi. La destra è in buona parte popolata di persone inaccettabili, dietro le quali prosperano i loschi affari di un gruppo di potere, quello berlusconiano, attiguo alla criminalità organizzata. Il così detto “centro” esiste solo nella misura in cui la sua cifra politica è la strumentalità nei rapporti di forza fra le compagini parlamentari: non ha idee, non ha obiettivi, se non quello di appropriarsi di segmenti di potere politico ed economico. La sinistra … La sinistra, con Renzi, ha introiettato l’ideologia spettacolaristica del berlusconismo, facendo propria anche quella forte tendenza all’autoritarismo autoreferenziale, caratteristico di Berlusconi.
Quando Bersani ha perso la sua sfida, alle ultime elezioni politiche, permettendo al Movimento 5 Stelle, i così ben epitettati “fascisti inconsapevoli”, un’ascesa politica per nulla sorprendente, mi sono detto: ecco, noi italiani una persona per bene, competente e seria, vocazionale e sincera, non la vogliamo alla guida del paese. Sembra che in questo caos -culturale, prima che politico – non ci sia spazio per politici raffinati ed onesti: sembra che desideriamo sempre e comunque i bugiardi e gli arrampicatori, i ciarlatani, quando non i violenti e gli ingiuriatori, nei quali ci rispecchiamo un
po’ tutti: … siamo fatti così, si direbbe. Ogni qual volta mi imbatto in uno di questi personaggi, Renzi o Berlusconi o Grillo, mi chiedo: da dove viene questa loro voglia di fare politica? È questo un argomento interessante sul quale credo varrebbe la pena riflettere. Basti leggere Patria senza padri di Massimo Recalcati. Intravvedo il desiderio dell’esibizione narcisistica, del riconoscimento pubblico della propria virilità, vedo un’ambizione sfrenata, vicinissima all’egotismo infantile. La gelosia e l’invidia, l’impulso sessuale, … vedo persone che non sono mai cresciute, e proprio per questo sono così distanti dalla realtà sociale, e per questo sono pericolose. Quando Renzi finge di sapere l’inglese, mi ricorda me stesso quando avevo quindici anni e millantavo una cultura che non potevo ancora avere. Volevo sembrare più grande e più interessante di ciò che in realtà ero. Quando Grillo storpia i nomi dei suoi interlocutori, dileggiandoli o insultandoli tout-court, non vedo un uomo: vedo un ragazzino viziato e capriccioso. Di Berlusconi taccio, tanto ormai non c’è più niente da dire, se non che il paese è stato ed in certa misura è ancora nelle mani di uno squallido erotomane. Comunque … Penso che nei partiti, nei sindacati, nell’associazionismo, nella Chiesa, nei centri sociali, ci siano persone in gamba, mature, eticamente motivate, che credono in ciò che fanno. Bersani è certamente fra queste.

Pierpaolo Capovilla per WNR

Bukowski (scusa se continuo a citarlo) diceva di non aver scritto nemmeno una riga da sobrio, che l’alcol era la sua musa. La tua ispirazione quanto è connessa con l’alterazione? Che rapporto hai con alcool e sostanze stupefacenti?

Bevo buon vino e fumo cannabis. Amo l’ebrezza. Mi piace suonare e ascoltare la musica sorseggiando un Sauvignon o fumando una canna. La cannabis, per altro, mi è di grande aiuto nella scrittura. La gente che non beve mai, che non si lascia andare ogni tanto al tenero piacere di una canna d’erba buona, io … non la capisco. Non mi ritengo schiavo dell’alcool né di alcuna sostanza
stupefacente.La cocaina senza il sesso non ha senso. Con l’eroina ho avuto un rapporto del tutto sporadico ed occasionale. Sono molto, ma molto più “sobrio” di quanto a volte, troppe volte, per invidia o gelosia (ci risiamo), o semplicemente per ignoranza e pregiudizio, mi si dipinge.

[pullquote]Provo un sentimento di stizza e repulsione per le giovani star della musica leggera: si sentono al centro del mondo, inconsapevoli di essere nient’altro che il prodotto delle circostanze economiche, politiche e di costume dell’oggi [/pullquote]

Mi ricordo la copertina di XL in cui eri fotografato accanto ad Appino assieme a tutta la scena indipendente italiana. Oltre al fatto che sono tuoi “colleghi” che rapporto hai con la “scena”? Cosa salvi? Cosa butti… Ah… che ne pensi dei rapper?

Con la scena italiana ho un rapporto amicale esteso. So di non piacere a tutti, ma mi sento parte del gruppo lo stesso. Se dovessi dirti quante cose mi piacciono, ci vorrebbe troppo tempo. Di quelle che non mi piacciono, preferisco tacere. Ma non del rap: il rap italiano è la musica più stupida che
abbia mai sentito. Naturalmente non mi riferisco agli “intellettuali” dell’hip-hop, dagli Assalti Frontali a Caparezza, ma a tutta questa merda che è emersa ultimamente dalla tv. Giovanissimi scemi tatuati di simboli stupidi che predicano omelie sgrammaticate e conformistiche ed anti-valoriali. Provo un naturalissimo spontaneissimo schifo per questa gente.

In Obtorto Collo Dedichi una canzone alla violenza sulle donne. Che rapporto hai con loro e qual è la loro parte nella tua vita? Che rapporto hai invece col sesso?

Amo le donne. Adoro il sesso. Ma sopratutto, … amo amare. Anche con sofferenza.

Quale è il tuo rapporto con la morte?

Me ne infischio della morte. Sono ancora vivo. Un giorno passerò anch’io, come tutti. E chi s’è visto s’è visto.

Ray Banhoff

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Taranto

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mercatari cozzari tarantini

La faccenda è andata, diciamo eh, così: Un bel dì, negli anni ’60, decennio del miracolo italiano, un Cristo della DC… Che poi, vabbé, Mafia, Democrazia Cristiana, non ricordo, so’ la stessa cosa… Comunque. Si diceva, il Cristo impianta una manciata di altoforni tra ulivi secolari e terre arse. A una decina di chilometri dalla città, pressappoco. No, ma che dico, così vi scandalizzo troppo. Parliamone metaforicamente: ‘sto Cristo ben vestito si siede al ristorante.
Prima d’entrare, sputa sul tappeto all’ingresso un grosso grumo catarroso, così, per far capire ai proprietari della trattoria che devono solo ringraziare gli Dei, se è venuto a pasteggiare lì, in quella bettola, che puzza di miseria.
Insomma, si siede, inizia a fumare, legge il menù con disprezzo, criticando e strappando le pagine che considera superflue.
Però ordina tutto. Numerosi antipasti, tris di primi piatti, due secondi, contorni, vino di gran classe, D.O.C.
Intima ai camerieri di muovere il culo mentre il suo, di culo, caga allegramente, nella toilette appena lavata, immacolata, senza prestare attenzione e senza scaricare. Che uomo, eh?
I ristoratori vorrebbero cacciarlo, ma in cuor loro sanno che, seppure abbiano a disposizione delle materie prime eccellenti e dei cuochi un po’ pigri ma discreti, il locale è arronzato e vuoto, scarno.
Il Cristo mangia, rutta, scorreggia, tocca il seno alla padrona, commenta negativamente l’arredo del ristorante. Trangugia spaghetti alle cozze, parmigiana, patate al forno, caciocavalli di lusso, innaffiando il tutto con un bel primitivo. Azzanna con sadismo e avarizia le bombette e gli involtini, mangiandosi pure gli stecchini di legno.
Poi, si ficca due dita in gola, qualche conato e SPLAT, vomitata in stile cascate del Niagara, sul dolce appena servito. Tenta un paio di avances con la signora/proprietaria, cogliona il marito e, al momento del conto, tira fuori una pistola e devasta a suon di bossoli vetri, bicchieri, lampadari. Se ne va bestemmiando, tranquillo.
I proprietari, però, si guardano negli occhi e sorridono. Sì, dai, almeno si sono fatti un po’ di pubblicità, no? Almeno.
Non sapevano, i gestori, che quel Cristo, non appena varcata la soglia del locale, iniziò a chiamare tutti i suoi colleghi e compagni di merende, dicendo loro che in quel posto nessuno alza la testa, che puoi mangiare quanto vuoi senza pagare un cazzo, puoi tranquillamente domandare pompini e forzare la mano per averli, puoi vomitare e insultare e chiedere pure le scuse, per averti fatto mangiare così male. Che tanto, quelli, i gestori, se la fanno mettere come vogliono e quando vogliono.
Credo che in circa 4, 5 mesi, il locale chiuse
Vi ricorda niente, questa storiella?
A me sì, e direi pure!
Così, ora vorreste che io, figlio tarantino, debba essere un cittadino corretto, perbenista, senza rancore? Felice di averla presa in culo da cinquant’anni buoni? Dovrei esultare per il mio mare per tre quarti inquinato, per le pecore abbattute, per l’economia andata a puttane, per i cancri avvinghiati al cervello come polipi allo scoglio?
Ma col cazzo.
Non la pianto, né mò, né mai, di sputare sugli incravattati.
Perché questo, chiamiamolo Stato, mi deve tutto.

[pullquote]La polvere rossa abbraccia e t’inghiottisce. I ponti ferroviari, i binari sono rossi. Rossi come l’acciaio, o sbaglio? D’altronde è Taranto, che t’aspetti cumbà?[/pullquote]

A Taranto colpisce l’odore.
Una bella dose di nocche scartavetrate dritte sul naso. Ti trafigge le narici, come frecce indios acuminate e avvelenate. Esalazioni di uova marce e carbon coke. Frullato di ghisa e benzo(a)pirene.
Se c’arrivi in treno è impressionante.
Il minerale. La polvere rossa che abbraccia e t’inghiottisce. I ponti ferroviari, le isole del traffico che da color cemento diventano rosso sangue, i binari. I binari sono rossi. Rossi come l’acciaio, o sbaglio? D’altronde è Taranto, che t’aspetti cumbà?
Taranto. Taranto capitale europea della cultura, Taranto che risorgerà dalle ceneri dell’Ilva, Taranto che diverrà una meta di punta del turismo estivo fottendo bagnanti ai pòppiti salentini, Taranto che ha le tombe greco-romane a cielo aperto in claustrofobici quartieri-ghetto; quartieri dove ragazzetti scalzi giocano a pallone in mezzo a mozziconi di spinello, siringhe e Porsche Cayenne targate ROMANIA, Taranto che sta rinascendo dal punto di vista culturale, Taranto che, sai, è sempre Taranto, è bella, pure che diecimila tuoi cittadini buttano sangue e veleno in sgangherate corsie d’ospedale per battere leucemie e tumori al cervello, no?
No.
Secca risposta.

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palme e palazzi, palazzi e palme

Forse qualche punto a favore, qualche lancia spezzata ce l’ha. Se ti limiti a girovagare in litoranea senza la marmaglia ferragostiana, se ti inoltri nelle agonizzanti campagne dell’entroterra a caccia di miseria e piatti prelibati da vero carnivoro. Se ti fermi in piazza Carmine, che qualche soddisfazione te la riesce a dare, tra negozi à la page e un bar da riccastri cozzari. Se t’accontenti, ecco, diciamocelo.
Il maître consiglia una passeggiata nei dintorni del rinomato centro cittadino. Mica a venti chilometri, quattro angoli bastan’e avanzano. Via Cavallotti per esempio. Fatevi due passi lì. E’ uno slalom tra circoli ricreativi pieni di malavitosi accavallati e con la special K imboscata sotto il biliardo, merde sganciate a ripetizione dalla contraerei intestinale canide e vuoti di birra Raffo. In via Crispi, dei ragazzini manco quattordicenni ti rapinano con una lama arrugginita lunga più di loro, forgiata in chissà quale antro diabolico.
‘Damm’ l’sold c’no t’accide!’
Se avete passato la prova generale di via Cavallotti e Crispi, prego, si prosegua la strusciata su via Dante. L’inizio è normale, tranquillo, nessun problema. In Piazza Ramellini t’accorgi che, forse, gli escrementi di via Cavallotti non sono da imputare solo ai cani perché due bambini, con l’aiuto fondamentale delle loro innocue nonne, cagano allegramente vicino alla panchina dove t’eri seduto a rimirare lo spettacolare panorama di un bar dato alle fiamme, giochi spaccati e Beverly 50cc modificati che impennano. Ottimo, v’è piaciuto l’antipasto? Sì che v’è piaciuto.
‘U piccinn’ s’ste cagav’ indr’ l’mutand, c’avev’ fa?!’

[pullquote]Alla fine, dov’è la verità? Ce ne sono un fottìo, di verità su Taranto. Perlopiù sono tutte stronzate, c’è gentaglia che sta andando al patibolo dove un boia cieco si gratta le palle e aspetta[/pullquote]

Dalla piazzetta-toilette in poi, via Dante peggiora. Palazzine castrate, manto stradale più adatto al gioco “colpisci la talpa” che allo scorrimento urbano. Ogni due, tre angoli, trovi così tanto mobilio che potresti chiamare i tipi di Banco dei Pugni, Les, Seth o come cazzo si chiamano. Una coppia di vecchiacci ti scarica davanti agl’occhi due sedie, una poltroncina e un materasso con misteriose chiazze giallo-verdi. Mah! Ah, e i centri scommesse SNAI, luogo di culto del tarantino? Coi malavitosi che, di nuovo, ti minacciano? Che palle! Se fossi una ragazza -o un trans, tanto ogni buco è rifugio in tempo di guerra, e per loro è sempre guerra-, ti stuprerebbero in massa come -e peggio di- Rocco e Franco.
‘Bello, ce jè, a me ‘ste tremind? Mo’ t’spacche ‘ù cul!’
Mi accorgo solo adesso che si stava parlando di treni, in apertura. Beh, riprendiamo il discorso da lì. Non rimanerci mai troppo in stazione, è infetta, giuro, sifilitica e gonorroica come pochi posti al mondo. Ti s’attacca addosso ‘na patina di sudore misto a sporcizia che non saprei come descrivere! Ci sta il pazzo che si masturba dietro i cassonetti, qualche magrebino in attesa di mietere vittime danarose e zero sbirraglia. Tanto hanno messo una telecamera tressessanta, di quelle che riprendono tutto. Hank c’avrebbe sguazzato, altro che storie di ordinaria follia. Ai confini della realtà, siamo.
E non ce la fai a guardarti indietro, quando esci dalla ridente e bucolica stazione. Vedi la Cementir, l’ILVA, l’ENI e tutti quei maledetti incravattati che hanno azzannato e spolpato ‘sta terra come iene, iene isteriche e puttane, iene come Vendola, come Fitto, come Cito, come Clini, come tutta la piramide di bellimbusti in giacca, cravatta e ventiquattr’ore che ha sempre minimizzato le problematiche di un territorio abbandonato, usato dalla casta burocratica come carta igienica per pulirsi il culo.
Eppure, se c’hanno trattato così da cinquant’anni, il problema non è solo lo scenario industriale alla Stalingrado maniera. Forse forse, la Di Bello e gli altri bastardi hanno avuto vita facile grazie a noi, plebaglia insopportabile e lamentosa.
Su, non drammatizziamo! Facciamoci un bel bagno, un digestivo niente male ai bordi della riva Jonica. Spettacolo d’altri tempi, se tiri sull’acceleratore per 45 minuti abbondanti. Arrivando quasi in Salento, infatti i bagnini dei lidi parlano uno stucchevole salentino che ti viene voglia di sprangarli. Devi spararti quella trentina di chilometri perché fino a Torre Sgarrata le fogne abusive depositano chiazze marroni e verdi, trasformando l’acqua da limpida in lurida nell’arco di poche ore. Chissà, sarà per quello che ti viene sempre un prurito che non se ne va manco dopo tre docce gelide?
Alla fine, dov’è la verità? Ce ne sono un fottìo, di verità su Taranto. Perlopiù sono tutte stronzate, c’è gentaglia che ambisce a rinnovare una città perduta, che sta andando al patibolo dove un boia cieco ma con una mannaia sadica e affilata si gratta le palle e aspetta, aspetta, perché tanto la città è sul fondo e non ha molto senso darle subito il calcio finale sulle gengive, basta attendere e morirà da sola, poi si potrà anche reciderle lo scalpo della vittoria.
Perdio allora? Hai finito? Orario!
Sì, quasi, qualche altra sputacchia sotto forma d’inchiostro e chiudo, maestro!
Dalla regia m’avvisano che sto alzando troppo il tiro, fucilando tutto e crucifiggendo senza colpo ferire. Non c’è proprio nulla di buono a Taranto, sangh’d’ Criste?!
Io rispondo che l’amo, Taranto, nonostante la feccia. Amo il paradosso evidentemente. Mi piace prenderla a cinghiate perché se lo merita, ma non contribuisco alla sua rovina. O al salvataggio imbarazzante, al tentativo ridicolo di invertire il tre vele verso un porto sicuro, come fanno certi assessorucci all’agricoltura. E’ difficile da capire, ma la sensazione che si prova camminando di notte per le strade che conosci, per le tue strade, solo tue, non dei pagliacci radical chic che fino al 2013 si sparavano pugnette e bestemmiavano Taranto come terra da eradicare mediante bomba atomica, è troppo densa e aggressiva. E’ un orgasmo. Sai di conoscere la gente, dalla Salinella a Taranto vecchia. Certo, hai più di qualche individuo che ti vorrebbe accoppare perché descrivi le vie così come sono, reali, masnade tossiche, ma intanto sai di poter parlare, mentre gli altri… Gli altri, possono solo provare ad immaginare.

[pullquote]Io l’amo, Taranto, nonostante la feccia. Mi piace prenderla a cinghiate perché se lo merita, ma non contribuisco alla sua rovina[/pullquote]

Perché Taranto o si ama o si odia, non è moda, non è appariscenza sul social network, non è svegliarsi a trent’anni e rendersi conto che l’ILVA ci sta ammazzando tutti, no.
Taranto è sporca, è cattiva, è affascinante e bollente.
E’ mia, è la mia Taranto. E’ di Bonzo, di Cataldo, di Cristian, di quelli che lottano e hanno lottato a morsi e pugni chiusi affinché il cielo non ci crollasse addosso con diossina e dolori annessi; sin da quando a Taranto non si muoveva niente e nessuno, perché il ‘Ce me ne futt’ ammè!’ era l’algoritmo più utilizzato. Venirsene ora, a spettacolo iniziato, è troppo facile miei cari balordi, ci vuole nulla. L’aveste fatto prima!
Resta il fatto che Taranto è mia.
E amen, stringetevi le mani scambiandovi un segno di pace dopo il pater nostri e avast’, il circo chiude, domani nessuna replica, già calare il sipario è ‘no sforzo assurdo, non ce la facciamo proprio, e no signora, no, lasci n’offerta per favore, non se ne vada così!
Niente fiori ma opere di bene.
Il boia cieco c’ha ripensato. Ha deciso di calare la lama. Sogno che la città si rialzi, tiri fuori uno stanley knife e cavi gl’occhi a ‘sto boiaccio infame.
La mannaia fa un suono inutile. Il crack dell’osso che si spezza manco lo si sente.
Arrivederci e grazie.

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però si mangia bene

 

Lorenzo Monfredi

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I 5 momenti fondamentali in tv di Carmelo Bene

Quando si parla dei morti la vita fa troppa paura perché si rivela per quello che è, qualcosa di cui non sappiamo niente. Siete mai entrati in un cimitero di notte? Non di giorno, di notte. Di notte un cimitero non deve farvi paura ed è forse il più grande regalo che vi potete fare dopo i trent’anni, ma anche dopo i diciassette. Vi troverete in un luogo dove per una volta il tempo non esiste, la vita è sospesa, voi stessi sparite. Assisterete alla magia in terra di quello che ci è capitato una volta catapultati in questo mondo, nel silenzio. In ognuno di quei buchetti una volta c’era un tipo che avrebbe potuto darvi le paghe con le donne, con i pugni, con l’astuzia. Sotto ognuna di quelle croci c’era una donna che ha amato, un piccolo futuro santo, un meschino. Puf! Tutti hanno fatto puf! La verità, ancora una volta è che non ne sappiamo un bel niente.

CB

Ha fatto puf! anche Carmelo Bene e dopo di lui non ce ne sono più stati di tipi del genere sulle pagine della ribalta. Non è nostalgia ne’ retorica, ma un dato di fatto. Nessuno dovrebbe avere le palle di scrivere qualcosa su di lui, specie oggi che è il giorno del suo compleanno da morto. La maggior parte delle cose che diceva sono incomprensibili e probabilmente erano delle supercazzole ben congegnate. A tratti è impossibile stargli dietro anche per uno che fa il dottorato in Filosofia, ma il punto è un altro. Oggi come oggi anche se non lo capiamo quello che diceva forse è importante ascoltarlo lo stesso, studiarne i movimenti, gli accenti, le prese di posizione totalmente scellerate. Ricordarsi che l’intelligenza può essere un cazzo duro come la carezza di un Cristo, ritornare sul territorio della sfida. È importante assistere allo sproloquio energico e furente con cui fa a pezzi blateranti cialtroni intellettuali, gobbetti forforosi col titolo di giornalisti o critici, sciacquette sculettanti e protoveline. Non esiste un giusto e uno sbagliato, almeno non esite nell’80 per cento dei casi, ma a volte serve che qualcuno si alzi in piedi e dica no, solo per ricordarci che ogni tanto di no lo possiamo dire anche noi, perché per tutta la vita non facciamo che trovare gente che ci sconsiglia quei “no”. E detto questo… Uno così, se ve lo trovavate al bar di paese, non ci avreste voluto passare tutte le serate assieme?

E ora puppatevi i video.

Di questo potevamo pubblicare degli estratti e invece no… ve lo guardate tutto, stasera a casa magari. Almeno mezz’ora.

Dal minuto 1.00 dopo le robette di Chiambretti, parla agli studenti: «Non bisogna andare dove si insegna per apprendere. Si studia desiderando, la scuola invece è la palestra dell’ozio. Salvatevi fino che siete in tempo, non sono qui per far contento il rettore».

Corrado: «A volte si dice di voler essere altrove, a te è mai capitato?» Bene: «Il problema è che io vorrei essere presente, mi sfuggo».

Tutto consiste in questo, vedere la Madonna o non vederla… Ma quelli che vedono non vedono quello che vedono

Qui è tutto fuori… ma che robe faceva la Rai, eh?

Film Title: Nostra Signora dei Turchi (Our Lady of the Turks)

E poi leggetevi la sua autobiografia. Non stiamo manco a dirvi come si intitola, dove si trova, a mettere il prezzo.

Ray Banhoff

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