Apettando Andrea Iannone. Sono le 18 e 15. Suo fratello Angelo mi scrive: «Tra 20 minuti sono lì», dove lì sta per l’hotel Palace di Vasto, moquette blu e open bar. Ore 18:44, non arriva nessuno. Primo giro di spritz. Ore 19:19, io e il fotografo Giorgio Serinelli ci sdraiamo sui divanetti della hall. Guardo i profili social di Andrea, su Instagram segue ed è seguito quasi esclusivamente da donne in costume da bagno. Ore 19:56, terzo spritz, panini, crostini con zucchine, vino rosso. Ore 20:33, mando un messaggio ad Andrea: «Bello l’albergo eh, ma se non ci venite a prendere il servizio lo facciamo con la moquette blu». Due ore e passa di ritardo. Si mette male.
A Vasto eravamo arrivati alle 17.
Era venuto a prenderci il padre Regalino con una Audi S8 alla stazione di Pescara, 220 all’ora in autostrada parlando dei figli, uno spettacolo. «Angelo è più grande, dell’87. Ha cominciato prima ad andare in moto, Andrea lo seguiva nei paddock, era la mascotte, poi Angelo ha preferito il calcio mentre Andrea è andato avanti. Da quando abbiamo aperto il nostro team in Moto2, nel 2011, lavorano insieme». Angelo è il migliore amico di Andrea, Andrea lo è di Angelo. «Si completano. Angelo è più diplomatico, gentile, Andrea dice le cose come gli vengono, non si preoccupa se ti fanno male o no. Non ha un limite: ha la Lambo, vuole l’elicottero, se gioca a carte vuole vincere pure se non sa le regole. Per dirti, quando Angelo tornava a casa da una partita persa, Andrea gli urlava: “Porca troia! Cosa ci vai a fare?” E si metteva a piangere dal nervoso… È così, deve primeggiare, vuole mortificare gli avversari, ma in questi due anni in Ducati Pramac ha imparato anche a incassare». Non vivono tutti insieme, come i Marquez. «Scherzi? Con Andrea, se tornavi a casa dovevi chiedere permesso, anche se aveva 12 anni. Se no potevi trovarlo coinvolto in qualche scena hard. È sempre stato precoce».
Ore 20:52, finalmente un messaggio di Angelo:
«Sono stato bloccato dal commercialista, perdonatemi. Arrivo». E dopo cinque minuti entra nell’albergo. Baci, abbracci, scuse, «ma di che», «nel frattempo ci siamo ubriacati», «avete fatto bene». Quella che segue è la cronaca di una notte e una mattina passata con Andrea Iannone in giro per Iannonelandia, il suo quartier generale, con le sue auto, i suoi bar, il suo appartamento. Diciamolo chiaramente: questo servizio non sarebbe stato possibile con nessun altro pilota in circolazione, perché nessuno oggi ci avrebbe permesso di invadere la propria privacy come ha fatto Andrea con noi, facendoci entrare in casa mentre ancora dorme – come è successo – o in bagno mentre piscia, e raccontando senza censure la sua infanzia, le moto, il futuro, il suo pensiero sul sesso e sulle donne. Insomma, ecco a voi la vita di un ragazzo di 25 anni che dalla prossima stagione sarà ufficiale Ducati, e che farà sempre più parlare di sé, vedrete.
[pullquote]Al primo giorno di elementari mio padre mi fa: “Se rientri a casa che le hai prese poi le prendi di nuovo[/pullquote]
Angelo ci porta al capannone.
Fuori sono parcheggiati il motorhome di Andrea, la sua Lamborghini e l’Audi RS6 Biturbo che ha in uso, 560 cavalli, una macchina da corsa travestita da familiare. Entriamo, è al telefono, ride, ha jeans stretti, strappati, un paio di sneaker Dsquared, una tshirt larga e una camicia di jeans. Intorno, uno spazio con le moto da pista, da enduro, da cross. «Guavda, qui è una figata» dice con la sua r moscia. «Questa macchinetta del caffè costa un botto, fa di tutto, ci sono i chicchi di caffè da tostare dentro, vedi? Vuoi un amaro?». Ha la spillatrice di Jägermeister. E giù shottini. Lui prende una sambuca. Ci accompagna nel retro, dove ci sono altre moto che usa per fare fuoristrada con gli amici e le prime minimoto usate da lui e da Angelo. Il giro continua in palestra. «Qua dentro ho un impianto stereo della madonna, mi sparo musica a palla e mi alleno. «A Milano ne stavo aprendo una mia in piazza Cinque giornate, però ci hanno tolto l’agibilità al piano inferiore dove dovevamo fare gli spogliatoi e gli spogliatoi sono tutto, capisci? Così adesso stiamo cercando un altro locale». Passiamo dal suo ufficio, poi torniamo verso il biliardino: «A proposito facciamo una partita?». Ok. Io e Andrea contro Angelo e Serinelli. Andrea: «5 a 0 e si passa sotto al tavolo». Ci portiamo sul 4 a 0, poi recuperano e ci battono. Stessa storia con la rivincita. Sempre Andrea: «Mi sono offeso, bastardi, io piango quando perdo».
L’impressione è che semmai dovesse vincere qualche gara o addirittura un mondiale, Andrea esploderebbe.
Il personaggio che potrebbero dipingergli addosso i media è perfetto per attirare attenzioni, polemiche, per finire in prima pagina. Belloccio, l’aria da duro, con la macchinona, vestito alla moda, le amicizie vip, i club privé, il fisico, i soldi, i tatuaggi, gli anelli. Anche se poi, se si va a scavare, Iannone è un ragazzo serio, esagerato sì, ma lucidissimo, maniaco dell’ordine, della pulizia, della precisione, che vuole vincere, stupire, arrivare. «E ce la farò. La gente crede sia uno spaccone, invece sono anni che mi faccio un culo così». Il suo manager, Carlo Pernat, rifugge qualsiasi paragone con Balotelli: «Lui è fuffa. Ad Andrea dategli ancora due anni e ne riparliamo». Prendiamo l’RS6. Iannone racconta che dal 5 dicembre è testimonial sui social network della campagna #guardavanti della Tim per la sicurezza alla guida, lui, che nel primo servizio fatto per Riders, aprile 2012, si divertiva a derapare in centro a Milano. «Ora faccio il serio, se no la Ducati mi strappa il contratto».
Foto: Giorgio Serinelli
In auto i gradi sono 23,5, è una sauna: «Scherzi? Io non posso vivere al freddo». Ascoltiamo a volume alto Non siamo più quelli di mi fist dei Club Dogo, quando accelera lo abbassa: «Scherzi? Devo tenere tutto sotto controllo, devo sentire il motore». Quando scala l’RS6 fa in automatico la doppietta e scoppietta, il rumore fa godere. Arriviamo al ristorante Angolo di Giada, centro storico di Vasto. Il menu prevede antipasto, primi e secondi di pesce, il tutto accompagnato da una magnum di champagne Blanc de Blancs. Livello: elevato. Cominciamo l’intervista. A Valencia, il tuo box sembrava il privé di una discoteca. C’era Gue Pequeno. «Un pazzo, mi ha inviato le sue T-shirt, ci divertiamo di brutto insieme». C’era Barbara Berlusconi. Non è che… «Ma sei scemo? Era lì col fidanzato». C’era Marco Dell’Utri. «È un mio carissimo amico, fa il produttore». Parlate mai di politica? «No…». Dicono che hai conosciuto Armani. «Mi ha invitato alla sua sfilata, è stata bellissima». Alfonso Signorini. «Ho fatto un servizio su Chi. Ogni tanto ci sentiamo o ci vediamo in qualche locale, ma non è che usciamo insieme». Test di attualità. Cos’è il patto del Nazareno? «Cos’è?». Il patto tra Renzi e Berlusconi per le riforme istituzionali. Renzi lo voteresti? «Meglio Berlusconi». Cos’è l’Isis? «Chi?». Lo Stato islamico. «Che cazzo me ne frega». Unioni gay: favorevole? «L’amore è la cosa più bella che c’è, perché limitarla?». Dicono che ti sono entrati i ladri in casa e ti hanno rubato tutti i Tissot vinti per le pole. «Lascia stare, mi girano ancora». Passiamo alle moto. In un anno la Ducati ha recuperato 30, 35 secondi di distanza da Honda e Yamaha… «Eh, ma gli ultimi sono i più difficili». Chi ti seguirà nel team ufficiale? «Marco Rigamonti, il mio ingegnere di pista, e Tommaso Pagano, l’elettronico». Il merito di questo recupero se l’è preso Andrea Dovizioso, ma dello sviluppo te ne sei occupato anche tu. Ti dà fastidio? «No. Con Andrea mi troverò bene, siamo completamente diversi. Ho fiducia totale in Dall’Igna. Ci ha sempre fatto provare cose diverse in modo tale da farci sperimentare più modifiche alla volta ed essere più veloci nello sviluppo. Continueremo così».
[pullquote]Fino a 12, 13 anni se dovevo andare da una a dirle mi piaci le davo il bigliettino, ero timido, diventavo rosso, perché poi dentro di me son buono, sono un tenerone, ma a un certo punto ho detto, come dico in faccia alla gente quello che penso di loro?[/pullquote]
Dì la verità, ti sei rifatto il naso per una questione estetica… «Ma sei scemo? Nel 2007 sono caduto e mi ero rotto il naso, si era formato un sopra osso che poi nel 2012 mi ha creato grossi fastidi, ho incominciato a russare di notte, respiravo male, avevo mal di testa. Il medico Claudio Costa mi ha suggerito di operarmi, l’ho fatto e ho avuto subito dei benefici, sono sceso pure di qualche battito cardiaco». Cosa non può non fare nel letto una donna con te? «Masturbarsi e masturbarmi». Tu lo fai? «Io tutte le sere prima di andare a letto me ne faccio una». Tutte? Anche prima di una gara? «E certo». Qual è la donna perfetta per te? Sull’iPhone mi fa vedere una foto. «Guarda, una come lei: alta, magra ma non troppo, belle tette». Chi è? «La mia morosa o ex morosa». Siete fidanzati o no? «Dovresti chiederlo a lei se siamo fidanzati o se non lo siamo più, io non l’ho ancora capito». Rimpianti?Comincia a cantare la canzone degli 883: «Nessun rimpianto/nessun rimorso/ancora prima di dormire…». Quanto guadagni? Mi guarda come a dire: ma che domande fai? Dai dillo, 700mila, un milione, due milioni, quanto? Scuote la testa. Dimmi due cose che hai imparato dal primo servizio di Riders a oggi. «La prima: a misurare le parole nelle interviste che faccio con te. La seconda: a dividere la bestia da Andrea. La bestia può vivere solo quando non ci sono le gare e me lo posso permettere. Altrimenti sono professionale, concentrato, una macchina». Prima di alzarci mi guarda dritto negli occhi e mi fa: «Promettimi che domani parliamo di me, non di queste stronzate». Ok.
La cena finisce all’una e passa.
«Venite, vi faccio vedere casa mia» dice Andrea. «Anche se io spesso resto a dormire nel motorhome insieme ai miei amici perché non mi piace stare da solo. Nemmeno essere in troppi, tre o quattro è il numero ideale. Sai quante volte cucino nel motorhome per tutti? Poi magari mettiamo il tavolo da poker nel capannone e giochiamo fino a mattina». Scendiamo a Vasto Marina, parcheggiamo davanti a un nuovo condominio, primo piano. Cinquantacinque metri quadrati più un piccolo terrazzo. Dentro, gli abituali 23,5 gradi. «Vi faccio sentire l’impianto stereo». Mette su i Club Dogo. Alza a manetta. Quasi alle due di notte. Chiedo: ma i vicini? Mi guarda sempre con quell’espressione lì: ma che domande fai? Ci scorta nella zona notte: un bagno e la camera da letto separati da una vetrata. Chiedo: scusa, ma se qualcuno va in bagno viene visto da chi è in camera. L’espressione è la stessa, solo che stavolta commenta: «Certo che si vede». Ah, ok. Angelo mi indica il mosaico di una donna piuttosto sexy nella doccia: «Costa un botto». Andrea mi distrae: «Ma il pezzo forte è questo». Clicca un tasto sul cellulare, da un mobile esce fuori una tv. «Guarda la magia» mi fa. «La tv, se mi sposto al cesso, mi segue». Fammi capire, se vai a cagare il televisore si gira? «Esatto, così se sto guardando una gara non devo nemmeno mettere in pausa». Io sto per piangere dal ridere, Andrea gongola. E si cambia.
Foto: Giorgio Serinelli
In auto gli dico che la tv che si gira quando va in bagno sarà il mio must per mesi .
«Ah, mi son scordato di dirti che ho pure lo sciacquone che si aziona automaticamente quando mi alzo». In effetti, perché perdere tempo a tirare l’acqua? Alza le spalle. Finiamo la nottata alle 3, dopo aver scritto Iannone Rulz su un muro. Traduzione: Iannone regna, comanda, spacca. A Vasto è così. Me ne accorgo il giorno dopo.
[pullquote]Nei sorpassi oso sempre perché presto arriverà il momento in cui il rischio sarà la normalità e imparerò a gestirlo alla perfezione. Quando sei abituato a osare sei più in difficoltà a non osare che a osare, capito?[/pullquote]
Lo andiamo a svegliare alle 10. Dorme nudo. «Le mutande mi danno fastidio». Stavolta mette su Vasco Rossi, Vivere o niente. Si fa una doccia, passa venti minuti a pettinarsi, poi andiamo a fare colazione alla Pasticceria Vastese. Lo salutano tutti, molti chiedono di farsi fotografare con lui. Andrea non si nega, ma non abbandona mai, nemmeno quando ride, un’espressione seria, da duro. Torniamo nel capannone. Ci sono due ragazzi che lavorano. Sul tavolo a vetro c’è un vassoio di brioche ancora da scartare. «Scherzi? Io devo essere il primo a farlo. Di questo posto so tutto, ogni sera aggiorno l’inventario». Qui c’è la sua storia. «Non c’ho mai fatto entrare nessuno, siete i primi. Ogni volta che mi guardo intorno mi vengono in mente i sacrifici di mio padre per farmi correre. È stato un matto, però vedeva le mie potenzialità e a 14 anni mi fa: “Cosa vuoi fare, continuare a divertirti o ci vuoi provare?”. Perché per competere nel campionato italiano e nello spagnolo doveva pagare 500mila euro. Tutta la famiglia mi diceva, dai, ci devi provare. Così ho detto: ok, proviamoci, e da allora sono sempre stato cosciente, lucido, mi sono sempre divertito ma non mi sono mai drogato, mai, per dirti il sabato sera i miei amici andavano a ballare e io partivo per la gara, oppure loro uscivano da scuola e passavano il pomeriggio in giro, io invece andavo in palestra fino alle 7». Ce li hai sempre quegli amici lì? «Sì, alcuni sono finiti bene, altri… Io in famiglia ero quello messo peggio: Angelo avevo un gruppo di amici tipo i pariolini di Roma, io uscivo con i brutti ceffi. Alle elementari c’erano anche gli zingari. Ora quando passo nelle loro zone mi abbracciano, hanno rispetto per me, capito? Alle elementari mio padre mi ha pure dovuto cambiare di scuola. All’uscita, facevo a botte. Ogni giorno». Perché? «Non lo so. Al primo giorno di elementari mio padre mi fa: “Se rientri a casa che le hai prese poi le prendi di nuovo”. Mio padre non mi ha mai menato, non mi ha mai dato uno schiaffo, mi ha sempre parlato da uomo a uomo, facendomi capire come si affrontava la vita. Poi mi disse: “Ricordati che chi mena per primo mena due volte”. Quindi se uno mi rompeva i coglioni e cominciavo a discuterci, io partivo subito e lo massacravo. Ero avvantaggiato, facevo kung fu, però in cuor mio mi dispiaceva». E gli studi? «Era una cosa che non mi veniva neanche impegnandomi, non ce la facevo, diventavo scemo, però alla fine non sono mai stato bocciato.
Foto: Giorgio Serinelli
Ho fatto le scuole superiori alla scuola privata a Pescara con mio fratello, anche perché quando partivo per le gare partiva anche lui, la gara era di tutti. I miei pagavano un pacco di soldi per mantenerci a quella scuola. Mio fratello era da 7, io per imparare una roba dovevo leggerla 12 volte perché mentre la leggevo pensavo ai motorini, a truccare lo scooter sotto casa, a verniciarlo, a come dovevo farlo più figo. E comunque mi han cacciato anche dalla scuola privata. L’insegnante urlava: “Iannone, si dileguiiiiiiii”. Aprivo le camere degli amici con le schede telefoniche, non ci riusciva quasi nessuno, quindi venivano tutti a chiamare me, poi bagnavamo i letti oppure li toglievamo dalla stanza… Per riuscire a salvarmi corrompevo pure il tutor. Il sabato sera non si poteva uscire, figa il sabato sera, ma come si fa? Io e Angelo stavamo al terzo piano di questa struttura e non potevamo scappare, capito? Allora io e Angelo iniziamo a dire al nostro tutor che soffrivamo di vertigini, che ad affacciarci dalla finestra ci veniva il panico, l’ansia, e che dovevamo stare al primo piano. Una volta trasferiti, scavalcavamo e prendevamo il pullman per il centro. Non mi preoccupavo di quello che sarebbe successo, quando ci avrebbero visti rientrare, tanto oramai eravamo usciti…». Anche da piccolo eri così? «Sempre. All’asilo, avevo 4 anni, dovevo andare in bagno… La maestra non mi mandava perché io scappavo in bagno a giocare con l’acqua, schizzavo tutti quelli che entravano. Ma quella volta era vero, dovevo fare la pipì, glielo dissi quattro, cinque volte e niente. Allora me lo tiro fuori e piscio dentro la classe, per terra. Succede un casino… Chiamano mia madre, mia zia che era una dirigente del comune e si occupava anche delle scuole, gli insegnanti volevano espellermi e quando poi mia mamma è arrivata mi ha dato uno schiaffo, ma io le ho detto: tu hai sbagliato a darmi uno schiaffo, la maestra non mi mandava, me la stavo facendo nei pantaloni e se la facevo nei pantaloni poi tu mi menavi uguale. I miei compagni cominciarono a dire: “È vero, è vero!”. Io sono sempre stato così, posso cazzeggiare cento volte, ma se alla cento e una ti do la mia parola, stai tranquillo che la rispetto».
[pullquote]quella volta era vero, dovevo fare la pipì, glielo dissi quattro, cinque volte e niente. Allora me lo tiro fuori e piscio dentro la classe, per terra. Succede un casino…[/pullquote]
È vero che ti dà fastidio essere toccato? «Pensa che quando ero proprio bambino, il mio cazzo invece di chiamarlo pisello, uccello o altro, lo chiamavo Peppino, tipo quando dovevo andare in bagno dicevo: mamma, Peppino mi sta chiamando… Quando il pediatra provò a toccarmelo, lo fermai e gli dissi: che fai? Peppino lo tocco solo io… Chi? rispose il pediatra… Ancora oggi, quando mi vede mi chiede: Peppino come sta? Tutto a posto? Da bambino ero tremendo: mio padre ci portava a saltare sulle dune a 180 all’ora con la Delta, poi una volta non riuscivamo più ad uscire perché pioveva e io gli ho detto: vedi papà, cosi la prossima volta t’impari. La prossima volta t’impari, capito?». Tuo padre racconta che se devi dire una cosa non ti preoccupi se faccia male o meno. «Fino a 12, 13 anni se dovevo andare da una a dirle mi piaci le davo il bigliettino, ero timido, diventavo rosso, perché poi dentro di me son buono, sono un tenerone, ma a un certo punto ho detto, come dico in faccia alla gente quello che penso di loro?».
Foto: Giorgio Serinelli
Per andare a pranzo passiamo dalla casa storica degli Iannone.
Sul garage c’è ancora la scritta 29, il suo numero. Poi al bar conosciamo la madre, un’elegante donna sorridente che non frequenta i paddock solo nelle tappe italiane. Mentre mangiamo torniamo a parlare di corse. Gli faccio notare che lui è uno dei pochi, insieme a Marquez e a Valentino, che appena vede un buco prova il sorpasso. Altri come Dovizioso o Pedrosa magari studiano prima la situazione poi quando sono sicuri si buttano dentro. «È vero, ma spesso a fare come piace a me, si paga; io lo faccio perché presto arriverà il momento che il rischio diventerà la normalità e imparerò a gestirlo alla perfezione. Perché quando sei abituato a osare, sei più in difficoltà a non osare che a osare. Capito?».
Nel caso non lo avessimo compreso a dovere,
suo padre ci fornisce una ripassata pratica del concetto. Dobbiamo essere alla stazione di Pescara, sul treno per Milano, alle 16:15. Partiamo da Vasto, 80 chilometri di distanza, alle 15:45. Prevedo: «Mi sa che lo perdiamo». Papà Regalino sorride: «No no, tranquillo». Ci fermiamo pure a fare benzina. Ripartiamo alle 15:53. Regalino spinge fino a 260, ma lo fa in modo talmente naturale che io e il fotografo, per qualche minuto addirittura ci addormentiamo. Alle 16:15 siamo sul treno. Mando un messaggio ad Andrea: «Tuo padre è più pazzo di te». Risposta: «Iannone Rulz».