Archivi del mese: Novembre 2014

Considerazioni di uno Sconfitto /2

Asino

Esonda ogni bendidio, esondo pur’io, oggi, giorno del mio compleanno, mi porto dietro detriti, febbre, sensazioni, polvere, smog, smartphone, nicotina, caldaie; e poi sgomberi, smottamenti e scivolamenti, anche personali in sto periodo. Dico che non bevo, ma non è vero. Mi capita e quando mi capita è devastante, bevo così tanto che non mi percepisco più, mi faccio paura. Ho (ri)smesso di bere quando una mattina mi sono svegliato e come primo pensiero della giornata ho avuto quello di farmi un americano. Qualcosa non tornava. Occhio. Poi se bevo ingrasso e a me ingrassare mi dà fastidio. Mi faccio schifo. Perché non essere in grado di prendersi cura di sé è solo un altro passo verso la sciatteria, la debolezza. La cura di sé è un baluardo contro la barbarie.

[pullquote]Là, sulla scena, nel teatro, so esattamente come muovermi, nella vita sono uno sfollato (E. De Filippo)[/pullquote]

Ho fatto un sogno. Un mio caro amico, un mentore, Alessandro De Gregorio, leggeva un mio pezzo, eravamo al tavolo di casa sua, a Piombino. Alza la testa dal giornale e fa: si vede che scrivi per odio. Sì. Io scrivo per odio, rabbia, scrivo per difetto e per mancanza. Devo essere lucido quando scrivo. Dichiarare i miei nemici. Oggi il mio nemico è il popolino, il qualunquismo mi genera fastidio più di quanto me lo possa generare da solo il giorno del mio compleanno. Dov’eravamo quando tutto andava a pezzi e i giornali, le tv, il web non ne parlavano? Il qualunquismo è ovunque, si cela nell’intellighenzia presunta tale, è un vortice in cui tutti prima o poi ci facciamo attrarre. Pure il mio amico Dario Orlandi che si sfoga contro l’ennesimo talent, quello sulla fotografia.

Ebbene, faccio outing: l’idea di fare un talent sulla fotografia l’ho avuta anche io. Ho scritto un soggetto, l’ho sottoposto a Thorimbert, con Benedusi e De Luigi abbiamo sviluppato il format, poi loro hanno parlato con un produttore, poi l’idea l’ho abbandonata (l’abbandono: unica qualità che offro con costanza nel mio menu) e il progetto, per altri motivi, si è arenato. Peccato. Perché per me i talent non sono il male, anzi vanno benissimo. Spettacolarizziamo noi stessi in primis, con uno status, un tweet, costruiamo impalcature quotidiane perché siamo figli del nostro tempo, di questa brut epoque che tutto macina e niente esclude e ci lamentiamo dei talent? I talent sono un aspetto tra i tanti, esistono talent buoni e meno buoni. Cito Manuel Agnelli: «Il problema non sono i talent, il problema è che ci sono solo i talent». Sarebbe giusto, ma non è vero. Non esistono solo i talent. Ognuno si salva da solo. Nessuno salva gli altri. Ognuno deve costruirsi le proprie impalcature contro la barbarie. Cito Lorenzo Cherubini, che in un’intervista mi disse: «L’importante è che ognuno faccia quello che vuole fare e lo faccia bene». Ho letto un pezzo su Eduardo De Filippo ultimamente. Ho sottolineato una frase: «Là, sulla scena, nel teatro, so esattamente come muovermi, nella vita sono uno sfollato». Torna, no? I talent non moriranno perché sono responsabili del degrado culturale, i talent moriranno perché annoieranno, perché stanno diventando sempre più brutti. Guarda XFactor cazzo, quando parlano i giudici ormai sembra di sentire i giocatori dopo le partite di calcio. Sostituisci l’abbiamo giocato bene, il mister ha deciso così con sul palco sei credibile, sei pazzesco, sono sempre più contento di te, ed è fatta.

[pullquote]Ognuno si salva da solo, nessuno salva gli altri[/pullquote]

Ditemi qualcosa di nuovo, fatemi imparare qualcosa. Dario, dici che il degrado culturale permette a Le Iene di essere considerata una trasmissione d’inchiesta. Ma avercene di alcuni delle Iene: Pelazza, quello coi capelli rossi di cui non ricordo il nome, Lucci. Ripeto: avercene così. Come quelli che dicono: i giornali scrivono merda. Vero. Ma non sempre. Ci sono giornalisti che fanno paura da quanto sono bravi: bisogna trovarli, seguirli, affidarsi a loro e montare mattone dopo mattone una propria coscienza critica. Domenico Quirico su tutti, inviato de La Stampa. Dove sono, domandi, i Calvino, i Pasolini, gli Antognoni, i Visconti, i Pavese? Cazzo, ne abbiamo. Puoi non esserne d’accordo ma Travaglio è gigantesco (e non scopa i minorenni; vedi, qua ci sono caduto io nella banalizzazione e alla fine sai cosa, banale sempre più banale è la verità). E Sorrentino? E anche se fosse? Non è che un Pavese nasca ogni generazione, e menomale. E poi: se fossero vivi oggi, quelli che citi che farebbero? Io non lo so. Però ipotizzo: verrebbero banalizzati, si banalizzerebbero da soli per essere accettati, per nutrire il proprio ego o perché gli andrebbe bene così, e poi chissà verrebbero criticati, vezzeggiati come lo sono già stati in vita, forse un po’ di più, dal coglione di turno su uno dei social di turno.

A proposito di sogni, ne ho fatto uno tempo fa molto tormentato, quando mi sono alzato ho scritto questa:

Foglie sepolte
che aspettano
il vento

È la condizione esistenziale di chi, in questa brut epoque, aspetta un cenno, un colpo di vento, per smuoversi e poi… e poi boh.

Oggi, giorno del mio compleanno, dico che sulla mia tomba mi piacerebbe una cosa del genere:

Mi dispiace, volevo fare di più.

Ma una tomba non la voglio. Ho già dato mandato a chi di dovere di spargere le mie ceneri sul più grande paio di tette di uno strip club. La foto in questa pagina è la mia preferita di sempre, è di Beppe Calgaro.

 

 

@moreneria

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Considerazioni di uno Sconfitto

C’è chi #denunciailpatto, io mi autodenuncio. Denuncio le mie debolezze, la soddisfazione del mio egosessualismo, l’autocompiacienza che provo quando qualcuno mi fa un complimento, risponde a un mio messaggio, certifica una mia ragione, ricerca la mia attenzione, soddisfa il bisogno di quest’ultima. Io denuncio il Qui Presente Moreno Pisto, piccoloborghese, precario emotivo, pallido, scostante e inaffidabile. Ho la pressione bassa. Ho paura di svenire. Con me stesso (da anni ormai, altro che Nazareno) ci vengo a patti tutti i giorni. Per difetto. Per amore della sconfitta e dei persi. Per sopravvivenza.

Perdonatemi la rima e assolvetemi: chi va dicendo in giro che sono un buon padre dovrebbe vedermi di notte ubriaco in qualche locale; chi va dicendo in giro che sono uno tranquillo dovrebbe farsi un giro dietro gli sportelli del mio bagno. È una canzone, l’ho scritta io. Ora. Autodenunciandomi.

Poison

(via Tumblr)

Mi sono sempre chiesto di cosa avesse bisogno la musica se non di Bob Dylan, me lo chiedo ogni volta che lo ascolto. Tutto stanca, tutto passa. È per questo forse che Dylan ha scritto migliaia di canzoni, tante da continuare ad ascoltarlo fino a quando non sarà morto lui da cento anni, non saremo morti noi, i nostri figli, le nostre subdole speranze, inutili nostalgie e imposte ambizioni. Seguono le settimane scandite dai talk show, ora si parla di case occupate, dei centrisocialini investiti da Salvini e delle dimissioni di Napolitano. Si apre il totonomi per il prossimo Presidente della Repubblica. Io faccio il mio: Vittorio Feltri. Ci sarebbe da divertirsi. Feltri con la Merkel, Feltri con Obama, Feltri con quei cinesi che nessuno sa come si chiamano, Feltri che chiama Renzi e gli dice Matteo, ma che cazzo stai facendo.

A M-L’Ano piove. Quando piove mi viene sempre in mente una canzone dei Timoria, Francesco Renga prima maniera: e poi piove e piove, lava tutto perché, lava queste strade, entra dentro di me. E i social si riempiono di gente che fa foto di vetri dove la pioggia scende e giù pioggia di like, inutili come le nostalgie.

A cosa siamo disposti per avere un po’ di considerazione? Osserviamo gli smartphone in attesa di vedere un numerino rosso che annunci la prossima risposta nei nostri Whatsapp. Siamo così piccoli, così distratti che pensiamo agli eventi da qui a dieci metri e ci perdiamo la Storia. Prendete Ignazio Marino. Lo vogliono inchiodare con la storia delle multe ma tra venti anni si parlerà di questo o del sindaco che ha aperto alle nozze gay, che sperimenterà il primo quartiere a luci rosse in Italia, che magari un giorno legalizzerà la marijuana a Roma? Viva la libertà, santiddio. La libertà valga per tutti, per me. La libertà ci salverà. Mi salverà.

Prendete Obama. Ha perso le elezioni di midterm. Ma oggi l’America è un Paese migliore di come lo aveva trovato lui? Sì. La riforma sanitaria non sarà perfetta, ma c’è e sarà difficile tornare indietro. Ha stanato Osama, la disoccupazione è al sei per cento, nessun Paese Occidentale ha tenuto botta come gli Stati Uniti in questa crisi che ci sta falcidiando. Poteva fare di più? Ovvio. Ma tra lui e i sogni c’è sempre la politica, ragazzi miei. La morale andatela a fare in un altro Pianeta, voi, che per prendere una decisione dovete relegarvi in una stanza da uno psicologo, un astrologo, una veggente, un osteopata a colpo di 30, 50, 100 euro a botta. Perché nessuno vi ascolta, giusto?, avete questa impressione e non sapete cosa sia, giusto?, continuate a parlare e niente, nessuno vi ascolta davvero; ma siete sicuri di conoscere le parole che vi servono per dire quello che esattamente volete dire?

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(via supersonicart.com)

Egosessuali che non siamo (diventati) altro.

Sono stanco, scrivere mi fa fatica, scrivere è anacronistico. Pure leggere, mi sa.

Non ho mai capito chi resta attaccato a qualcosa quando quel qualcosa sta svanendo.

No, Interstellar non l’ho visto.

Vorrei prima vedere Tutto torna nei prati di Ermanno Olmi. Parla di chi ha fatto la prima Guerra Mondiale. A un certo punto un soldato chiede: dove finirà tutta questa sofferenza? Finirà e svanirà. È già svanita. Tornerà nei prati, appunto. C’è già tornata. Dove finirà il mio dolore, dove finiranno i miei ricordi? Scrivevo per l’anima, forse ci scrivo ancora. E alla fine, sapete cosa, non è che adesso scriva meno. È che ho meno anima.

Questa è la verità.

Non usare il telefono
La gente non è mai pronta ad ascoltarti
Usa la poesia

È la poetry più utile che abbia mai letto. Tre righe. Le ha scritte JACK KEROUAC.

@moreneria

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Interstellar

Non so quanti di voi hanno visto Apocalypto di Mel Gibson. Apocalypto era una vera tamarrata. Te ne accorgevi sul finale, quando la corsa folle del protagonista (un indigeno maya in fuga da un commando di altri indigeni che lo vogliono uccidere non ricordo perché) lo portava fuori dalla foresta, sulle rive di una spiaggia. Li finiva la terra conosciuta e oltre quel mare non c’era niente. Il protagonista inquadrato frontalmente si ferma allibito, vede qualcosa che noi davanti allo schermo non possiamo vedere. Anche i suoi inseguitori si fermano e di colpo e si mettono a fianco dell’uomo che fino a un attimo prima volevano uccidere per fissare l’orizzonte. E tu dici: no… non staranno mica fissando quella cosa li vero? E invece si! La camera si gira e il pubblico vede le tre caravelle e Cristoforo Colombo che sbarcano di fronte agli indios. Gesù… è così pacchianamente oltraggiosa come scena, così troppo tirata che ci sta. Quei tre minuti di film mi sono rimasti in testa per anni. E niente purtroppo su questo sito trovate queste trashate quindi sappiate che a noi piacciono ed è piaciuto il film. Mica siamo critici musicali, mica scriviamo di cinema.

Cosa c’entra con Interstellar? Non tantissimo ma c’entra. ATTENZIONE MENOSI DA ORA IN POI SPOILERIAMO TUTTO. QUINDI: SPOILER!!! SPOILER!!!

INTERSTELLAR
Interstellar come tutti sapete è il nuovo film di Cristopher Nolan con Matthew McCounaghey come protagonista. Lo hanno pompato così tanto in questi mesi che è stato considerato il film dell’anno ancora prima che uscisse. E per tanti versi è il film dell’anno. La scena di cui sopra parlavamo è solo per rimarcare che in effetti è un’americanata totale, ma funziona da Dio. Succedono cose che nemmeno nei fumetti sono possibili, scene nello spazio che rendono anche Armageddon un film trattenuto a confronto… ma in fondo chi se ne frega? Chi lo ha detto che il cinema deve svolgersi su un piano narrativo razionale? Perché mai dovrebbe seguire le leggi della realtà? Perché non pagare il biglietto per vedere un film che ti inchioda alla poltrona? Perché non godersi lo show? Il cinema è una forma d’arte, non deve per forza dare delle risposte ai problemi della vita, deve piuttosto fornire interpretazioni, far riflettere. E qui succede.

In cinquant’anni Hollywood ha prodotto e dato vita a una lunghissima serie di film a sfondo post apocallitico (genere che anche prima, da decenni, ha dato grandi soddisfazioni). Dopo l’11 settembre la minaccia è stata più subdola. C’era sempre una causa nera che minava la sicurezza di una parte della civiltà. L’estinzione della razza umana arrivava dallo spazio (Melancholia), virus letali (Io sono leggenda, 28 giorni dopo), alieni malvagi (La guerra dei Mondi), zombie (World War Z). Interstellar parla della stessa cosa: la fine del mondo che noi tutti conosciamo ma per mano dell’uomo. E questa è una prospettiva assolutamente più realistica che mi fa pensare a un film quasi ambientalista. Succede qualcosa che non ci è dato di sapere, quella che i personaggi chiamano una “piaga”, ovvero una qualche catastrofe ambientale. Il mondo vive sotto i colpi battenti di tempeste di sabbia, il grano è sparito si coltiva solo il mais e l’ocra pure muore. Si sa solo che sono morti sei miliardi di persone, ma il pianeta si sta piano piano ripopolando. Fa impressione vedere come i protagonisti convivano con la sabbia, tenendo i piatti rivoltati all’ingiù a tavola e spolverandola di continuo dentro a queste case piene di sabbia sui pavimenti, sui quadri, sulle fotografie. McGunaghey ha il volto arancione per la sabbia e il sole che prende nei campi. Era un grande e promettente astronauta ma adesso gli tocca fare il coltivatore. Il mondo non ha più bisogno di ingegneri, ha bisogno di agricoltori, perché quando si sarà estinto anche il mais cosa mangeremo?

Intanto la gente si ammala ai polmoni per la polvere e la terra rinsecchisce come un corpo che muore, lentamente, mentre nessuno riesce a capire come fare a salvarla. Questa metafora della sabbia con cui convivere è fantastica. Sarete angosciati nei primi minuti del film a vedere questi scenari desolati e opachi, questi tornado marroni che si abbattono sulle città. Eppure i protagonisti vanno a scuola, si innamorano, giocano a baseball, fanno la loro vita. Metteteci l’inquinamento al posto della sabbia e ditemi se non è la stessa cosa. É qualcosa con cui conviviamo no? Escono studi e ricerche ogni giorno che segnalano il livello di peggioramento delle condizioni ambientali ma noi continuiamo a guardare le serie tv, a programmare le ferie per l’anno prossimo a comprarci un buon profumo di Calvin Klein.

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Più volte durante i primi quarantacinque minuti si fa riferimento al fatto che questo pianeta lo abbiamo trattato male troppo a lungo e ora ne paghiamo le conseguenze. Addirittura ci sono libri di testo riscritti dove si insegna a scuola ai bambini che l’allunaggio del 1969 era solo una trovata pubblicitaria e che l’uomo non era mai andato sulla Luna. E qui entra in scena il secondo grande occhiolino strizzato del film dopo la causa ambientalista: la Nasa (ps seguitela su Instagram perché fa godere).

L’agenzia governativa responsabile del programma spaziale americano che un tempo era la medaglia d’oro della scienza americana oggi è in forte crisi. Gli Shuttle sono stati messi in pensione, le missioni non hanno più pubblico, non trovano investitori e l’ultimo lancio è stato una catastrofe. All’agenzia manca un grande sogno, un obiettivo per risorgere. In Interstellar la grande missione è portare la popolazione della terra su un altro pianeta. Già ma dove? Ecco fino al primo tempo sapete solo questo. Poi viene fuori che la Nasa, che tutti erano convinti fosse chiusa, sta continuando a lavorare in segreto e ha scoperto un buco nero che prima non esisteva accanto a Saturno. Quel buco nero è stato messo li da qualcuno, da dei misteriosi “altri”, che non sai chi siano se alieni, Dio o una civiltà come la nostra. Dietro al buco nero una galassa con nove pianeti potenzialmente buoni per noi. Lo sappiamo perché c’è andato Matt Damon con altri 8 astronauti, ognuno su un pianeta diverso.

McCounaghey è colui che guiderà la spezione nel buco nero per riportare indietro gli altri astronauti e capire se l’umanità può andare a vivere al piano di sopra dell’universo che conosciamo.
Ecco da qui in poi dovete essere pronti a tutto perché sarete immersi in lunghi minuti di delirio. A tratti il film è incomprensibile tipo quando si parla di fisica quantistica, altre galassie, buchi neri, relatività del tempo e dello spazio etc. Ci sono teorie complesse strampalate e farraginose sulla gravità, sulla relatività del tempo e ci sono momenti di imbarazzo come quando si allude al fatto che l’amore è una forza in grado di trascendere spazio e tempo, che può diventare un’equazione e che è la nostra salvezza.

Questo non è un film che potete vedere in dvd o in streaming, qui vi tocca di andare in sala altrimenti non ne sarete investiti. Dovete sentirvi sfondare la pancia dagli altoparlanti e dalle vibrazioni dei bassi mentre la navicella cerca di scampare a un’onda alta chilometri su un pianeta di acqua marina alta fino al ginocchio, senza terra senza niente. Vedrete pianeti con le montagne che scendono dal cielo e canyon ghiacciati e inospitali, per un attimo vi calerete nel film e vi immaginerete di dovervi beccare un futuro del genere. E dovete sentire la paura del buio e i disperati gridi “Non vedo niente è tutto nero” dell’astronauta che tenta di comunicare con la base. In quel buio cosmico c’è una delle più potenti immagini di solitudine e paranoia mai messe sul grande schermo.

Ai critici non è piaciuto, a noi si. Ma noi si sa che non capiamo un cazzo.

Emilio Periferico

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