Archivi del mese: Dicembre 2019

Discorso a me

Io.
Dieci anni fa sono diventato padre del primo figlio maschio che, pensatela come volete, nella vita di un uomo è un avvenimento decisivo, perché viviamo in una società patriarcale, perché sono un terrone, perché… semplicemente perché sì. Il fatto è che non mi sento un uomo. Se penso a me il volto a cui penso è il volto di Moreno ventenne, invece se guardo l’ultimo ritratto che mi ha fatto Thorimbert ecco le rughe, ecco la barba tenuta male, ecco le occhiaie, ecco i capelli bianchi, ecco il naso rotto due volte di chi le ha date e le ha prese ma io le ho solo prese. E allora mi guardo e vedo: le mie inquietudini, i miei parti, le mie paranoie, quell’ambizione che spesso mi blocca, quel buio e quella luce che non si spegne, vedo me.

[pullquote]Succedono cose che non sai perché succedono ma succedono. Succedono cose che non sai se crederci o no ma succedono[/pullquote]
Ultimamente ho imparato anche a odiare. A dire subito se c’è qualcosa che mi sta sul cazzo. Da riflessivo a impulsivo, un percorso al contrario. Poi arriva la fine dell’anno, poi arriva la fine del decennio, che per me combacia con le cifre tonde. Perché sono nato il 20 novembre 1979 e questo decennio quindi l’ho iniziato dopo aver festeggiato i 30 e finito entrando nei 40. Come mi sento? Adesso non mi piaccio, ma mi piacciono quelli come me. Non mi piacciono quelli che soffrono per robe che fanno sorridere, che si accorgono delle cose solo quando un treno li investe dritto nel petto, che si vestono coi pantaloncini corti. Mi piace la gente estrema, inadeguata, che ti fa sentire a disagio, che durante le feste a un certo punto dice la cosa che non deve dire, che imbarazza, oppure che si assenta, va a fumare, se ne va e non ti aspetta. Mi piacciono gli incoerenti e mi piace chi non ha quasi mai risposte e non ha paura di contraddirsi perché nella contraddizione trovo un sintomo di libertà. Mi piace chi disobbedisce. Ché il problema non è la disobbedienza ma l’obbedienza. L’obbedienza è più pericolosa. Ché ci vuole fegato per essere coerenti. Perché il più delle volte – per rispettare ciò che credi di essere – non ti abbandoni a ciò che realmente vuoi, a ciò che realmente trovi giusto in quel momento fare o dire. Ci vuole fegato anche a non cambiare. A me questo fegato manca. Primo proposito 2020, quindi: circondarmi solo di gente così, che mi piace.
[pullquote]Ché il dolore, quando ne parli, quando lo condividi, passa un po’[/pullquote]
Due anni fa Banhoff mi ha fissato un appuntamento con uno sciamano. Uno sciamano a Milano. Il primo posto libero lo aveva il 19 novembre 2019. Il bigliettino con quella data è rimasto per tutto il tempo dell’attesa appiccicato sulla porta di casa. Non sapevo cosa aspettarmi. Leggevo il bigliettino e mi sentivo rassicurato: sapevo che comunque il 19 novembre io sarei stato lì. Per chi non sa cosa siano le certezze vi posso assicurare che quel biglietto trasmetteva una certa quiete, figurava una dinamica di tranquillità. Entrato nello studio ero scettico: tante persone, due sale di attesa, quadri di valore, poltrone comode, pochissimi rumori, una situazione di semi pace. Non ho fatto tempo a posare il mio sedere sulla poltrona davanti alla scrivania del professor Atzoni che lui, senza nemmeno guardarmi, ha cominciato a parlare di me. Non a parlarmi. A parlare di me. Basso, stempiato, occhiali, un abito dai toni scuri, dopo tre minuti l’ho fermato, mi sono sporto verso di lui e gli ho chiesto: ma tu, tu, come cazzo fai? Ho pensato che mi avesse stalkerato sui social, che fosse un amico segreto di mia madre, che avesse vissuto sempre accanto a me senza che io lo vedessi. Mi stava dicendo chi ero psicologicamente, fisicamente, di quali disturbi soffrivo, che paure avessi, quali vertebre fossero schiacciate e addirittura di un focolaio nei polmoni, “piccolo, un bravo radiologo lo vedrebbe, ma se le dicono qualcosa non si preoccupi, è roba vecchia”. Alla mia domanda mi ha guardato finalmente negli occhi e sorridendomi ha risposto: “Come faccio? Qui non si entra mai da soli”. Mentre continuava a descrivere Moreno guardava in alto alla mia destra. Mi sono girato. Ho guardato il muro. Poi ho guardato ancora lui.
– Perché guarda lì? gli ho chiesto.
– Ma lei non ha letto il mio libro, vero? mi ha risposto.
– No.
– E perché è qui?
– Perché mi ha mandato Banhoff, non mi sono informato, non so niente di lei, non lo so perché sono qui.
– E di cosa ha bisogno?
La prima risposta è stata quella giusta.
Ero stremato, mi sono massaggiato la fronte e ho detto: ho bisogno di equilibrio.
– Lei più pensa alle cose più le vede come insormontabili. Meno ci pensa e più le riescono. Le torna tutto quello che ho detto?
– Sì, tranne una.
– Me la dica.
– Mi ha detto che non sono capace di fingere. Ma fingo tantissimo, ogni giorno.
– Lei si è stancato di farlo, mi fa, crede che le riesca ancora bene ma gli altri se ne accorgono e se ne accorgeranno sempre di più.
Poi ci siamo salutati.
Sono uscito con un senso di vertigine.
Come se Atzoni fosse entrato nel mio locale spazzatura e l’avesse liberato sacco per sacco, buttando tutto fuori.
Ho camminato frastornato.
Più leggero.
Semi ubriaco.
Altri propositi 2020 sul braccio 

Succedono cose che non sai perché succedono ma succedono. Succedono cose che non sai se crederci o no ma succedono.
Succedono cose e questo è perché siamo qui: per farle succedere.
E quando succedono l’importante è seguitare a fare e farsi le domande, e restare in ascolto e capire ciò che si sente.
Io.
Io mi sento perso tante volte, spesso più volte al giorno. Mi sento sconfitto almeno una volta ogni santo giorno. Poi arriva sempre un momento di lucidità, di distanza dalla disperazione, e va tutto bene. E riparto. Pensando che ogni cosa è al suo posto e ciò che non è al proprio posto va osservato, preso come si prende un set di cristallo e portato laddove deve stare. Sbagliando costantemente e correggendosi di continuo. Ché tutto ciò di cui abbiamo bisogno è di essere rassicurati, vicini, per sopportare meglio quelle piccole battaglie quotidiane che tutti affrontiamo. Ché il dolore, quando ne parli, quando lo condividi, passa un po’.

[pullquote]Ci vuole fegato anche a non cambiare. A me questo fegato manca[/pullquote]
Ogni evoluzione d’altronde si porta dietro dei feriti, che solo col tempo capisci che vanno accuditi, curati, apprezzati come mai avevi fatto.
Pier Vittorio Tondelli una volta ha scritto: io non sono diverso dagli altri perché sono omosessuale né perché non posso avere figli, sono diverso perché dico di me ciò che gli altri, di se stessi, tendono a nascondere, a non mostrare. Essere vulnerabili: altro proposito 2020. Ché la vulnerabilità del prossimo mette al riparo, predispone all’ascolto e all’aiuto. Ché la debolezza può diventare arte e l’arte a cosa serve se non ad aiutare gli uomini a vivere, a gettare un occhio su per il culo della morte? Ché, come ha detto il vecchio, le luci non si spengono finché non si spengono. E non c’è altro da aggiungere. Forse.

@moreneria

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Padre Perdonaci

Ci sono pro e contro riguardo al fenomeno de Gli Imperdonabili, un movimento letterario (per ora solo online) che vuole fare le scarpe al mondo editoriale.

© Richard Kalvar/Magnum Photos

Pro

Gli Imperdonabili partono da una giusta riflessione: il mondo della cultura italiana è una casta, un sistema lobbistico di piccoli poteri, una massoneria dei soliti nomi, un posto in cui non succede un cazzo. Sempre gli stessi scrittori, sempre in tv e sui giornali, sempre a cercare di piazzare i loro libri anche su per il culo. Mi piace pure che Gli Imperdonabili facciano i nomi: Raimo, Carofiglio, Veronesi… è un gesto assolutamente liberatorio. Ne aggiungerei molti altri da Piperno in poi passando per Moresco, Genna e una lunga serie di NEGATI. Si come a calcio, ci sono quelli che sono proprio negati a scrivere ma fanno gli scrittori. È bello ed è un lusso poterlo dire. Se scrivi su un giornale ti fai problemi a stroncare qualcuno e se non te li fai tu, ci pensa il tuo direttore. Sono pochi quelli veramente liberi, svincolati e temerari che se ne fottono e pubblicano roba che scotta. O si è piccoli e indipendenti (come WNR) o è difficile farlo. Questo mina il dibattito culturale, lo rende molle, pauroso, debole. Anche per questo gli intellettuali in Italia hanno così poco piglio sulle folle. idem per gli scrittori. Il Novecento è finito da un pezzo e la figura dello scrittore ha perso quel senso di rispetto che si portava dietro da secoli. Gli scrittori sono un rompimento di palle. Non si puó dire a Moresco: guarda non è che non ti caga nessuno perché è un mondo di merda…è che sei proprio scarso. Scrivi male cazzo. Mi piace che gli imperdonabili sfottano lo Strega e i premi letterari in genere che sono una contraddizione in termini. Mi piace anche che abbiano fatto squadra e che cerchino di coordinarsi in qualche modo per fare qualche cosa. 

 

Già ma cosa? Di quello che sono e quello che fanno si capisce poco, se non che formano una masnada di scrittori e raminghi del mondo letterario, spesso sconosciuti, che cercano una legittimazione. Il che non è un male, anzi… Un articolo piuttosto pesante (e palloso) qualche giorno fa li ha bollati pure come fascisti. Mi sembra esagerato…

 

Contro

Gli Imperdonabili sono troppo preoccupati per le sorti della cultura, del libro, della loro opera. Fanno un gran mistone di tutto. Criticano una casta che esiste ma non propongono autori altrettanto validi. Non hanno un sito internet, non hanno i social se non un gruppo chiuso su FB dove postano troppa roba e con poco più di 100 membri. Lì chi dissente viene spesso blastato. Non hanno un manifesto ma tanti manifesti, ognuno scritto da un Imperdonabile. Di questi ne ho letti alcuni e la maggior parte è robaccia. Parole di uomini e donne che vivono la scrittura come una sofferenza più che come una gioia, pagine che non vorrei mai leggere e che si, allontanano le persone dai libri. Non conosco chiaramente il lavoro di tutti loro e non voglio generalizzare, esprimo solo la mia impressione. Gli Imperdonabili comunicano poco e forse non coi canali giusti. Ad oggi, hanno pubblicato un manifesto sul Fatto Quotidiano, un giornale amico in cui alcuni di loro collaborano.

Il libro non sappiamo che sorte avrà, magari si evolverà in altro, ma le storie e il bisogno di raccontarle ci saranno sempre. Dobbiamo vivere nell’accettazione del presente, non cercare di ostacolare il cambiamento perché ci spaventa. Gli scrittori sono stati sostituiti nell’ultimo secolo dai registi. Solo i secondi sono stati davvero popolari, hanno influenzato le masse, creato un immaginario, raggiunto gli ultimi. Un debosciato qualunque con la terza media avrà sicuramente visto Matrix o Arancia Meccanica, ma difficilmente avrà letto Cioran. Gliene dobbiamo fare una colpa? Dobbiamo dare la colpa a internet e ai telefoni? Gli scrittori sono in crisi oggi ma non la loro missione. Tutto parte sempre da una base scritta. È pur sempre letteratura. Credo che questo fosse il senso del giustissimo Nobel a Dylan. Quindi mettiamoci in pace con questo. 

Martin Parr

Vorrei riflettere su un fatto. Per uno scrittore il pubblico è importante e sappiamo tutti quanto è dura averne uno. Sono convinto che se a qualunque degli Imperdonabili venisse offerto un prestigioso contratto da Einaudi, Mondadori o Adelphi, sarebbero pronti ad abbandonare il movimento per uscire in tutte le librerie d’Italia con una buona rassegna stampa. Si dimenticherebbero degli ex compagni di rivoluzione per delle belle serate di fronte a platee che chiedono l’autografo e un cinque stelle in cui dormire. Sono convinto che se fossero invitati a parlare da Fazio, ci andrebbero e lo chiamerebbero “Fabio” e gli direbbero “grazie” come ha fatto Fibra dopo avergli persino dedicato una barra (Fabio Fazio Fanculo / Col Cazzo che mi inviti più). Perché è così che funziona. E non biasimerei nessuno di loro se lo facesse. Giuro.

Quindi questa protesta presenta un non detto che ne mina l’efficacia. È una contraddizione. Non è più fare una rivoluzione, ma semplicemente battere i piedi a terra perché secondo noi non stiamo avendo il successo che meritiamo.

Io non voglio stroncare Gli Imperdonabili, ne farne parte. Mi viene spontaneo cogliere il loro invito al dialogo e dire la mia. Fanculo le rivoluzioni. Bukowski diceva che ogni buon poeta durante una rivoluzione deve starsene in casa lontano da armi e donne, ideali e piazze. Mangiare, bere, scrivere, guardare la tv. Sono d’accordo. Se si vuole ribaltare il sistema non serve la rivoluzione. È più efficace farlo dall’interno, cercando di guadagnarsi una posizione in mezzo a quel branco di stronzi dei soliti noti sfornando della narrativa coi controcazzi, non imbastendo un movimento settario su Facebook. Si può ribaltare il sistema imponendosi all’attenzione di tutti con un sito interessante che propone dei bei contenuti (mi piace molto Pangea di Brullo ad esempio e penso che svolga ottimamente il suo lavoro, avrebbe bisogno di un editore che sborsa soldi e di un restyling di linguaggio e di aspetto ma c’è tanta roba buona lì sopra). Si deve parlare il linguaggio della gente. Gli Imperdonabili dovrebbero fare una web tv, dei podcast, usare le Instagram Stories, imbastire delle iniziative che non somiglino ai raduni cinque stelle coi meetup in tutte le regioni ma rivolgersi veramente a un pubblico che ha bisogno di sentire nuove voci. I ragazzini ormai si appellano a qualsiasi fottuto trapper piuttosto che dar contro al sistema, si rimpizzano la testa di quelle frasi spaccone per mandare in culo tutto. Se non è una richiesta di contenuti la loro, allora non so cosa lo sia.

Basta menate sulla scrittura e il suo calvario, basta lamentarsi. Quelli che ci sono a spasso ora non sono neanche scrittori, sono imprenditori di se stessi che usano la scrittura per posizionarsi nel mercato. Cazzo ormai scrive romanzi anche Alba Parietti. Ma di che parliamo? Che se li scrivano e se li cantino per se. 

I beat non hanno fatto esattamente così? 

A mio avviso ha senso solo proporre il proprio lavoro, farlo fottendosene del sistema editoriale. Dar vita a una collana, trovarsi un lavoro per campare e scrivere nei buchi liberi, mettere online ciò che si fa. Ormai le cose stanno così. Ma state sicuri che se un concetto funziona quello prenderà il via. 

La scrittura sta da dio, non è mai stata così libera ed efficace. Dobbiamo solo cambiare il nostro modo di intenderla.

Ray Banhoff

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